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Il 20 dicembre 1892 il deputato socialista indipendente Napoleone Colajanni espose alla Camera le gravi irregolarità contabili e amministrative che da diversi anni caratterizzavano la conduzione della Banca Romana. Lo scandalo esplose immediatamente e con un tale clamore da far barcollare il governo Giolitti in carica.
Poco meno di un mese dopo, la commissione d’inchiesta, presieduta da Giuseppe Finali, relazionò diffusamente il Paese confermando falsi in bilancio, ammanchi, una circolazione cartacea eccedente le disposizioni di legge e molte altre gravi inadempienze e speculazioni. Lo spettro della corruzione cominciò a dilagare, Politici, personalità dello Stato, del mondo della finanza, furono coinvolti più o meno direttamente nel clima di caccia alle streghe. II clamore dello scandalo fu grande e all’opposizione non parve vero di battere la gran cassa della mancanza di valori morali e politici, dal momento in cui tutti i governi, che avevano vissuto il dramma della crisi della Banca Romana, avevano messo a tacere il dissesto confidando in uno sterile ottimismo.
Come si diceva, anche Giolitti dovette subire i rischi della pesante congiuntura. In effetti fu accusato di aver ricevuto denaro dalla banca per finanziare una campagna elettorale (il ‘prestito’ fu restituito nel febbraio del 1893), d’aver fatto insabbiare un rapporto scottante e d’aver nominato senatore il governatore della banca Tanlongo. In realtà la posizione di Giolitti - jettatore’ per la stampa d’opposizione e ‘falegname di Montecitorio’ per il "Pasquino" - non era facilmente difendibile poiché, negli anni cruciali in questione, lo statista aveva occupato cariche di grande responsabilità. Non restavano che le dimissioni, rassegnate nel novembre dello stesso anno, quasi un sacrificio rituale da offrire in cambio di un’Italia non più inquinata dal caos morale.


"Pasquino", 16 aprile 1893.