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Negli ultimi anni dell’Ottocento il fenomeno dell’imperialismo coloniale caratterizzò la vita politica internazionale. Espressione d’interessi politici ed economici, l’imperialismo ebbe anche i suoi illustri cantori; uomini di lettere come Kipling e Carlyle, i quali stavano ovviamente dalla parte dei conquistatori. La civile Europa proiettava l’ombra della sua nuova politica sulle statiche società africane proteggendo con le armi i grandi interessi economici e al contempo inneggiando a una missione civilizzatrice in cui erano ancor ben lontani i concetti di sovranità popolare, autodeterminazione, diritto alle libertà democratiche.
Dal gran numero di studi sulla questione coloniale, di parte insospettabile, risulta che i Paesi colonialisti hanno gettato nella lotta di conquista solo una minima parte del capitale finanziario-industriale. Sarebbe pertanto schematico e riduttivo far discendere esclusivamente da necessità economiche le spinte dell’imperialismo coloniale, il quale fu alimentato da certezze ideologiche esprimibili in una politica di potenza, in un’esaltazione della grandezza nazionale, in una gara senza quartiere tra Paesi affetti dal complesso di superiorità.
L’Italia stessa, ultima della fila nella vignetta, cominciò negli anni ottanta a gettarsi in un’avventura tutt’altro che convincente. Nel clima retorico in cui si era immessa la grande Europa, poteva aver diritto di coabitazione persino l’erede naturale del mito di Roma, soggiogatrice di popoli e creatrice d’un impero esaltante. E l’Italia, da un ventennio liberatasi dal giogo straniero, con un Mezzogiorno ‘africano’, s’inserì nell’agone internazionale tentando l’espansionismo coloniale.


"Il Fischietto", 26 gennaio 1886