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Il Regio Decreto n. 523 del 10 ottobre 1892 indiceva le elezioni generali per la Camera dei deputati per i giorni 6 e 13 del mese successivo. Casimiro Teja, l’autore della vignetta riprodotta, non si fa attendere e formula le sue facili profezie cogliendo perfettamente il bersaglio.
Il 1892 era stato l’anno di Giolitti, nel senso che fu allora che lo statista di Dronero ricoperse per la prima volta la carica di capo del governo. Ed era indubbiamente molto per un uomo estraneo ai meriti risorgimentali e in rivalità con un Crispi, erede dei Mille. Giolitti si rivelò immediatamente per le sue doti manovriere espresse nelle elezioni in questione, allorché seppe assicurarsi una cospicua maggioranza di fedeli, parte dei quali senza particolari propensioni per la strategia politica.
Fu in quella occasione che, a dire di Gaetano Salvemini, Giolitti cominciò a manifestarsi come ministro della ‘malavita’ portando alla degenerazione il sistema parlamentare. La fama dello statista, che non esita a ricorrere ai brogli elettorali, ha accompagnato forse per troppo tempo la figura di ‘un animale politico’, come lo si definirebbe oggi, alla guida di un Paese dagli scarsi apporti elettorali per giunta largamente inconsapevoli sulle scelte da operare per dare a uno Stato, sorto da pochissimi anni, prerogative ideali e pratiche. Giolitti, leader per vocazione e per incontestabile capacità, nonostante gli oscuri esordi nella carriera amministrativa, ben comprese quale spazio di manovra gli consentiva l’emarginazione delle masse e ottenne ‘il non plus ultra del successo’ non solo in fatto di elezioni, ma anche nell’arte di governare con una politica realistica, si potrebbe definire all’anglosassone, tutt’altro che chiusa e reazionaria.


"Pasquino", 23 ottobre 1892.