L'Epos di Gilgamesh

 

 

Qualsiasi studio del significato simbolico e spirituale dell'epos assiro-babilonese non può prescindere dalla seguente considerazione. A differenza delle forme poetiche affini, questa si conchiude male e negando, anzi non si conchiude affatto. Malgrado quindi la maggiore incidenza di elementi materialistici ambientali, credo abbia risolutivo valore, la storia interna di Gilgamesh.
Gilgamesh, capo pastorale rinomato per la saggezza e la forza insieme, fonda la splendida città di Uruk e trionfa dai nemici e dalle belve, dominando su tutti. Poiché é contrario ad ogni sorta di amore, ed alle donne in generale, Anu (il cielo) ispira ad Aruru (dea della femminilità e madre di Marduk) la creazione di un essere primitivo e terribile (ispirato a Sumukan-Pan) che vive con gli animali, perseguita gli uomini, terrorizza il luogo; é Enkidu. Contro di lui, per un susseguente accordo con la forza femminile (contrastante con la misogenia iniziale), Gilgamesh evoca da un tempio della sensualità, secondo il consiglio di un vecchio, la donna tentatrice, ed ella con le arti d'Ishtar, finisce per dominarlo. Il re ed il cacciatore selvaggio (ammirato da tutta la città come l'eroe venuto da Anul) diventano amici e dopo una cerimonia cui partecipa la madre Rishat - fratelli di vera e propria consacrazione. Insieme, dopo sogni e «premonitori», vincono, sotto la protezione di Shamash, il mostro Whumbaba che sbarrava i giardini dei cedri di Bel, ed anche Ishtar la quale voleva conquistare Gilgamesh, ed il cui animale sacro, richiesto da Anu, verrà ucciso e smembrato dall'eroe. Poi Enkidu fa altri brutti sogni (rapito da un'aquila), é preso dalla malinconia, si ammala.

L'amico indivisibile, addolorato, vorrebbe trovare lenimento anche ai propri dubbi, perché, divino solo in parte, é rimasto in fondo, suddito terreno. Viaggia a lungo invocando Utnapishtim (che era divenuto immortale) e anche la Luna ed il Sole, valica le montagne Mashu, parla con gli uomini-scorpione, li convince ad aprire la porta del Sole, è indirizzato da Shamash al Giardino degli Dei ove impera Siduri Sabitu custode dell'albero della vita e da lei alla immortalità acquisita di Utnapishtim (suo avo) da cui però non ricava dapprima molto. In seguito, per sradicare la «panacea» dal fondo marino, affronta il nocchiero Ur-Shanabi, indi deve disfare parecchi carichi di pietre, tagliare centoventi tronchi e adattarli a pontile, aspettare la cottura di più pani, ecc.

 

Una quasi interpolazione a questo punto é la storia del Diluvio che cancellò dalla terra la città di Shurippak, e dal quale il parente di Gilgamesh si salvò per ispirazione di Ea (1). Ristorato e consigliato dall'ospite, il viaggiatore scende in mare e ne porta su la pianta dell'immortalità, ma un serpente è attirato dal suo profumo e ne mangia; Gilgamesh, sconsolato, torna ad Uruk. Interroga in seguito lo spirito di Enkidu e va a trovarlo sottoterra, col permesso degli Inferi, ma l'amico lo delude e l'amarezza conchiude la sua vita con la morte nel sonno.

La descrizione assiro-babilonese dell'Arallu é inesorabile ed amara, materiata di oscurità e di polvere, popolata di larve sudice, intristite, invidiose di chi campa ancora, nutrite di terra bagnata e sottoposte a ferree leggi conservate da déi e diavoli che soffrono come tutti gli altri, in una corte che incomincia dalla coppia Nergal-Ereshkigal, i cui ciambellani sono gli Anunnaki e la cui giustiziera è Mamitu, fino al principe Namtaru ed ai guardiani Nedu e Ningishzida.

Oltre il fantastico ed il letterale, questo poema é suscettibile di varie osservazioni. Può contenere un nucleo storico trasfigurato in seguito attraverso la comunicazione rapsodica; può rimandare al fluire lirico di momenti di esaltazione artistica; può essere il travestimento leggendario di una condizione psicologica eterna, il terrore del vuoto e dell'aldilà. Il fattore emotivo suscitato dall'esperienza umana del morire, si trova indubbiamente a reale base della fantasmagoria, ma la medesima persistenza di considerazioni etiche (il pessimismo ad esempio) ed il senso direi strutturale della composizione, dichiarano la presenza di una filosofia della morte.

Non bisogna però interpretare la filosofia come semplice presa in considerazione del fenomeno della morte, bensì come il principio di uno sviluppo meditativo i cui risultati, ordinandosi nel quadro del pensiero universale, si riverberano nella vita e vi lasciano la loro traccia coagulante e risolutiva. Filosofia quindi nel senso proprio del termine, anche perché, nel suo ruolo di attività sintetica coglie gli elementi sentimentali, fantastici, storici. La filosofia, proprio perché tale, é oltre il contrasto diretto e immediato dell'esistere e del non esistere, in quanto essere e non essere sono categorie o almeno risultati, espressioni (finali se mai), dell'attività formale del pensiero.

Esiste dunque, al fondo della risonanza epica, la intelaiatura del pensiero. Essa si puntualizza nei personaggi, nei fatti e nei luoghi, purché attori, azioni e sfondi siano reinterpretati in una ulteriore significazione, in una analogia.

 

Immaginiamo allora di condensare, voce per voce, le idee intorno ai centri mitici che liricamente le rappresentano (ed anagogicamente le raccolgono e le giustificano). Intendo di conseguenza un dizionario ragionato.


Dinanzi alla strapotenza degli elementi, le divinità furono costrette a ripararsi sul monte Anu. Utnapishtim aveva già ricostruita la nave e la casa di pietra al posto di quella di rami ed argilla, e vi aveva conservato i suoi parenti, oro, argento, campioni di sementi ed artefici dei vari mestieri. Aperta una finestra sulla fine della bufera, il superstite constatò che tutti erano annegati, ed approdò sul monte Nissir la cui cima appariva isola, dopo un prolungamento della navigazione di 12 ore «doppie». Ancora una settimana e partirono messaggeri: colomba, rondine, corvo. L'ultimo toccò terra. Allora l'uomo inviò gli animali a ripopolare la terra, scese, sacrificò un agnello agli dei e ricevette l'immortalità per se e per la compagna ad opera di Ea. Lo aveva egli salvato premiandone la saggezza e lo difese insieme a Ninib dalla collera del Bel che non avrebbe voluto più nessuno vivo.

Gli déi gradirono il sacrificio, la madre celeste solennizzò la ripresa della vita, rimproverando Bel il feroce, ed a lui rivolse rimproveri Ea, saggio e giusto, affermando che non si potevano uccidere tutti gli uomini perché alcuni colpevoli pagassero la pena.

ABITATORE (L') DELL'ISOLA DELLA VITA.

Pari a Deucalione con Pirra (anch'egli costituente con la moglie coppia immortale), é Utnapishtim, proavo o quasi del protagonista, ed antenato poetico di Cacciaguida. Come il Crociato rappresenta per Dante il segno di una generazione ammirevole ma scomparsa, così l'Uomo pre glaciale indica una messe di virtù che gli Dei - malgrado avessero deciso di sommergere con il Diluvio, le malefatte della loro terrena figliolanza - intesero salvare. Cacciaguida significa anche qualche altra cosa, il modello dell'umanità come dovrebbe essere; Utnapishtim é uomo nuovo perché ha realizzato in se la palingenesi attraverso la prova del Diluvio. Potrebbe dunque incarnare il valore di una trasmutazione, non con il racconto di avvenimenti reali, ma con il simbolo dell'umanità avvenire, Gilgamesh però non é chiamato a compierla.

Egli non é il tipo ideale, non abiterà l'isola e non avrà il dono dell'eterno. Infatti proprio per non dirgli di no, l'antenato lo manda a prendere l'erba magica della giovinezza, ma si sa bene che sarà inutile.

ABITO MAGICO.

Tipico del cerimoniale magico, il manto é esplicitamente espresso a proposito di un iniziale clichè della terribilità di Kumbaba, cioè del suo Guardiano della Soglia (meglio rappresentato però da Kumbaba medesimo); questo tremendo personaggio riveste sette abiti fatati il cui influsso é però neutralizzato dal Sole e da Marte (Shamash e Ninib, amici di Gilgamesh). Il corrispettivo porrebbe essere la pelle leonina d'oro del protagonista, insieme alla pelle in genere (forse anche per residui animistici), ed all'abito sempre nuovo regalatogli dall'antenato per il ritorno.

Se l'abito magico, oltre che con la corazza d'oro di Rishat - é simbolo di un connesto di forze rituali ad uso protettivo, Gilgamesh porta con se dal viaggio verso l'immortalità, qualcosa di prezioso, benché non sia l'erba della giovinezza.

ALI (MORTE).

Sono attributi delle anime dei morti; con esse coprono e compensano si direbbe, la loro nudità. Ma le ali fanno pensare al volo e la poesia dipinge quegli spiriti vaganti e dolorosi quali uccelli sperduti ed affamati. Se si tiene presente che l'attributo aligero riveste nel mondo classico notevole importanza, non può non risaltare qui - forse come risultato di particolare pessimismo - il continuo rapporto di volo e sprofondamento nell'oscurità. Il volo prelude alla morte (l'aquila rapitrice di Enkidu). Confrontiamo con il mito, oltre che Etana, di Adapa. Era re assiro-babilonese figlio di Ea che rinunziò alla immortalità. Si era impadronito appunto di un paio di ali, quelle del Vento del Sud (creatura terribile che aveva tentato di farlo naufragare). È chiaro che se non ci fossero state di mezzo le ali, la immortalità sarebbe stata conservata!

S'immagina dunque qualcosa significante sparizione o meglio ratto (quello di Enkidu, ben diverso dal classico rito di Ganimede).

ALIMENTAZIONE INFERNALE.

Consistendo in polvere e rifiuti, dovrebbe non avere affatto ragione di essere o elidersi completamente nella semplice ipotesi della illusione. Ai fini del tracciato più organico possibile tra i concetti della vita e morte, sui quali la storia di Gilgamesh è articolata, quel congiungersi di opposti s'intende così: vengono in contatto per il proseguimento della vita (non carnale, ma reale comunque, sensibile, cosciente), la funzione della continuità vivente e cibi assurdi, anzi parvenze, larve di alimenti. Essi indicano uno stato di soluzione massima dell'energia (che tutti i cibi possiedono) dalla loro fisica pesantezza, in modo da sprigionare correnti elementari convergenti alla estinzione dei bisogni degli organi astrali degli ospiti del mondo sotterraneo.

Tenuto conto che fango, limo, polvere impastata e povere cose del genere, si animano, nella Bibbia e nelle Teogonie, e danno origine all'uomo, non si deve poi prendere tanto con le molle l'idea che gli spiriti dell'Arallu facessero certi banchetti. Squallore a prima vista, d'accordo, ma l'operazione alchimistica non si attua in pieno, se prima non ci si nutre delle «fecce» cadaveriche del «nemico» (il corpo, la carne, la terra, ecc.).

ANIMALI ALLEGORICI.

Gilgamesh atterra il bufalo brado, si veste di pelle di leone, si nutre della carne di bestie selvagge (leoni, cani, pantere). Così più o meno Enkidu, il quale é paragonato alla pantera, e, nel periodo iniziale della sua vita, mangia e beve insieme alle gazzelle e ad altri animali selvaggi che protegge dai cacciatori.

Gli incubi sono paragonati alle iene, le anime dei morti agli uccelli e, per essere in caratteristica con il triste luogo, a pipistrelli e a gufi in particolare. Bufalo scatenato é la visione del guardiano delle proprietà di Kumbaba, il quale per conto proprio é una sintesi mostruosa di varia belluinità. Quando piange l'amico, Gilgamesh é simile a leonessa ferita. Il Diluvio é anche ricco di animali, non solo perché la nave del Noé assiro-babilonese ne é piena, ma anche per i messaggeri alati famosi (colomba, rondine, corvo) e per l'innocente agnello sacrificato a edificazione del pio beneficato e a sollievo delle nari degli Dei, che come mosche affamate (sic) si precipitarono sull'odore.

ARALLU.

La immagine emotiva del male. L'inferno di Dante ed altre localizzazioni psicologiche del genere.

ARMI.

Rivelano la loro qualità specialmente nella vittoria su Kumbaba. Ivi é il quadro perfetto della ispirazione solare - (Shamash guida l'azione) - del combattimento dei suoi interpreti (la coppia degli amici inseparabili) con il guardiano delle potenze elementari della vita. Sono dunque. l'anima intelligibile e la irascibile, cioè i due guerrieri che tirano frecce ed infilzano il mostro con la lancia: sono i raggi stessi che s'inseriscono nella fluidità cangiante delle apparizioni, l'ingannevole volto della natura (dietro é nascosto il resto, potenza elementare, anima fisiologica).

La figura di Kumbaba infatti è un campionario di fantasie di ebbri: artigli di leone piantati su tronco corazzato di bronzo, basi a forma di zampe di rapaci, corna di bufalo in testa e serpenti un poco dovunque.

Interessante notare che questo mostro é stato ritradotto in più modi nei poemi epico-romanzeschi di secoli dopo, quando non era possibile leggere le carte assiro-babilonesi.

ASTRONOMISMO PSICOLOGICO.

Gilgamesh é considerato molto saggio ed é protetto da Adad (una specie di Thor signore del tuono) e da Ea (dio del mare e delle voragini) oltre che da Shamash (il Sole). Quando per esempio va a ritrovare Enkidu, indossa la pelle del leone (corazza solare di Ercole, ed infatti la sua è detta aurea). Enkidu appare in sogno a Gilgamesh come una figura materiata di stelle cadute dal cielo e raccolte in argenteo impasto; egli é infatti uomo celeste creato dalle forze dell'alto.

AVVENIMENTO.

É descrizione psicologica ispirata a conoscenze filosofiche (l'io alla ricerca del superamento della individualizzazione empirica o spazio temporale) o magiche (i richiami ad operazioni che vanno dalla trance onirica alla lotta contro i mostri, simboliche vesti di stati d'animo umani e subumani); ed infine innestata su piano fantastico (il motivo epico e romanzesco) e materialistico (tutto si traduce in concretezza e felicità o infelicità palpabili).

La vicenda non si conchiude, e questo contribuisce a ribadire il suo assoluto realismo, oppure lascia la possibilità di compiere la trasvalutazione delle conclusioni. I riferimenti base della storia costituiranno le tappe della descrizione psicologica ed i punti di appoggio simbolici della dottrina che essa contiene.

Li ritengo riassumibili più o meno nelle seguenti voci: personalità ed azioni, rapporto di vita e di morte, combinazioni di sostanze ed unioni sessuali, uso di strumenti magici, onirismo (incubi), viaggi, tempi e località, animalità simbolica, trance e chiaroveggenza, ecc.

COMBINAZIONI DELLE SOSTANZE OPPOSTE.

Avviene nell'Atanor-Kigallu, con la immaginaria visita di Ishtar (forza generativa universale, Venere, ma qui Proserpina viaggiante nel regno dei morti). Ella s'incontra con la Morte (Ereshkigal, dea delle tenebre, parallelo in alcuni momenti di Persefone, e sposa di Nergal, dio della fioritura agricola). Siamo evidentemente dinanzi alla rappresentazione mitica della concomitanza delle forze diverse nella unità organica della Natura: il panta rei.

CREAZIONE DELL'UOMO E DIVINITÀ CREATRICI.

Enkidu é creato da Aruru, secondo la ispirazione di Anu. Il sistema pratico é tipicamente affine a quello di Adamo: argilla in cui é immesso l'elemento vitale (qui sotto forma di acqua fonte della generazione) che comunque esce dalla bocca.

Oltre a questo composto diretto, il racconto fa cenno ad altre cose: il soffio dei polmoni ed il calore sanguigno di Ninib (il Marte assiro-babilonese). Ne consegue, evidente, la sintesi dei quattro elementi: terra, acqua, aria, fuoco. Dalla tradizione medio-orientale sulla eventuale origine umana, siamo passati senza avvedercene, al simbolo ermetico della Croce degli Elementi, ma non basta. Analizzata filosoficamente, l'apparizione del personaggio mostra la distinzione (bruniana) di Natura naturans e naturata, la quale permette che si risalga:

1) al rapporto platonico del Mondo delle Idee (Anu, il Cielo, l'Iperuranio), cui rivolge gli occhi Aruru (il Demiurgo, l'Artefice della materia secondo l'impronta ideale), nell'atto della cosiddetta creazione;

2) alla differenziazione pitagorica di Uno (Padre) e Due (Madre).

DESERTO.

Condizione di ansia interiore. perché, da parte dell'Io, non è stato ancora raggiunto il completamento di se stesso. Il motivo del deserto si rifonde quindi nei viaggi, che sono gl'itinerari dell'autoformazione, ed in essi si ritrova e si spiega.

DIALETTICA DI ISHTAR.

Si profila quando alla minaccia di fare ritornare sulla terra i morti e di fare uscire i diavoli dall'inferno di cui intende aprire la porta. Questo potere di regolazione del rapporto tra la Vita e la Morte dimostra la identità tra la Natura e la Dea. Ishtar infatti assicura la vita per tutti anche se Anu fa presente la incombenza del pericolo della carestia. La relazione dialettica si conferma con la discesa di Ishtar nell'Inferno e si spiega infine con la constatazione che qualsiasi forma di vita é concepibile in quanto è. Il mondo, stato di frattura e relatività perenne, condiziona il pessimismo assiro-babilonese; la conclusione fisica e realistica finisce per mantenerlo intatto invece di sfociare nella soluzione armonizzante e dinamica della sintesi.

DIALETTICA DI ENKIDU-VOLONTÁ.

1) (tesi) stato dell'Orda, indiscriminatezza, astrazione, irrealtà.

2) (antitesi)il fascino dell'immediatezza sensibile, la comparsa della donna. 3) (sintesi) la possibilità di riunirsi con la conoscenza e l'azione consapevole (visita alla città, rapporto sociale, ecc.).

CHIMICA DEL DILUVIO E DIATRIBA ACQUA-TERRA.

Stile affinità bibliche di per se evidenti, ed anche classiche (la consacrazione della coppia eletta), non é il caso di soffermarsi.

É chiaro che il mito del Diluvio possiede anche notazioni scientifiche (come probabile risultato della trasvalutazione, ad opera del terrore naturalistico-sacrale, di un lontano avvenimento fisico o di più fatti del genere verificatisi in vari luoghi). La storicità del mito omerico è del resto il risultato di una pluralità di centri asiatici o come Ilio in diverse occasioni disfatti e rinascenti. Ricavando dalla narrazione un possibile quadro di sintesi simbolica, mi sembra, che, non il diluvio solo, ma in certo modo l'intero epos in questione, tragga la definizione base dall'Acqua od ancora del contrasto (sostanzialmente alchimistico) Acqua-Terra.
Fermandoci al racconto della nota sciagura, domandiamoci quali siano le divinità che ne partecipano e ne discutono. Ishtar prova l'angoscia dello spirito materno dinanzi alla distruzione della prole ed é raffigurata contemporaneamente come donna la quale soffre per il parto imminente. Tenuto conto che si trova in causa anche Ea, signore degli abissi - ma contro il terribile massacro e favorevole alla pietà verso gli uomini in pari con Ninib dio della guerra (sic) - penso che la soluzione definitiva del simbolo si ritrovi nell'avvicinamento alla trasformazione secondo le concezioni di Oriente (Siva), oltre che ad Ovest, alla eraclitea guerra-madre-regina-dialettica. Bel, giustiziere inesorabile, più che esprimere norme e sanzioni, é tipico volto della Fatalità che travolge buoni e cattivi.

Probabilmente anche per tale motivo, si scorge una cieca lotta a tutti, compresi gli Dei. Questi ultimi si rifugiano sulla montagna, durante la tempesta che dilaga: è la lotta Acqua-Terra, cui altre tradizioni (la classica
e l'evangelica) hanno aggiunto la nota ermetica della ripresa di potenza in Egitto. Gesù-Luce-Oro-Fuoco. Il rapporto dell'Acqua con la Terra contiene la descrizione della immediatezza vitale, con la diatriba continua dell'essere e non essere, del coagularsi e del dissolversi, della via umida e della via secca dell'Alchimia.

Ne è risultato l'immortalità (o giovinezza eterna) del superstite uscito dalla nave-arca-fornello di condensazione delle forze di tutta la vita, ancorata sulla cima di un monte, quindi sprigionante il contatto con il Cielo (Luce). Siamo giunti così alla Pietra Filosofale che conserva o dilata, che raccoglie le forme e le ridistribuisce e le annulla per rifonderle e risuscitarle in vesti nuove ed in nuovi colori.

Che il diluvio sia diventato l'irrazionale sfogo della rabbia divina, in concezioni più o meno antropomorfiche (la biblica più antica, l'assiro-babilonese, la latina ecc.) non deve meravigliare; magari immaginando qualche motivo etico e storico a parziale giustificazione.

Interessante infine é il fatto che, anche nel racconto ormai liricamente fantasticizzato, si parli, come altrove si vede, di cose svolgentesi in ore doppie di maggiore intensità e significazione (interno non misurabile coi sensi). Le ammonizioni del protagonista al nipote di Uruk, per esempio, hanno i riflessi di un pessimismo di cui il Vecchio Testamento presenta esempi cospicui. Si rende possibile, forse, la qualificazione del poema di Gilgamesh, descrizione drammatica dell'economia del mondo. Contribuiscono a dilatare il raggio d'interpretazione del poema, il contrapporre (neotestamentario senz'altro) della casa di pietra che salva Utnapishtim dal diluvio ed é stata costruita con regole divine, e dalla umana casa di argilla e di canne, prima inconsciamente abitata: coscienza che supera il relativismo.

DUALISMO DI GILGAMESH ED ISHTAR.

È il contrasto tra l'Io consapevole e la oggettività impersonale della Natura.

ELEMENTI (GLI).

L'isola della vita è il punto di arrivo di un viaggio il cui itinerario é segnato tra l'altro dalla composizione dei quattro elementi: l'acqua che deve essere percorsa dalla navicella quasi alla maniera di Caronte, la terra ossia una quantità di pietre, che formavano il ponte di passaggio in mezzo all'elemento liquido (coagulantesi nella pietrificazione), il fuoco cioè il legno, destinato ad essere immerso nell' acqua (luce nella profondità del fluire elementare, i piloni di origine ignea, tagliati dall'albero con l'arma solare, l'ascia), l'aria (il vento che permette il rapidissimo moto della nave a vela, su cui sono imbarcati Gilgamesh e Ur-Shanabi (Caronte) verso le acque della morte).

Il metodo tradizionale del nocchiero era l'uso delle casse di pietra, onde si poteva parlare di una via della pietra e dell'acqua, ma poi l'eroe, irato per la sua assenza e non sapendo a chi rivolgersi, distrusse tutto. Dovette allora tagliare 120 tronchi di 60 cubiti ciascuno, appuntirli ed infiggerli nel fondo della nave. Nasce così quella che direi la via del fuoco e dell'acqua.

In un caso o nell'altro. l'elemento fluido ed umido é il serbatoio della vita ed è conseguenza legittima che in essa sorga l'isola meravigliosa abitata dall'antenato di Gilgamesh, prediletto dagli Dei. Il completamento della sintesi degli elementi lascia dietro le spalle due vie che significano praticamente due volti o prospettive della vita: la conservazione e la trasformazione, la pietra e il fuoco.

ELEMENTI (GLI) NEI VIAGGI.

La storia del Diluvio pone in evidenza la successione delle seguenti sostanze: l'Acqua che invade la città dell'antenato di Gilgamesh, il Legno con cui è costruita la nave della salvezza (come l'Arca di Noè), la Pietra di cui è edificata la casa sulla nave. Collegamenti successivi si hanno con l'arrivo e la fatica di Gilgamesh, ma sempre con sostanze analoghe. Per giungere alla meta finale egli si serve di un passaggio di acqua in cui immerge tronchi di legno adattati, dopo avere disfatto casse piene di pietre o averne spezzato il contenuto. Il punto di arrivo é la terra (isola serena residenza di Utnapishtim). Per il lavoro da pontiere, si registra anche l'uso dell'arma da taglio.


ENKIDU.

L'Io tradotto in azione; la proiezione attiva della conoscenza; la volontà. Infatti Gilgamesh nulla compie senza di lui e quando Enkidu scompare, tutto gli crolla intorno.

GERARCHIE COSMICHE (LE).

Sono i tipici stampi in cui, secondo le teologie, va ad inserirsi e si attualizza il tracciato della corrente vitale fluida e sonante. Hanno duplice direzione, celestiale e sotterranea.

Nella prima troviamo il Padre e la Madre (cui si rivolge la preghiera di Ishtar), cioè Anu e Antu. Nella seconda, Nergal ed Ereshkigal.

GILGAMESH.

L'Io come conoscenza, anzi sforzo di attuarsi nel conoscere; consapevolezza dello stato di inferiorità dell'individuo rispetto al cosmo (esistenzialmente, nozione perenne dell' «angoscia»).

INCUBO E SUCCUBO.

Si ha con il Diavolo che s'impossessa di Enkidu attraverso lo stato di febbre, onde il discorso alla porta sotto forma di delirio.

Più che una trance, si riscontrano qui il diavolo-incubo ed il succubo-Enkidu (il quale poi effettivamente muore).

INIZIAZIONE (ANDROGINA) DI ENKIDU.

Segue a quella sessuale operata, ad iniziativa di Gilgamesh, dalla messaggera di Ishtar. In effetti Enkidu passa dalle braccia di una donna a quelle di un uomo (che poi sarà suo fratello) e dalla guerra d'amore alla competizione di forza. La fase culminante del primo atto é la riprova della paura che gli animali - con i quali il cacciatore viveva in dimestichezza - provano per lui dopo che è avvenuto il congiungimento con la messaggera di Ishtar.

La innocenza primitiva é perduta e dallo stato dell'orda, l'individuo, svegliato, è passato alla condizione umana. Egli infatti si lascia condurre in mezzo ai propri simili, nella città, e nel tempio di Anu e d'Ishtar, mangia i loro cibi, il pane ed il vino, ed indossa le loro vesti. É come dire svelato il primo mistero della civiltà.

La seconda fase culmina con il riconoscimento dei vincoli sociali (fratellanza, figliolanza, famiglia). Questo é l'aspetto sociale e storico della iniziazione di Enkidu. Il significato interiore consiste invece nel completamento della unità solare; essa poi dovrà muovere contro i mostri e conquistare il toro celeste. Tale unità nasce da Gilgamesh e da Enkidu insieme. Se si tiene presente che il primo è dipinto come misogino e l'altro invece, proprio attraverso la pratica sessuale, diventa se stesso, il motivo di fusione dei due principi, il virile puro e la infusione di fluidi operata dalla femminilità pura in Enkidu, è in atto; essa si compie nell'involucro psico-fisico dell'uomo in genere (la città o il complesso delle funzioni della vita retto dall'intelligenza, il Re). É l'Androginato, simbolo del perfetto equilibrio umano.


INIZIAZIONE RITUALE (I GRADI DELLA).

L'amicizia tra Gilgamesh ed Enkidu, assume tra l'altro il significato descrittivo di una iniziazione cerimoniale in tre momenti, ciascuno caratterizzato da un principio vitale: la Forza, la Femminilità, la Conoscenza. Dapprima Enkidu contrasta il re nella lotta, poi Gilgamesh vincitore lo getta ai piedi della madre Rishat; infine si comprende che gli ha dato un altro figlio, ed in conclusione i due si riconoscono fratelli, comprendono la loro comune verità (secondo il motivo dantesco della Donna-dottrina che qui è Rishat, madre, veggente, sacerdotessa, regina).

Enkidu dunque subisce una iniziazione in tre gradi, tanto rituale in quanto si svolge proprio nel tempio massimo di Uruk sacro ad Ishtar (forse anche affinità con i misteri isiaci).

ISHTAR.

La vita universale, la natura nella sua pienezza con i doni creativi ed ugualmente la morte, con le seduzioni, i pericoli, l'amore, e il dolore.

ISHTAR E LE SUE CAPACITÀ DI TRASFORMAZIONE.

Nella discussione violenta tra il signore di Uruk ed Ishtar, il primo rimprovera all'altra una lunga serie di malefatte consistenti soprattutto nella rovina di numerosi amanti e nella loro trasformazione in bestie, spesso con il tocco di un bastone.

É il quadro di Circe e contemporaneamente della infinita variabilità delle forme della natura e dell'interscambio dei principi energetici.

IRNINI

È l'equivalente di Virgilio. La sua voce, dopo la uccisione di Kumbaba, spiega a Gilgamesh che «bisogna tenere altro viaggio», tornare dunque indietro alla base di partenza in quanto direttamente, i mortali non possono vedere il Monte della Luce (dei cedri e degli dei).

Dopo infatti, avverrà, con diverso itinerario, la conquista del Toro del Cielo. Gilgamesh dovrà penetrare nella Terra (Natura, vegetazione, serbatoio delle forme inadeguate e incomplete ecc.).

KIGALLU - TARTARO - DITE.

È una cittadella difesa da sette mura con diavolo guardiano per ognuna. Alle cinte corrispondono altrettante bolge (ciascuna per un determinato male).

É in fondo l'Atanòr, la località chiusa come fornello o alambicco, dove avvengono trasformazioni di sostanze (mutamenti di stati psichici).

KUMBABA.

Il Guardiano della Soglia. La violenza degli elementi (forma plurianimale). Spettro del male da superare per ritornare all'Eden.

MAGIA CERIMONIALE.

É più o meno adombrata nelle storie del ramo. Si rivela in un curioso rito di esorcismo per allontanare il diavolo e l'ombra della morte da Enkidu, agitato da incubi ed insofferente nella reggia di Uruk, alla vigilia dell'impresa contro Kumbaba.

Consiste nell'offerta di miele e burro in vasi esposti al sole; fine ultimo é placare Uruk. Il burro doveva avere affinità con la potenza multiforme della vita naturale se si pensa al gigantesco recipiente in cui sarebbe stato agitato dagli Dei il burro dell'universo con una specie di apparecchio centrifugante, in una tradizione induistica.
Il miele é già sostanza solare. Ma in più compaiono uno specchio ed un coltello di Enkidu: accenni più precisi alla magia cerimoniale (l'arma per tracciare i campi d'influenza delle forze ed il libro invisibile ove si riflette la consistenza attuale dell'io per potere scorgere quella futura).

MEDIANITÀ DI ENKIDU.

Il compagno di Gilgamesh assume la funzione di facoltà anticipatrice quando, prima dello scontro con Kumbaba, dai sogni di Enkidu si ricavano gli auspici.

Si tratta di una medianità onirica, secondo il clichè diffuso in questi racconti.

La trance è pittoresca. Scavata una fossa in onore del Dio del Sole, vi si gettano alcune sementi da una sopraelevazione di terra, e s'invoca la montagna: la facoltà di conoscere l'occulto si sprofonda nel mistero ove attingerà contatti con il corso della via invisibile. Poi si levano venti e tempeste. Enkidu ha una prostrazione e l'amico gli sorregge il capo, finché il medium non cade in sonno profondo. Si sveglia poi a mezzanotte e come se un altro essere parlasse per lui - non ha infatti ancora il senso della realtà e dice di essere stato sfiorato da un dio, il cui tocco lo ha intorpidito racconta «il sogno».

QUANTITÀ DELLO SPAZIO-MORTE.
Il regno sotterraneo dà l'impressione di non esaurire - malgrado tutto il pessimismo di cui gli autori di questi canti sono capaci - la completa tonalità dell'Averno.

In mezzo al pauroso spettacolo di autentici «dannati» ingozzati di sudiciume, compare qualche spiraglio. In definitiva però anche la morte buona non risolve e sotto terra - (dove si presenta il motivo delle distinzioni di ogni sorta) soffrirebbero tutti.

Pure confermando il pessimismo, potrebbe essere indicato così, uno sforzo di superamento in un atto di conoscenza sovrumana (Gilgamesh con il suo spasimo); onde il vero aldilà dovrebbe essere un altro.

Se le tradizioni sumero-accadico-orientali parlano anche di dimore meravigliose per gl'immortali, ciò confermerebbe una umanità ideale non passata ma futura come quella dell'Antenato; ribadirebbe comunque la sconfitta del protagonista.

RISHAT.

È la madre di Gilgamesh prima e poi di Enkidu (dopo la sanzione della loro amicizia). Il vincolo è raffigurato come intima mescolanza tra due esseri, sullo stesso piano fisico.

Ricorda probabilmente qui i riti dell'unione del sangue per l'amicizia, il matrimonio ecc.

Il rapporto tra Gilgamesh ed Enkidu é lotta che assume in seguito le apparenze di una unione sessuale. Rishat, prendendo atto solenne della fratellanza dei due protagonisti, assume allora il ruolo di una forma tradizionale di androginato rievocata forse in altri riti speciali.

É evidente comunque, nel succedere di battaglie ed affetto, la raffigurazione della drammaticità esistenziale con i contrasti indispensabili per giungere alla pausa sintetica. Rishat é infine, in quanto madre, lo stato generale della vita che sostiene tutte le qualificazioni psicologiche.

RITO (IL) NEL TEMPIO DI EGALMACH.

Viene eseguito ad istanza dei maggiorenti della città per propiziare il felice esito della impresa di Gilgamesh che affronterà Kumbaba in terre sconosciute. É officiato da Rishat, la madre, la quale qui riunisce le supreme attribuzioni di fonte della vita, regalità, potere sacerdotale. Ella indossa i vestiti cerimoniali sulla tunica bianca, si copre di una specie di egida d'oro ed ha in testa la tiara. Si serve di una coppa, dell'acqua, dell'incenso e di sementi, ed invoca la Luce (Shamash) nelle forme maschili e femminili (Aja). Il riferimento sessuale (che Aja non soddisfi i desideri dello sposo fino a quando egli non aiuti l'eroe di Uruk) rimanda al senso della piena unità naturale (androginato solare: Shamash-Aja) di cui la violenza del mostro impediva l'attuazione (infatti Kumbaba aveva offeso Shamash ed il dio aveva ordinato a Gilgamesh di fare vendetta).

Nel rito appare chiara la evocazione dell'androgino celeste come archetipo di quello umano.

SCORPIONE.

Ideogramma ermetico, stato di passaggio, descrizione evolutiva.

SERPENTE.

Che ruba l'erba dell'immortalità = il tempo.

SIDURI SABITU.

É colei che indirizza Gilgamesh alla prova dei quattro elementi ed all'isola della vita. É rappresentata come una donna che - dotata di attributi reali (assisa sul trono) - presiede ad un monte del cielo he si eleva presso il grande mare, in mezzo ad un parco divino, il giardino degli Dei.

Tenuto conto anche del fatto che Gilgamesh le si avvicina coperto di pelli irsute, sudice e affaticato da fare paura, tanto che lei ha qualcosa di Nausica - al primo sguardo gli chiude la porta in faccia - si può senz'altro stabilire un parallelo tra Siduri Sabitu e la Umanità dell'età dell'oro, essa é la proiezione in sede di chiaroveggenza, di quella umanità completa (celestiale, regale ecc.) nella quale in certo modo Gilgamesh s'imbatterà nell'isola felice.

Da Siduri Sabitu ad Utnapishtim, si procede per immagini diverse dello stesso archetipo; nel linguaggio della Divina Commedia, suona Matelda, ed in quello biblico, la Umanità edenica.

SIMBOLI (I) DELLA VITA.

La vita è un albero, o almeno ne ha il carattere simbolico. Siduri Sabitu sta a guardia della pianta della vita eterna nel parco degli Dei. Dal fondo della nave, Gilgamesh tira su una specie di alga che gli dovrebbe permettere il superamento della morte.

La Donna, l'Albero ed il Serpente, li ritroviamo con maggiore o minore frequenza, associati o concomitanti.

Per tirare le somme però, dell'impresa da palombaro, credo si debba dare risalto a qualche altra affine notazione.

Per esempio: Enkidu si ritiene prossimo a morte perché maledetto da un misterioso potere delle acque; Ishtar, dea dell'acqua, della natura, della fecondità, compare come possibile fonte di sortilegio e di condanna per i due amici che le avevano recato offesa; Gilgamesh infine, per diventare (almeno con il desiderio) immortale, ha dovuto mettere in rapporto - ed era un liquido misterioso e strano quello da lui percorso, della vita e più ancora della morte - con il corpo umano, ossia con la terra, essendo tutti noi dichiarati capolavori argillosi.

La sintesi del soma (terra) con il fluido della umidità generatrice, non si combina per l'intervento del guastafeste, il Serpente, ma il dualismo fra i due principi é notevole e persistente.

SOGNO.

Il più rappresentativo è forse quello di Enkidu che ne precede la fine. É una condizione fra la trance e il delirio. Vi appare prima l'aquila.

Si confronti il mito di Etana alla ricerca della immortalità, in volo con un'aquila e poi condannato alla delusione: anche Enkidu, dopo aver volato a più riprese (di 4 in 4 ore) tra le unghie metalliche, sarà lasciato cadere e si sentirà fisicamente e moralmente distrutto.

SOGNO DELLA COMPOSIZIONE DELLE SOSTANZE.

Se ne ha uno tipico alla vigilia dell'ingresso nel regno degli uomini-scorpione, durante il viaggio del protagonista in ricerca dell'amico scomparso. Gilgamesh sogna un leone ed egli l'assale con l'ascia e la spada ma è costretto ad arretrare dinanzi alla caduta di una pietra aguzza simile ad una freccia, la quale s'interpone tra la preda ed il cacciatore che poi cade sotto terra.

Due elementi si combattono, il solare (leone) e l'oscurità (la terra); da essi il destino di Gilgamesh (ossia dell'uomo in genere) è condizionato. Egli cerca l'immortalità (sfuggire alle tenebre della morte con il possesso della luce in tutta la sua potenza), e per tale fine si serve di armi «fulgurarie» (data la sua parziale origine divina).
Anche l'uomo del resto (di cui Gilgamesh è simbolo) è luce nascosta nell' «argilla» platonica, poetica e ... infernale. Ma la pietra vivente e mobile, la condensazione dei fluidi nella ferrea fissità della natura che inchioda gli uomini alla obbedienza della Fatalità, travolge l'uomo nella terra (la morte) che non risparmierà il malinconico re).

La mattina dopo Gilgamesh vedrà profilarsi all'orizzonte il monte Mashu: è Ulisse il quale narra a Dante di avere scorto la montagna del Purgatorio prima di morire? Direi di si, perché Mashu rimanda proprio alle colonne d'Ercole: due pilastri montagnosi che sorreggono la volta del cielo ed un valico guardato da giganteschi uomini-scorpione.

Qualcosa dello Zodiaco è qui probabilmente oltre alla fantascienza ed al richiamo dell'Averno (si vedono uomini alla luce e sono scorpioni immersi nella terra più profonda, per il resto), e chi sa se non si succedono, quali tappe solari del viaggio di un solare epigono (eroe).

Per il valico di Mashu certo, passa il sole, la nuova conoscenza. Essa sarà aperta a Gilgamesh.

SOSTANZA DELL'IMMORTALITÀ.

 Stato di appagamento della conoscenza e dell'azione, «attimo fuggente», e perciò il tempo la divora ad un volgere di occhi.

STORIA DELLA MORTE.

Dopo il trapasso e la sepoltura, l'anima compie il suo ingresso nella dimora dei trapassati. È assistita da Ishmi-Karab e da Layamar, varca il fiume Khubur e si presenta al giudice Shugurnak ed a Nungalla dea del destino. É traghettata da Knimmutahal (Caronte) e definitivamente sistemata nell'Arallu (regno dell'oltretomba).

STRUMENTI.

Ricorrono in parecchi luoghi; mi soffermo sul ritualismo che, nella casa di Gilgamesh, precede il viaggio verso la vittoria sul mostro, ed ha come punto di riferimento, Enkidu, costantemente agitato dalle visioni. Enkidu è insidiato da un diavolo e per scacciarlo, l'amico si porrà in viaggio con abito festivo: abito festivo, cintura, spada in essa infilata, ascia e giavellotto vibrato ed è infine ammantato con la spoglia del leone.

Si tratta di una combinazione di fatti solari simbolici per implorare la salvezza di Enkidu, creatura di Shamash, il sole.

TELEPATIA ONIRICA.

Si verifica quando, all'approssimarsi di Enkidu ad Uruk, Gilgamesh sogna la lotta e poi il nodo fraterno con il nuovo venuto, e, svegliatosi, si confida con la madre. Ella a sua volta spiega che ciò effettivamente verrà.

Tutto questo è indicato ad Enkidu da una sacerdotessa d'Ishtar, nel tempio dov'egli è stato condotto per completare la sua umanizzazione, dopo l'amplesso.

TORO.

Animale sacro ad Ishtar, da lei evocato contro la coppia eroica Gilgamesh- Enkidu; diventa per i due compagni oggetto di preda. Ne sono tratti come trofei, dopo il rito tauroctono (che ricorda Mitra), il genitale e la testa. Vengono offerti - pure se in modo assai diverso, per oltraggio ad Ishtar e con rispetto a Lugalbanda ed a Shamash (Olio e corna ) - alle divinità della vita, alla Natura ed al Sole.

La genesi precisa del toro è comunque Anu (il Cielo), il quale da sé l'ha fatto discendere, dietro preghiera d'Ishtar.

La spartizione del toro, sotto le apparenze della caccia, della polemica e del ringraziamento, ha sapore teogonico e significa:
- Il toro in se, con la ferocia iniziale devastatrice, è la potenza della vita nella immediatezza amorfa.

- La uccisione avviene con un'arma solare (la spada o il raggio), sotto la protezione di Shamash e ad opera dell'uomo (intelligenza).
- La suddivisione delle parti è redistribuzione della economia cosmica: i segni della fecondità alla Natura (Ishtar); l'olio contenuto nelle corna, ossia la materia che, bruciando, illumina e permette la conoscenza al dio protettore della individualità consapevole (Lugalbanda, il nume personale di Gilgamesh); le corna, ossia il potere vitale in senso lato, alla fonte della conoscenza (Shamash).
L'azione di Gilgamesh equivale all'inserimento dell'opera umana (intelligenza) nell'economia universale.


UNCAPISHTIM.

Il principio mentale direttivo della vita che resta incolume rispetto alla bufera del cambiamento e della rinnovazione della vita per mezzo della morte-guerra-Siva (il Diluvio), ha perciò carattere paterno.

URUK.

Città per eccellenza, localizzazione ideale della vita. La cittadinanza dell'uomo nell'universo.


 

1. Per ragioni non chiare, Shurippak, antica città sull'Eufrate, fu condannata in un concilio di dèi. Uno di essi, Ea, signore delle acque («profondità») consigliò l'Avo di Gilgamesh, sotto pretesto di fuggire l'ira di Bel, ad allontanarsi su nave o piattaforma di una casa di pietra, nel momento in cui la notte si fosse addensata sulla terra, insieme ad una specie di tifone scatenato dai notturni genii infuriati. La pioggia torrenziale durò sette giorni e gli stessi dèi ne furono impressionati, tanto che Ishtar si pentì del consiglio di mandar giù l'acqua, e pianse sulle sorti dell'umanità.