Noi veniamo così a scoprire che l'antecedente diretto del totem attuale é precisamente quell'essere amorfo (quindi non animale né vegetale), indeterminato, unico, che dei miti totemici ci descrivono come la forma primordiale da cui l'attuale totem sarebbe derivato, ed in più quella impalpabilità animistica, quella onnipresenza, dovunque l'uomo vedeva una manifestazione di forza e di vita, che doveva essere propria del dio sgorgante dalla concezione religiosa e animata del mondo, che l'attuale magia presuppone come suo immancabile antecedente. E allora noi potremo concludere che verosimilmente così il totemismo come la magia non sono che i due punti di arrivo, a cui la religione della natura è pervenuta per via di dissociazione dei due suoi elementi, una volta strettamente congiunti: l'elemento religioso naturalistico trasformatosi in magia; l'elemento religioso sociale trasformatosi in quella forma di vita che si denomina totemismo: spesso l'una e l'altro coesistenti nella vita selvaggia, l'una e l'altro diffusissimi in una forma presso che universale, accanto ad altri elementi sporadici disorganici, e precipuamente mitici naturalistici, che sono come il ricordo sopravvivente della organica, salda, primitiva concezione religiosa enoteistica della natura.

Noi così avremmo, in qualche modo, tracciato il processo evolutivo attraverso il quale il presente selvaggio sarebbe passato. Nondimeno pienamente coscienti della varietà e complessità delle vie che la vita percorre, non diremo punto che questa forma di evoluzione aberrante, che é l'equivalente degenerativo dell'altra fulgida e meravigliosa che dalla religione enoteistica della natura conduce alla religione della bellezza, alla religione della morale, alla religione del diritto, e ad altre varietà ancora di diversa significazione e valore, sia la sola che la storia e l'etnografia possa presentarci. Abbiamo più volte affermato che non pensiamo punto che l'evoluzione sia unilineare, ma plurilineare e radiante; così ancora ci guarderemo bene dal ridurre qui questa plurilinearità ad un semplice bivio.

E di fatti studiosi eminenti come il Lang e lo Schmidt, in una forma inoppugnabile, ci hanno rivelato che anche nella presente età selvaggia, accanto alla magia, accanto al totemismo di alcune tribù, si trovano presso di altre delle credenze purissime, prettamente enoteistiche, assorgenti spesso ad una tale spiritualità e moralità di concezione, pur attraverso la loro rudimentale semplicità, da stupire profondamente. Il Lang può dire così che gli australiani del sud-est, «posseggono la credenza in un autore di tutte le cose, un essere primo di cui l'esistenza si perpetua sempre, sorvegliante la condotta degli uomini, punendo le disubbidienze alle sue leggi, e, in certi casi, ricompensando il bene in una vita futura». E lo Schmidt afferma degli stessi: «Si trovano in tutto questo territorio delle testimonianze nettissime della credenza ad un essere supremo, credenza che bisogna considerare come una specie di monoteismo, per quanto antropomorfico esso ci possa apparire». E lo stesso essi hanno riconosciuto presso i Pigmei. Questo essere é padre degli uomini, onnisciente, legislatore e giudice, veglia su l'ordine morale, ed è fornito di una tale umanità di tratti, da avere moglie e figli, da bere, mangiare e possedere tutti i sentimenti umani.

Se gli scopritori di questo evolutissimo enoteismo sostenessero la sua primitività assoluta, noi potremmo facilmente obbiettare loro come i tratti etici da un canto, così sviluppati, e la loro compiuta raffigurazione umanistica e antropomorfica dall'altro, danno a questo dio supremo caratteri nei quali l'elemento naturalistico è interamente sopraffatto da altri propri di un grado più evoluto della vita umana; e potremmo facilmente dedurre che anche l'enoteismo da essi scoperto é senza dubbio il punto di arrivo di un'altra via evolutiva, nella quale circostanze eccezionali hanno permesso che l'enoteismo naturalistico primitivo potesse non solo mantenersi, ma seguire una via di sviluppo in senso etico ed umanistico (antropomorfico).

Ma lo stesso Lang ha avuto una coscienza chiara della impossibilità che l'enoteismo da lui descritto rappresentasse la fase primordiale della vita religiosa: «La nostra informazione - egli dice - non é ancora sufficiente per permettere di elaborare una teoria scientifica delle origini della religione... Dietro alle razze che noi dobbiamo riguardare come le più prossime al punto di partenza, vi sono i loro sconosciuti antenati, di un passato senza data, uomini come noi, ma uomini sulle cui qualità psicologiche, mentali e morali, non possiamo formulare che delle congetture». Ciò ci permette di concordare pienamente con lui, e di convenire che sicuramente l'enoteismo, concepito in una forma più arretrata e più semplice, più naturalistica, depotenziato dei suoi attuali aspetti etici e umani, e riportato ad una fase semplicemente vitalistica nel suo contenuto, e ancora indeterminato, confuso, unitario e molteplice insieme, nella sua raffigurazione é quello che presenta per sé le maggiori probabilità, e concentra su di sé le maggiori ragioni psicologiche e teoretiche per essere la forma veramente primitiva.

In tal modo noi crediamo che le tre più grandi recenti conquiste della storia delle religioni, rappresentate dalla magia, dall'enoteismo e dal totemismo, contengano in sé elementi suscettibili di integrarsi a vicenda, e punti di contatto molto più numerosi e più significativi, al lume di una penetrativa ed evolutiva visione storica, di quello che finora si sia pensato e creduto. Tutte e tre queste forme ci rimandano, a parer nostro, ad una scaturigine comune - non geograficamente rintracciabile, ma idealmente ricostruibile - in cui, sotto la spinta delle esigenze vitali di un momento ben critico per la specie, i tratti differenziativi posteriormente affacciatisi scompaiono, e i comuni si associano in una unitaria primigenia realtà religiosa.

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