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Muhammad ibn 'Alī ibn Muhammad ibn al-'Arabī, (arabo: أبو عبد الله محمد بن علي بن محمد بن العربي الحاتمي الطائي, Abū 'Abd Allāh Mu'ammad ibn 'Alī ibn Mu'ammad ibn al-'Arabī al-'ātimī a'-'ā'ī), più noto come Ibn 'Arabī (Murcia, 7 agosto 1165 – Damasco, 16 novembre 1240), è stato un filosofo, mistico e poeta arabo.
La sua opera ha influenzato molti intellettuali e mistici sia orientali sia occidentali. Alcuni studiosi ritengono che egli abbia in qualche misura influenzato, seppure in modo indiretto, anche Dante e San Giovanni della Croce. È conosciuto in Occidente come Doctor Maximus e nei paesi islamici con i titoli di Mu'yī al-Dīn ("Colui che rivivifica la religione") e di al-Shaykh al-Akbar ("Il sommo Maestro").
Studiò a Siviglia e Ceuta. Visitò La Mecca e Baghdad e successivamente visse a Damasco. Nel 1179, incontrò il filosofo Averroè a Cordova. Averroè, filosofo razionalista e aristotelico, ormai settantenne, chiese di incontrare il giovanissimo teologo. L'incontro fu molto importante per entrambi. Il vecchio Averroè fu molto colpito da un "così divino maestro", al quale chiese a bruciapelo: "Ci si arriva?", ricevendo dal giovane Ibn 'Arabī la stringata ma densa risposta: "Fino a un certo punto". Malgrado la sua giovane età (aveva infatti 14 anni appena) percepiva la debolezza del percorso razionalistico della filosofia per giungere alla verità della Rivelazione. Fino al 1198 Ibn 'Arabī trascorse la sua vita in al-Andalus e in Ifriqiya, incontrando sufi e teologi razionalisti, talvolta misurandosi con loro in dibattiti. Per tutto questo tempo si afferma abbia avuto varie visioni mistiche. Nel 1198 ebbe una nuova visione che gli ordinava di partire verso est, ove avrebbe passato il resto dei suoi giorni. Dopo alcuni anni di viaggio attraverso Arabia, Egitto, Asia Minore e altri luoghi, ormai maestro di grande fama, si stabilì a Damasco dove trascorse il resto della propria vita. Qui avvenne un altro incontro importante per gli sviluppi del sufismo con il giovane Gialal al-Din Rumi destinato a diventare il più grande poeta mistico della letteratura persiana medievale. Durante questo periodo completò la sua opera principale, i dodici volumi delle al-Futū'āt al-Makkiyah ("Le Rivelazioni della Mecca"), che era non solo un'enciclopedia esaustiva del credo e delle dottrine del sufismo, ma anche un diario trentennale delle sue esperienze spirituali; un compendio delle scienze esoteriche dell'Islam che sorpassò qualsiasi altra opera precedente ma anche successiva che trattasse degli stessi argomenti.
Le Idee Fondamentali di Ibn 'Arabī
1. Dio e il Mondo. Nelle Futûhât Ibn `Arabî dice: "Gloria a Dio che ha portato tutte le cose all'esistenza, essendo Egli stesso la loro sostanza, Egli che è la sostanza di ogni oggetto di manifestazione, benché non sia la sostanza degli oggetti nelle loro essenze" (vedi 20,25). Inoltre, nelle Fusûs: "Dio manifesta Se stesso in ogni atomo della creazione: Egli è rivelato in ciascun oggetto intelligibile e nascosto ad ogni intelligenza che non sia quella di coloro che sanno che l'Universo è la Sua forma e ipseità, dal momento che Egli sta, rispetto agli oggetti fenomenici, nella medesima relazione in cui lo spirito sta al corpo".
2. Dio e l'Uomo. "L'Uomo è la forma di Dio e Dio è lo spirito dell'Uomo." "L'Uomo sta a Dio come la pupilla sta all'occhio: per mezzo dell'Uomo Dio vede gli oggetti che Egli stesso ha creato." "L'origine dell'Uomo è sia temporale che eterna, essendo costui un qualche cosa di effimero e di eterno." "L'Uomo è la sostanza di di ogni attributo di cui ha rivestito Dio: quando contempla Dio egli contempla se stesso, come Dio contempla Se stesso quando contempla l'Uomo. A causa di ciò Abû Sa`îd al-Kharrâz disse di essere volto e lingua di Dio; e disse inoltre che Dio poteva essere chiamato sia col nome di Abû Sa`îd al-Kharrâz che con altri nomi appartenenti alla temporalità, dal momento che Egli in Sé riunisce gli opposti." Dio dimora nel cuore dell'Uomo (6,1), e l'Uomo, investito delle qualità divine, è uno specchio che mostra Dio a Se stesso (10,2). Qualità divine possono essere attribuite a chiunque sia così fuori di sé, nell'estasi, da permettere che Dio diventi il suo occhio e il suo orecchio (10,1). Sebbene l'unione con Dio non sia possibile mentre il corpo dura (5,2), Ibn `Arabî, come Plotino, sostiene che l'"indiamento" sia attingibile (24,3). Altrove afferma che che la conoscenza di Dio sia l'estremo limite che ogni essere contingente possa raggiungere (17,5). Tale conoscenza è ottenibile solo per mezzo della Fede e della Contemplazione, che possono essere supportate dalla Ragione quando quest'ultima acconsenta a spogliarsi delle sue facoltà di riflessione (3,2-5). Qual è dunque il termine della conoscenza? Apparentemente è uno stato di Nirvana o di trascendentale inconsapevolezza (5,6): in presenza dell'Eterno il fenomenico viene meno (20,19).
3. La Religione. Dal fatto che tutte le cose sono manifestazione della divina sostanza segue che Dio può essere adorato in una stella o in un vitello o in qualsiasi altro oggetto, e che nessuna forma di religione positiva contiene più di una parte di verità. Questionare in fatto di religione è, quindi, vano. "Chi prega prega se stesso; il suo dio è creazione e creatura di lui medesimo, e pregandolo costui prega se stesso. Di conseguenza disdegna le credenze altrui, cosa che non farebbe se fosse avveduto; ma la sua ripulsa è basata sull'ignoranza. Se conoscesse il detto di Junayd ("L'acqua assume il colore del suo recipiente") egli non interferirebbe con le fedi degli altri, ma sarebbe in grado di percepire Dio in ogni forma e in ogni credo" (13,12). Ibn 'Arabī diede enorme peso alla sfera mistica, in contrasto con le posizioni razionalistiche maturate da Averroè (e destinate a non avere seguito nel mondo musulmano): nelle sue numerose opere - soprattutto in Trattato dell'Unità - egli insiste sull'unità dell'essere. Dio si moltiplica, attraverso i suoi attributi, nella creazione, ma il mondo sensibile è solamente un'ombra di esso. La natura è da Ibn 'Arabī definita come il "respiro del Misericordioso". L'uomo occupa una posizione centrale nel creato e i profeti sono espressioni della stessa realtà divina. Il fine dell'uomo consiste nell'unirsi misticamente a Dio nell'amore Vai al testo: "Trattato della Unità" |