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Lo scritto che si presenta ai nostri visitatori esoterici, è stato catturato dal periodico mensile Vidyā, Gennaio 2005. Il periodico è distribuito gratuitamente, chi fosse interessato può richiederlo a "Edizioni Āśram Vidyā via Azone 20, 00165 Roma". 

Il documento introduce alla comprensione del testo Bardo Thötröl. Il suo contenuto non indica necessariamente la visione della Loggia o del GOI. 

Ogni diritto è riconosciuto.

© Āśram Vidyā

 

La libera circolazione del documento in rete è subordinata alla citazione della fonte e dell'autore.

 


 

Che cos'è la morte, o meglio, che cosa rappresenta per noi l'idea della morte?

Lasciamo da parte per ora la posizione coscienziale del Saggio realizzato, rispetto al quale non solo la morte ma la stessa nascita sono solo apparenze, movimenti conformati, pregiudizi. In ogni caso, che si sia consapevoli o meno, per l'intero mondo manifestato la morte rappresenta un "termine". E vista da una certa distanza, la morte è propriamente un ter-mine, inteso nel suo significato più semplice e immediato: punto di arrivo, fermata, sospensione, rottura e così via. Così molto spesso l'ente vicino a questo momento teme non tanto il compimento di tale evento quanto la paura dell'ignoto, di ciò che non si vede, potremmo dire la paura del buio, del "lupo".

Soprattutto nelle culture occidentali contemporanee o influenzate da queste, la paura della morte si esprime nella forma quotidiana della ricerca del piacere, e l'idea del sesso ne rappresenta una icona essenziale spesso vissuta in una sorta di nevrosi. La stessa nevrosi che limita l'approccio rituale e sacrale alla "soglia della morte", la quale rappresenta un termine proprio di passaggio da uno stato esistenziale ad uno successivo (successivo perché tutto ciò che si svolge diviene movimento unicamente nel tempo, e solo su questo piano, quindi, possiamo rappresentarci la perdita, l'angoscia per essa e l'ansia del dopo vissuta come senso di abbandono).

Un ente isolato che vive nell'illusione della dualità, della divisione, non può che desiderare e proiettarsi di conseguenza nella passione del possesso; l'individuo, in fondo inconsapevolmente, anela alla "morte" perché l'intensità della vita che esso desidera è pienezza, ed è tale che, inconsciamente, il momento del "passaggio" è idealizzato in estasi profonda, in libertà da ciò che costringe.

Nella proiezione della morte comunemente intesa, generalmente, si percepisce un altro livello coscienziale che diverrà un nuovo stato di esistenza. Ma questo rappresenta la vera morte? Potremmo rispondere senza timore: no; anzi sarebbe giusto, in questo caso, parlare di proseguimento dell'esistenza. In verità si può parlare di morte solo in senso iniziatico e precisamente di "morte dell'io" la quale avviene nella "caverna del cuore", in un momento coscienziale preciso, fuori dalle coordinate spazio-tempo, in un momento in cui la stessa coscienza rompe il giogo di ciò che viene definito "livello o stato dell'io" integrandosi, così, nel Cuore Universale; è questa propriamente la "seconda nascita". Finché ciò non avviene, parlare di morte implica un duplice fraintendimento di mezzi e fini. È, quindi, in questo sacro Calice posto al centro del labirinto dell'esistenza che possiamo realmente sentire il profumo di quel sacro Fiore dell'eternità.

Ma che cosa ci impedisce di abbandonare uno stato mentale contratto nella falsa nozione di morte? Certo, la causa maggiore sappiamo essere prodotta dall'ignoranza metafisica, la mancanza di conoscenza dell'ampiezza e dell'universalità dell'anima, dunque una effettiva mancanza di Dignità che si ripercuote, poi, a vari livelli della psiche. Ma. vi è anche qualcosa di molto più semplice, alla portata di tutti, perché tutti viviamo giornalmente attraverso questa sottile e inconscia consapevolezza: la Fede. Basterebbe abbandonarsi realmente alla semplicità della stessa esistenza per rendersi conto che la vita è presente in un tutto omogeneo in una Unità: come dalla terra alla zolla al seme al frutto, senza mai cessare di essere; come lo specchiarsi nella persona amata: il "senso dell'eternità".

La Fede, dunque, nella Vita Una; la Fede nell'altro come propria immagine nel e del divino condurrebbe a raccoglierci nella Verità e alla comprensione dei vari stati esistenziali come momenti ininterrotti di una sola Realtà; alla comprensione di se stessi in quanto anima immortale.

Inoltre, per una mente semplicemente logica come è possibile pensare che possa essere reale la morte di qualcosa? Cos'è che potrebbe mai morire? C'è qualcosa in noi formato di parti che possa realmente dividersi e perdersi? Come è possibile che questa vita, questa forza, questa realtà, questa presenza che tutti indistintamente sentiamo dentro di noi possa morire, ora esserci e domani non esserci più?

Infine, con Fede maggiore e sempre più consapevolezza, finché non saremo in grado di camminare con le nostre gambe, potremmo affidarci a quei sacri Saggi e veri Maestri della Tradizione Universale che hanno realizzato l'Essere e indicatane la Via:

«Resta solo un discorso della Via: che è. Su questa via ci sono segni indicatori assai numerosi: che l'Essere è ingenerato e imperituro, infatti è un intero nel suo insieme, immobile e senza fine... Quale origine, infatti, cercherai di esso? Come e da dove sarebbe cresciuto?...

Quale necessità lo avrebbe mai costretto a nascere, dopo o prima, se derivasse dal nulla?

Perciò è necessario che sia per intero, o che non sia per nulla.

E neppure dall'essere concederà la forza di una certezza che nasca qualcosa che sia accanto ad esso. Per questa ragione né il nascere né il perire concesse a lui la Giustizia... La decisione intorno a tali cose sta in questo: "è" o "non è"...

E come l'Essere potrebbe esistere nel futuro? E come potrebbe essere nato?

Infatti, se nacque, non è; e neppure esso è, se mai dovrà essere in futuro.

Così la nascita si spegne e la morte rimane ignorata...» [Parmenide: Sulla Natura.. Rusconi]

«L'immortale non può divenire mortale, né il mortale divenire immortale perché non può aversi cambiamento di natura»

«Un uomo, il quale crede che un ente di natura immortale divenga mortale, come può sostenere a un tempo che l'immortale, essendo prodotto [manifestato], conservi ancora la sua natura immortale?».

«Come l'etere confinato entro le brocche, ecc. si fonde completamente [nell'etere illimitato] quando avviene la disintegrazione delle brocche, ecc., così i jiva si fondono nell'âtman» [Gaudapâda: Mandukyakarika, III 21-22 – Āśram Vidyā]

O morte, dove sei? «Vanità delle vanità».