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Duramente intransigente nei confronti del liberalismo risorgimentale, il Vaticano si mostrò ben più cauto e sfumato nei suoi atteggiamenti verso il fascismo: addirittura, ai tempi dell'Aventino aveva preferito condannare l'unità d'intenti tra socialisti e cattolici piuttosto che la violenza - necessariamente anticristiana - del fascismo. Così, quando l'11 febbraio 1929 Pio XI e Mussolini siglarono il Concordato tra Stato e Chiesa, ponendo fine alla cinquantenaria ostilità tra le due istituzioni, il duce fu salutato dalle gerarchie cattoliche come l’uomo della Provvidenza, che aveva saputo realizzare in pochi anni iniziative maggiori e migliori di molti decenni di liberalismo a oltranza.
Questo avallo ufficiale fornito dalla Chiesa al fascismo fu abilmente utilizzato da Mussolini per rinsaldare il proprio prestigio presso l'opinione pubblica, che cominciò a manifestare nei suoi confronti un'adesione quasi plebiscitaria.
Oltretutto il duce sperava di poter esercitare, attraverso le clausole del Concordato, un'effettiva pressione sugli affari interni delle gerarchie ecclesiastiche, il cui peso politico gli era ben presente. Nell'ottimismo e nel trionfalismo delle celebrazioni per l'avvenimento, "Guerin Meschino" dedica a Mussolini una prima pagina in cui, con un'efficace ricostruzione storica, presenta un Crispi intento a complimentarsi con il duce per il successo, ma soprattutto per quell'accordo con i cattolici che a Crispi era sempre sfuggito.


"Guerin Meschino", 17 febbraio 1929