Il documento che segue è opera dell'ingegno di una Carissima Amica, Stefania Severi, ed è stato pubblicato sul numero 4 di Luz, Editrice Har Tzion inverno 1999. Lo scritto rappresenta un opera della maestria dell'Autore e non indica di necessità la visione della Loggia o del GOI. Ogni diritto gli è dichiarato.

 

© Stefania Severi

 

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Il termine "santuari neoplatonici" è stato utilizzato da Elémire Zolla per indicare un gruppo di palazzi e ville con giardini nella zona dei Monti Cimini, l'antica Tuscia, a sottolineare che la loro ideazione e la loro costruzione è profondamente legata ad un sentimento di religiosità della Terra che affonda le sue radici negli albori dell'umanità. L'arco di tempo in cui furono realizzati è la seconda metà del Cinquecento, l'epoca del Manierismo, ché tale fu definito il Tardo Rinascimento. Non dunque "semplici" edifici dove i ricchi proprietari potevano trascorrere delle belle giornate, soprattutto estive, in compagnia dei loro amici allietandosi con festini, rappresentazioni teatrali e cacce. Che questi momenti di svago fossero l'occupazione primaria di quei signori è pur vero, ma la loro esistenza non si esauriva in quella prassi giocosa. Li guidava una concezione di vita in armonia con le leggi della natura, alla ricerca di equilibri superiori predisposti dalle stelle.

Il Rinascimento fu periodo storico in cui il sapere fu posto in primo piano, indipendentemente dalla fonte di provenienza. Si studiavano testi greci, latini, ebraici e le traduzioni dall'arabo; si cercavano i legami tra il passato e il presente; si ricostruiva l'armonia dell'universo; rinascevano tutti i valori umani, quali le lettere, le arti, la filosofia. Non fu, tuttavia, epoca pagana, perché il Cristianesimo era profondamente radicato nelle coscienze con i suoi valori di carità, di fede e di speranza. Ma si cercarono i legami tra il sapere degli Antichi e le verità rivelate. Il cammino fu lungo più di due secoli, articolato e ricco di meravigliosi esiti, non ultimo la scoperta dell'America. Poi le cose cambiarono e vennero la Controriforma, il Concilio di Trento, l'Inquisizione. Ma quel periodo aveva lasciato testimonianze meravigliose d'arte e di cultura a preservarne la memoria.

In questo ambito di concezione armonica del vivere, secondo ritmi naturali guidati dalla forza di una natura panica e al contempo addolcita dalla civile mano dell'uomo, nascono numerosi edifici un po' in tutta l'Italia. Concentrandosi tra i più belli nell'antica Tuscia, la loro relazione in una realtà ambientale e storica unitaria, ha suggerito a Zolla l'immagine del "santuario", anzi, di una serie di santuari collegati tra loro per compiere una sorta di cammino iniziatico al termine del quale il pellegrino possa dichiararsi rigenerato nel corpo e nello spirito sentendosi panicamente legato sia alla terra sotto i suoi piedi sia alle stelle che brillano sul suo capo, e dalle stelle mirare in alto al Creatore supremo. Aleggia in questi luoghi un sentimento del sacro, cui gli antichi proprietari fanno specifico riferimento, che giustifica il concetto di santuario in cui venerare non già le antiche divinità in quanto tali, perché definitivamente obsolete, ma quella natura che non doveva essere malvagia se il sangue di Cristo l'aveva redenta. Ma la natura qui venerata è quella che segue le leggi armoniche; è quella che si presenta nella sua perfezione formale; è quella dove non albergano le malattie, le distruzioni e la morte; è quella ideale delle concezioni filosofiche; è quella in cui anche il caos è previsto e quindi regolato; è quella in cui ogni elemento, albero o roccia o corso d'acqua, si collega per creare un contesto che, in quanto armonico, si oggettiva in estetico. Le costruzioni con il loro repertorio decorativo, i giochi d'acqua, i disegni dei giardini, le finte grotte, il vario repertorio iconografico di statue e rilievi, non nascono quindi solo per desiderio di magnificenza e non sono solo frutto di "capriccio", ma rispondono all'esigenza di rendere in forma visibile i più complessi repertori simbolici e i più articolati concetti neoplatonici, tenuti vivi dalla fiorentina Accademia Medicea e dall'Accademia Romana di Pomponio Leto.

Quali sono questi Santuari? Il palazzo e il giardino di Caprarola, la villa Lante di Bagnaia, la Fonte Papacqua di Soriano nel Cimino e il "Sacro Bosco" di Bomarzo, realizzati tutti in un arco temporale di circa cinquant'anni rispettivamente dal Cardinale Alessandro Farnese, dal Cardinale Cristoforo Madruzzo o Madruccio, dal Cardinale Riario e da Vicino Orsini. Tutta nobiltà papale, ovviamente, perché la zona fin dai tempi di Liutprando era stata terra pontificia variamente assegnata agli ordini religiosi o alla nobiltà curiale. Il materiale usato è ovunque il locale e segnatamente il peperino viterberse, una pietra scura spesso lavorata in situ.

Il Palazzo-fortezza di Caprarola fu innalzato da Jacopo Barozzi detto il Vignola nel 1559-75 su un edifico già iniziato da Antonio da Sangallo il Giovane. È un monumento fondamentale per la storia del Manierismo non solo perché vi lavorarono gli artisti più significativi dell'epoca, Taddeo e Federico Zuccari, Antonio Tempesti, Raffaellino da Reggio, Giovanni De’Vecchi, ma anche perché il complesso decorativo fu dettato dai celebri letterati Annibal Caro, Fulvio Orsini e Onofrio Panvinio. Tra le decorazioni, anche se prevalgono i fasti della famiglia Farnese, troviamo, nelle varie sale, le storie di Ercole (Salone Regio), Giove, i Filosofi e gli Angeli. Sulle pareti della Sala del Mappamondo sono le carte geografiche e sul soffitto le costellazioni. Una cosmogonia c'è dunque a Caprarola, resa completa dalla Cappella con gli Apostoli e vari altri santi. Pitagorica è la forma pentagonale del palazzo, con cortile circolare al centro forse strumento per interpretare il cielo ed immagine del mondo, dell'universo e di Dio, come suggerisce la circostanza che anche la cappella è circolare. Non meno complesso è il giardino, anche se in parte modificato nel tempo, con la "catena" d'acqua che serpeggia dalla parte più alta dove è la Casina del Piacere.

La Fonte Papacqua fu fatta realizzare dal Cardinale Madruzzo che era persona "illuminata", tanto che, al Concilio di Trento, auspicò l'avvicinamento ai protestanti, conobbe la Cabala e fece stampare a Riva del Garda alcuni testi ebraici. Proprio di tali suoi interessi ci parla la fontana da lui fatta costruire all'ingresso del palazzo di Soriano, iniziato nel 1562 dal Vignola, in seguito passato ai Chigi-Albani. La fonte consta di una zona principale in cui campeggia, scolpita nella roccia, Fauna o Iuno Caprotina, che stringe un bambino. La circondano un faunetto, un pastore che soffia nel flauto di canna, alcune greggi e Fauno o Pan. Un altro rilievo, disposto ortogonalmente e di dimensioni minori, raffigura Mosè che, battendo la verga, fa scaturire l'acqua dalla roccia. Perché questo abbinamento Fauno-Mosè? Tra le tante interpretazioni ne suggeriamo due, molto suggestive: Mosè è colui che consacra il matrimonio che Fauno-Pan incita; Mosè e Fauno-Pan, figlio di Ermete, agitano entrambi la verga per sollevare gli elementi e suscitare quel furor panico dal quale ha origine prima qualsiasi azione creatrice umana, tanto la naturale quanto la spirituale, incluse l'arte, la poesia e la profezia. Il nome della fontana è un piccolo mistero, forse vuoi dire Genitrice di acque, o, più scherzosamente, la Papessa delle acque, identificandosi con la sorgente che scaturisce sul luogo stesso dove sorge.

Il Cardinale Giovan Francesco Gambara prima e poi il Cardinale Alessandro Montalto, nipote di Sisto V, tra il 1568 e il 1612 completavano la villa e i giardini di Bagnaia che già era stata riserva di caccia del Cardinale Raffaele Riario, nipote di Sisto IV. Per accedere alla villa si percorre in salita una delle tre strade che, sorta di piccolo tridente, la collegano alla piazza del paese, dominata dalle torri del borgo medioevale e dalla facciata della cattedrale. La villa si sviluppa su ampie terrazze alle pendici dei Cimini con affaccio sulla valle. Nella parte alta un ampio bacino raccoglie le acque che poi si riversano nelle numerose fontane, tutte collegate tra di loro da questo flusso ininterrotto che serpeggia di terrazza in terrazza, espandendosi in rigagnoli, scomparendo sotto terra per poi riapparire d'improvviso in un gioco d'acqua. È Pegaso, ritto su una splendida fontana ad invitare ad accedere alla villa. Il cavallo alato è il simbolo della fama che, grazie alla villa stessa di cui è segno esemplare, arride ai suoi committenti, al Vignola che la progettò e ai tanti artisti che vi lavorarono e che furono gli stessi che operarono a Caprarola. Il livello inferiore del giardino, a ridosso del paese, è costituito da un giardino all'italiana con al centro un ampio bacino quadrato suddiviso in più vasche e solcato da barchette di pietra che piacquero molto a Michel de Montaigne che le vide nel 1581 e le descrisse nel suo "Voyage en Italie", prezioso documento che ci testimonia della sostanziale integrità della villa. Al livello superiore sono le due palazzine che fungevano da residenza. Risalendo s'incontrano la Fontana dei Lumini, la Tavola del Cardinale, le Fontane dei Giganti (il Tevere e l'Arno come sulla Piazza del Campidoglio a significare l'antichissimo legame tra Roma e l'Etruria che si ritrovano affratellate nella Tuscia), la Catena d'Acqua, la Fontana dei Delfini. Si giunge infine alla Loggia delle Muse con l'esoterica Fontana del Diluvio e il Giardino Segreto. Come a dire che in cima alla villa, come in cima a tutte le aspirazioni umane, è l'arte, il cui pieno possesso, dopo che il furor panico alitando nel cuore e nella mente ha acceso la fiamma della creazione, deve essere assicurato con conoscenze ermetiche, con il raccoglimento, con la riflessione, con la saggezza e con la segretezza. E sono questi gli stessi temi che Vicino Orsini andava sviluppando nel suo Sacro Bosco.

Il Parco dei Mostri di Bomarzo è certamente il luogo più magico tra quanti ricordati. Esso si distende nella valle sotto il paese che è dominato dalla mole di Palazzo Orsini, ove ornamento primo è la rosa a cinque petali, simbolo della famiglia, ma anche di Venere, della Vergine Maria, dell'amore platonico. L'andamento mosso del terreno, il fiume che scorre nel fondo e la ricca vegetazione, unitamente alle gigantesche sculture direttamente eseguite lavorando la pietra del luogo, compongono un unicum eccezionale. Il nome Parco dei Mostri è nome popolare suggerito della curiosità del luogo e da leggende superstiziose alimentatesi nel corso dei secoli. In realtà il suo nome, che compare in una delle tante iscrizioni che accompagnano i vari monumenti, lo definisce "Sacro Bosco", paragonandolo per bellezza alla antica Memphi. Vicino Orsini, amico del Cardinal Madruzzo cui dedica nel suo Bosco una iscrizione, è l'artefice primo del Sacro Bosco che riflette i suoi gusti estetici ed intellettuali. Vicino si è dedicato per anni al Bosco, dal 1550 al 1573, con l'ausilio forse di Pirro Ligorio. Invitandoci gli amici certamente egli illustrava loro il percorso iniziatico. Da dove cominciare? Difficile dirlo precisamente anche perché l'ingresso originario al Bosco era forse un tempo in altro sito. Notevoli sono i riferimenti astrali mai scomparsi col subentrare dell'epoca Cristiana che anzi li adottò piegandoli alle sue esigenze così che la Via Lattea finì per portare a Compostella, il Campo delle stelle, e la Costellazione della Vergine fornì i punti topografici per la costruzione delle Cattedrali mariane di Francia. Nel Cinquecento, poi, proprio quelle stelle che avevano guidato Colombo ritornano in particolare auge basti pensare, solo a Roma, al soffitto della sala dei Pianeti alla Farnesina-Chigi o a Dio che sovrintende agli astri nella cappella Chigi in Santa Maria del Popolo. I vari complessi scultorei di Bomarzo sono riferibili quasi tutti a miti legati alle forze naturali, ai. temi della vita, del tempo, della fama, dell'aldilà, con inviti a perseguire la via della saggezza, che è cammino iniziatico. Tra i tanti personaggi che accolgono il visitatore, quasi tutti di grandi dimensioni e sorgenti direttamente dal terreno di cui fanno parte, ricordiamo i più suggestivi. La testa di Proteo-Glauco con la gran bocca aperta e che sostiene il mondo sovrastato dal castello degli Orsini, è la celebrazione somma del costruttore e della sua famiglia. Cerbero a tre teste con le fauci aperte nel latrato è simbolo degli Inferi, delle Parche e del tempo che passa e, latrando, annuncia la presenza del mistero. La tartaruga gigante, con la balena a fauci aperte e la fontana di Pegaso con il piano inclinato, sono forse le costellazioni della Balena, della Tartaruga e dei Pesci e l'inclinazione può alludere all'asse dell'eclittica che è inclinato rispetto all'equatore. Ma potrebbe essere anche il suicidio di Saffo. Sulla tartaruga, infatti, è ritta una figura femminile, immagine cara ai neopitagorici, come prefigurazione dell'anima che, tuffandosi, passa ad un altro stato per poter essere finalmente glorificata. I due giganti in lotta da alcuni sono interpretati come Ercole e Caco e da altri come lotta rituale tra un Gigante ed una Gigantessa, pratica prematrimoniale della città di Sparta, e quindi invito al matrimonio. Il Tevere o Tirreno è raffigurato da una gigantesca divinità di tipo fluviale che non manca mai in questi giardini. Arianna, la Ninfa Dormiente, è simbolo dell'amore libero ed anche dell'amore coniugale come testimonia il cagnolino ai suoi piedi. Cerere, la dea delle messi, è l'immagine della fertilità del luogo. L'Elefante con il Legionario si riferisce ad un complesso repertorio di ricordi storici della Roma antica ma simboleggia anche la sapienza. Il Drago incarna il tempo. La grande testa dell'Orco apre la bocca consentendo al visitatore di entrarvi e di scoprire così il mistero. Ma ancora nel Bosco troviamo, tra statue, vasi e sculture di ogni genere, il ninfeo, il teatro, la casa pendente ed il tempio, fatto costruire da Vicino in memoria della seconda moglie, principessa Giulia Farnese. Nel ninfeo si venerano le Tre Grazie, centro della speculazione neoplatonica fiorentina ed anche triade di contemplazione, azione e voluttà. Esse sono anche le Tre Marie di Dante che coincidono con le tre grandi scuole di filosofia, la Peripatetica (contemplazione), la Stoica (azione) e l'Epicurea (voluttà). Il Tempio dedicato a Giulia Farnese è ottagono (eternità) preceduto da un pronao profondo, di reminiscenza etrusca. E il tempio di Giulia, degli Orsini, della Madonna, del Mistero come ricordano le numerose rose che fioriscono nei lacunari. Ma è anche tempio supremo del cielo percorso com'è tutt'attorno dai segni zodiacali.

"Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder maraviglie alte et stupende venite qua dove sono faccie horrende elefanti leoni orsi orchi e draghi" è scritto su di una panca in pietra del Bosco. Invero Vicino non ha esagerato con queste parole. Novelli pellegrini, una volta percorso il cammino che ci ha condotto da un santuario all'altro dei Cimini, accogliamo il suo invito. E mentre il sole, tramontando dietro il crinale del monte, tinge di rosso il cielo e le ombre si allungano lungo i viali del Bosco che d'improvviso si colmano di mistero, proviamo a sostare in silenzio e scomparirà il sentimento del tempo presente per lasciar posto a quel sentimento panico che ci fa sentire parte dell'universo, sospesi anche noi, come Arianna, tra la terra e il cielo dove Venere si è accesa per annunciare l'imminente danza delle stelle. Forse potremo intuire, sia pure per un istante, il disegno supremo del Creatore.

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