I Protocolli di Sion, un falso fabbricato nel pieno della campagna cattolica contro la massoneria, hanno dato vita, per la casualità di essere stati trovati sul comodino della Zarina, a uno dei miti fondanti la psicologia di massa della modernità: il complotto ebraico per il dominio del mondo. Senza i Protocolli la Shoah forse non ci sarebbe stata. Due grandi macchine propagandistiche antisemite, quella del Vaticano prima, quella nazista poi. “Perché proprio gli ebrei?”, un problema non ancora risolto...

 

Il documento che presentiamo ai nostri ospiti raccoglie una intervista al professor Pierre André docente all'Istituto di Studi Politici di Parigi. I giudizi espressi dall'autore obbligano soltanto il medesimo e non indicano necessariamente la visione della Loggia o del GOI. Ogni diritto gli è dichiarato.

 

 

 

 

 

I Protocolli di Sion, un falso fabbricato nel pieno della campagna cattolica contro la massoneria, hanno dato vita, per la casualità di essere stati trovati sul comodino della zarina, a uno dei miti fondanti la psicologia di massa della modernità: il complotto ebraico per il dominio del mondo. Senza i Protocolli la Shoah forse non ci sarebbe stata. Due grandi macchine propagandistiche antisemite, quella del Vaticano prima, quella nazista poi. “Perché proprio gli ebrei?”, un problema non ancora risolto.

 

Pierre-André Taguieff, professore all’istituto di Studi Politici di Parigi. Il libro cui si fa riferimento è Les Protocoles des Sages de Sion. Faux et usages d’un faux. 2 voll., Berg International Editeurs, Paris, 1992.

 

Intervistatore – Lei, professore, si è occupato a lungo dei Protocolli dei Saggi di Sion, il libro forse più pubblicato, dopo la Bibbia, nella storia dell’umanità...

P.A. Taguieff  - I Protocolli furono fabbricati a Parigi nel 1897-98, in pieno affare Dreyfus, da un gruppo, metà francese e metà russo, di agenti dell’Okhrana, la polizia segreta dello zar, capeggiati da Pierre Ratchkovsky, un agente segreto dello zar molto abile nella fabbricazione di falsi da addebitare agli esuli russi in Occidente.  Non si sa ancora con precisione chi li abbia materialmente scritti; in ogni caso si tratta di più autori: il manoscritto  originale francese, che fu visto da qualche testimone, era infatti scritto in più grafie, poi andò perso e chissà se un giorno verrà ritrovato negli archivi russi. Quindi, quello degli autori del testo dei Protocolli resta un problema storiografico non risolto. Nelle mie ricerche, tuttavia, non mi sono occupato tanto della redazione, quanto dello infinito riciclaggio storico e geografico dei Protocolli. Mi interessava, cioè, sapere come un falso avesse potuto funzionare.

Devo innanzitutto precisare che il testo dei Protocolli non è che una variante di molti altri testi della medesima forma e fattura che vennero diffusi in tutta Europa a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Ci si dimentica sempre, ed è un particolare molto importante, che fino al 1920 i Protocolli erano stati diffusi solo in russo e che le tirature erano state molto basse: la prima edizione russa contò 3.500 copie, le altre non superarono le 5 mila. I Protocolli divennero un best-seller mondiale fra il 1920 e il 1945, quando furono tradotti in tutte le lingue del mondo, compresi il giapponese e l’arabo. Ancor oggi continuano a essere molto venduti in tutto il mondo arabo-islamico: se si va in un qualsiasi paese arabo, anche nel moderato Egitto; si troveranno edizioni su edizioni di questo testo antisemita, con tanto di piovra che serra il mondo nelle sue spire in copertina. Inoltre, i Protocolli si possono adesso acquistare in Russia e in Polonia all’uscita delle chiese. Quindi, a ben guardare, più che di un best-seller, si tratta di un longseller.

Intervistatore - A cosa deve questo straordinario successo un testo in fondo simile a tanti altri?

P.A. Taguieff - Direi al puro caso, dove per “caso” intendo ciò che consente l’irruzione nella storia dell’avvenimento, del contingente, di ciò che poteva non essere: “Se il naso di Cleopatra fosse stato più lungo ... “, insomma. Un’amica aveva regalato alla zarina, la moglie di Nicola II Romanov, una copia dei Protocolli nell’edizione di Serghej Nilus. Nella camera dove la zarina fu assassinata con tutta la sua famiglia furono scoperti questo esemplare dei Protocolli e una croce uncinata inscritta nel vano della finestra. I russi bianchi credettero trattarsi di un messaggio e fecero credere che la zarina presentisse la propria morte. Fra i suoi uccisori c’erano degli ebrei, ossia dei “giudeo-bolscevichi”, e poiché i Protocolli trattano dei metodi utilizzati dai giudeo-massoni per prendere il potere mondiale attraverso omicidi, manipolazioni dell’opinione pubblica, indottrinamento scolastico, crisi economiche e rivoluzioni sanguinose, moltissime persone hanno creduto alla veridicità del libro. Lo stesso Churchill, fino al 1920/21, fu persuaso che il complotto giudeo-bolscevico per il dominio del mondo avesse ottenuto il proprio scopo mediante la rivoluzione d’ottobre.  Quindi, la carriera internazionale dei Protocolli comincia all’indomani della rivoluzione russa, poiché furono usati come macchina da guerra antibolscevica. La persuasione di Churchill, come di altri esponenti dell’establishment europeo, fu rafforzata dal lancio che nel 1920 il più autorevole quotidiano al mondo, il Times, fece del testo dei Protocolli presentandolo come la spiegazione di quel che era “veramente avvenuto in Russia”, ossia la presa del potere da parte dei giudeo-bolscevichi. Il Times utilizzava l’immagine del serpente ebreo che avvolge il mondo, e il serpente è Satana che ritorna a Sion attraverso la rivoluzione francese, la rivoluzione bolscevica e il sionismo! L’anno successivo, però, lo stesso Times, con un lungo dossier pubblicato il 16, 17 e 18 luglio 1921, fece piena autocritica riconoscendo che il testo dei Protocolli non era che il plagio di un testo per nulla antisemita, il Dialogo agli inferi fra Machiavelli e Montesquieu di Maurice Joly, pubblicato a Bruxelles nel 1864. Si trattava, quindi, di un falso bello e buono.

Nel frattempo i Protocolli vennero introdotti in Germania, dove furono tradotti nel 1919, dalla propaganda dei russi bianchi, che si fuse ben presto con la propaganda nazista. Alfred Rosenberg che, essendo di origine baltica, parlava russo e conosceva molto bene gli ambienti antisemiti russi e ucraini, pubblicava nel 1923 il suo libro sui Protocolli. Fino ad allora l’antisemitismo tedesco era stato diverso dall’antisemitismo russo, o meglio polacco e ucraino.  Mentre l’antisemitismo ucraino-polacco considerava gli ebrei come il Demonio, quello tedesco era solo nazional-populista: seppure qualche teorico dell’antisemitismo operava la demonizzazione degli ebrei, mai vi erano stati appelli allo sterminio, mentre nell’antisemitismo ucraino-polacco c’erano, eccome!, appelli allo sterminio. I1 sogno dello sterminio nasce lì, da lì viene ripreso dal nazismo.  I nazisti, come ha mostrato Henry Rollin nel suo grande libro sui Protocolli pubblicato nel 1939, e che fu messo all’indice dai nazisti non appena arrivarono a Parigi, L’Apocalypse de notre temps, non sono, che degli allievi delle centurie nere, dei russi bianchi che, avendo in mente l’idea dell’Apocalisse, ritenevano di lottare contro Satana, incarnatosi negli ebrei. 

Intervistatore - É possibile riassumere in poche parole il contenuto dei Protocolli? 

P.A. Taguieff - Molto spesso c’è un sottotitolo ai Protocolli che recita così: “Il pericolo ebraico” oppure “Programma ebraico di dominio del mondo”.  Il testo dei Protocolli si presenta come la minuta, sottratta fortunosamente e così resa pubblica, di una serie di riunioni, tenute non si sa dove né quando, da un gruppo di saggi di Sion, di principi di Giudea, ossia di capi segreti del popolo ebraico, nelle quali viene presentato un dettagliato piano di conquista del mondo da parte delle élites ebraiche. Questo è molto importante: nel complotto sono coinvolti solo i Grandi Ebrei, ossia i giudeo-massoni, i giudeo-plutocrati, i giudeo-capitalisti ... Insomma, è 1’elite del popolo ebreo che complotta, non il popolo ebreo nel suo insieme.  Quindi, non si può dire che i Protocolli siano un testo di tipo razzista, perché per un razzista c’è continuità dall’ebreo più modesto a quello più potente, mentre i Protocolli denunciano le cattive élites che ingannano il popolo, anche il proprio. É più sottile di quanto si creda.

Il secondo aspetto importante è che i Protocolli come tali, nel loro senso letterale, denunciano l’impresa dei saggi di Sion come  un’operazione di distruzione della cristianità, della civiltà cristiana. Questo è un punto estremamente importante perché mostra le origini cattoliche, e poi ortodosse, del testo dei Protocolli.  Tutta la rappresentazione che viene fatta del complotto mondiale ebraico preesisteva nella letteratura cattolica del XIX secolo. Come testimonia il primo falso di questo genere, la famosa lettera del sedicente capitano Simonini, che sarebbe stata inviata nel 1806 all’abate Barruel, in realtà scritta da quest’ultimo, ripubblicata nel corso di tutto il XIX secolo, la denuncia della setta giudaica come setta dominante tutte le altre sette massoniche e liberali era una rappresentazione molto corrente nell’Ottocento.  Un terzo aspetto è la denuncia della modernità economica, politica e mass-mediatica, e aggiungerei anche educativa, come prodotto di un complotto. La modernità è fabbricata dalla volontà maligna di cospiratori che vogliono sostituire alla vecchia civiltà cristiana una pseudociviltà materialista, gioiosa, edonista, dominata da capitalismo, rivoluzioni, socialismo, scientismo ... Il quarto punto è l’elencazione precisa degli strumenti di dominio: in primo luogo l’indottrinamento scolastico. La critica all’indottrinamento scolastico materialista e positivista era molto diffusa anche al di fuori degli ambienti cattolici, che ritenevano l’insegnamento laico un insegnamento in sé distruttore. In secondo luogo i giornali.  Anche in questo caso i Protocolli non fanno che riprendere un fondo comune ad autori estremamente differenti: in Balzac, per esempio, si trova una descrizione molto negativa del mondo della stampa. Negli spregiatori della modernità questa viene da sempre illustrata come il regno dei giornali, delle notizie, delle dicerie, i giornalisti sono percepiti come dei declassati. In terzo luogo la scienza materialista, che vuol sopraffare tutte le altre forme di conoscenza, in particolar modo quella religiosa. Infine, le rivoluzioni, che sono lo strumento per radicalizzare sempre più la modernità: ogni rivoluzione persegue il sogno di prolungarsi all’infinito, di riprodursi, diversificarsi. Le rivoluzioni sono di per sé insaziabili.

In breve, i Protocolli raccolgono l’eredità di tutta una storiografia di tipo pessimista sul funzionamento della civiltà moderna. Ecco perché certi esponenti dell’intellighenzia europea furono colpiti da questo testo. Ho già citato Churchill, ma ce ne furono altri come Henry Ford, fondatore della Ford, che per sette otto anni, fu un grande diffusore dei Protocolli negli Usa, mettendo la sua fortuna al servizio della dimostrazione della loro veridicità. Accettò, poi, di interrompere la propaganda antisemita non perché si fosse convinto che il mito del complotto mondiale ebraico fosse falso, ma perché la comunità ebraica americana lanciò una campagna di boicottaggio nei confronti dei suoi prodotti. Il caso di Ford è interessante perché Hitler lo ammirava: nel suo ufficio c’era, infatti, la traduzione tedesca del suo libro, L’ebreo Internazionale, che nel 1920 venne pubblicato sotto forma di feuilleton sul giornale di Henry Ford, tirato in circa 400 mila copie, in ogni numero del quale c’erano rivelazioni sulle malefatte degli ebrei. Oggi, guarda caso, il libro di Ford è ripubblicato nel mondo islamico. Ford era un rappresentante del populismo agrario americano, un movimento di piccoli contadini dell’Ovest molto critico verso lo Stato centrale, verso ogni forma di centralizzazione, verso le città, le metropoli, gli intellettuali, gli stranieri. Anche se aveva fatto fortuna producendo automobili, Ford conservava quella sorta di mitologia antimoderna.  A differenza del populismo russo, il populismo americano marciò sulla teoria del complotto, si trattava, però, del complotto delle élites urbane contro i contadini che lavorano con le proprie mani, che hanno un rapporto con la terra. Insomma, un complotto degli sradicati contro i radicati. Credo che in Ford la struttura mentale di tipo cospirazionista venisse da lì, anche se poi l’ha riformulata in senso antisemita a partire dal 1917-18, perché, e non deve sorprendere, fino a quel momento era stato filo-semita!  L’enorme successo dei Protocolli in pieno XX secolo costituisce un problema storiografico notevole. Come è stato possibile?  Qui incontriamo il fenomeno che Ernst Cassirer aveva evidenziato nel suo ultimo libro, Il Mito dello Stato, ossia il fenomeno dei miti politici moderni.

Intervistatore - Come mai in una società senza dubbio secolarizzata, materialista, pragmatica, basata sulla psicologia degli interessi, sull’ottimizzazione dei risultati, insomma in una società totalmente immanentizzata nascono e rinascono miti politici del tutto nuovi?

P.A. Taguieff - Il mito politico dell’ebreo internazionale che mira a dominare il mondo è un mito moderno. Nel Medio Evo esisteva, certo, una demonizzazione dell’ebreo in quanto autore di complotti, ma questi avevano sempre un carattere locale. É in una città, solo in quella determinata città, che si verifica un pogrom per punire gli ebrei che vi abitano, perché “hanno celebrato un sacrificio rituale, sgozzando un bambino cristiano per fare il pane azzimo per la Pasqua ebraica” oppure perché “hanno avvelenato un pozzo” o “hanno introdotto la peste”. Nessun antisemita del Medio Evo poteva pensare a un complotto degli ebrei per il dominio del mondo. Questa è un’invenzione successiva alla rivoluzione francese, un’invenzione, secondo me, di ambienti tradizionalisti cattolici.  Credo, infatti, che ad aver preparato il terreno alla diffusione dei Protocolli, benché questi siano stati redatti in Francia, sia stato il Vaticano. A partire dalla metà del secolo scorso viene prodotta da sacerdoti, prelati, vescovi, tutta una serie di testi nei quali si denuncia il complotto giudeo-massonico. Complotto che viene rilanciato dal Vaticano alla fine del XIX secolo, quando ritenne che la propaganda antimassonica dovesse includere il più virulento antisemitismo, riprendendo l’idea, diffusasi fin dal XVIII secolo, che la massoneria costituisse una setta internazionale capeggiata dagli ebrei. In questa visione i saggi di Sion, i Principi di Giudea, dirigono la contro-chiesa universale, la massoneria, che rappresenta il peggior nemico della Chiesa. Dunque, gli ebrei sono i peggiori nemici della Chiesa.

La mia ipotesi è che, grazie alla potente propaganda ecclesiastica, sia circolato in tutta Europa un dossier che, nei cinquant’anni precedenti la pubblicazione dei Protocolli, ha dato origine agli innumerevoli pamphlet firmati dai prelati di cui parlavo prima. Si tratta di decine e decine di testi pubblicati un po’ ovunque, in Germania, in Francia, in Italia, che si assomigliano come gocce d’acqua. E ricordiamoci che, cettamente, i Protocolli furono tradotti in arabo all’inizio degli anni ‘20, ma lo furono ad opera di arabi cristiani, non di arabi mussulmani: si trattò ancora di una produzione cristiana. Dobbiamo arrivare al 1951, non a caso dopo la nascita di Israele, perché un arabo mussulmano traduca i Protocolli.  Il mito della cospirazione mondiale ebraica che doveva risultare utile alla Chiesa Cattolica, le è però scappato di mano. Ecco il paradosso: la Chiesa Cattolica ha fabbricato un mito che diventerà alla fine una macchina da guerra antibolscevica e non più antimassonica. Servì per tutt’altri scopi che per quelli per i quali era stato fabbricato. A partire dal 1919-20 i Protocolli hanno costituito una vera e propria pre-legittimazione dello sterminio degli ebrei. Si è trattato in definitiva della creazione di un mito che ha spianato la strada alla Shoah, svolgendo una funzione di legittimazione, di preparazione psicologica alla messa a morte del “nemico assoluto”. Con un nemico assoluto non si può transigere, non si può negoziare: non si ha scelta, non si può che distruggerlo. C’è questa frase di Paul de Lagarde, citata dal teorico nazista Alfred Rosenberg: “Non si discute con i bacilli, li si stermina”. Un nemico che sia pensato come un demone o come un bacillo, patologizzato come una malattia virale portatrice di possibile contaminazione, demonizzato come una sotto-umanità negativa o demoniaca, è votato allo sterminio. Non si discute né con i demoni né con i bacilli.  Ma dal dire al fare...

Si conosce ancora molto poco sui rapporti esistenti tra una messa in condizione di fare, attraverso un’azione di propaganda, e il passaggio all’atto. Il problema è lì. Ci sono molte mediazioni. Non bisogna pensare che dalla fabbricazione di un testo a un genocidio ci sia una linea continua. Ci sono mediazioni, fenomeni aleatori, contingenti, che avrebbero potuto anche non esserci. Ci voleva, per esempio, un uomo come Hitler, che era al tempo stesso un grande demagogo - uno dei più grandi demagoghi della modernità - e, insieme, un vero e proprio posseduto. Da un lato, Hitler praticava quello che chiamerei “l’antisemitismo strumentale”, utilizzandolo per fini razionali, per la conquista del potere, ma, d’altra parte, ci credeva veramente. Vi sono persone che sono antisemite solo strumentalmente, senza crederci; ce ne sono altre che sono dei veri e propri posseduti, senza essere dei demagoghi. Lui era entrambe le cose, un posseduto e un demagogo, al pari di Goebbels, di Himmler...  Erano personaggi che allo stesso tempo utilizzavano il mito e credevano al mito. Lo utilizzavano cinicamente, ma ci credevano. Il fatto di utilizzarlo li rafforzava nella loro fede; c’era una specie di azione circolare che ne rafforzava la fede. Più attaccavano gli ebrei e più credevano che fossero pericolosi. Più uccidevano gli ebrei e più credevano di aver ragione nello sterminarli. Quindi, occorreva un Hitler affinché i Protocolli acquistassero questo valore di evidenza e veracità. Occorreva che uno Stato potente come la Germania si facesse carico di questa propaganda. Nella primavera del 1933, poco dopo l’ascesa di Hitler al potere, Goebbels, ministro della Propaganda, creò il famoso Servizio Mondiale, Welt Dienst, che fu il vero e proprio centro della propaganda antisemita mondiale, diffondendo testi antisemiti nel mondo intero in tutte le lingue. Se non ci fosse stato questa potente propaganda organizzata dal regime hitleriano, credo che i Protocolli sarebbero stati diffusi in modo molto più artigianale, meno sistematico: non sarebbero diventati una macchina omicida. Sicuramente ci sarebbero stati dei pogrom, come c’erano sempre stati dalla fine del Medio Evo in poi, ma non ci sarebbero stati campi di sterminio creati da Stati.  In breve, non ci sarebbe stato il genocidio.

Intervistatore - Il complotto descritto nei Protocolli è quello di un’élite giudeo-massonica. Come si spiega allora che l’odio scatenato dagli stessi Protocolli vada a colpire gli ebrei nel loro insieme? 

P.A. Taguieff  - C’è sempre una distorsione fra il contenuto letterale di un testo e i modi di utilizzazione, le mobilitazioni sociali, violente, fatte in nome di quel medesimo testo. Non c’è alcun dubbio che il mito del complotto mondiale ebraico sia servito massicciamente a giustificare l’idea di uno sterminio totale degli ebrei in Europa, idea che, d’altra parte, si fa avanti lentamente nelle menti di Hitler, Himmler e Goebbels. Non dobbiamo credere che la storia abbia un percorso perfettamente lineare. Prediligo, cioè, un’interpretazione funzionalista della Shoah piuttosto che una intenzionalista, credo più alla forza d’inerzia dell’ingranaggio messo in moto dai nazisti che a un programma ben definito da Hitler fin dall’inizio. Riconosco l’intenzione di Hitler, ma non si può dire che la Shoah fosse presente nella sua mente fin dal 1920, è falso. Non sapevano con quali mezzi, non sapevano come, ma direi che fino al 1940 l’idea dominante nei capi nazisti era quella di procedere a una specie di pulizia etnica dell’Europa spedendo tutti gli ebrei in Madagascar, in Palestina o in qualche contrada isolata dove potessero essere sorvegliati. Erano animati dall’idea dell’espulsione più che da quella dello sterminio. D’altra parte, di fronte alle minoranze non si conoscono che quattro modi di agire politicamente: la conversione o assimilazione, a seconda che la prospettiva sia religiosa o politica; la segregazione, con la conseguente formazione di ghetti; l’espulsione e lo sterminio. Il razzismo impediva ai nazisti la prima soluzione, perché esso presuppone che ci siano degli inconvertibili e degli inassimilabili; la segregazione non era compatibile con la logica nazionalista che agogna all’omogeneizzazione del territorio e del popolo e quindi detesta ogni enclave; non restavano, quindi, che l’espulsione e lo sterminio. E direi che non si può gerarchizzare fra l’una e l’altra, perché anche l’espulsione, cioè la pulizia etnica, è un metodo violento, autoritario e totalitario. Se con lo sterminio si distruggono le vite, con l’espulsione si distruggono le anime, le ragioni di vita: la gente espulsa si suicida.

Le faccio l’esempio di Chamberlain, che, all’inizio de I1 fondamento del XlX secolo, afferma di non voler minimamente nuocere al più piccolo ebreo. Alla lettera, quindi, non era antisemita, eppure tutto il suo libro non fa che denunciare il popolo ebreo come di troppo in Europa. E ogni volta che si fabbrica una categoria di uomini di troppo, di gruppi umani che sono di troppo, che non sono al loro posto, che macchiano, perché non fanno parte di un ordine, ma sono percepiti come elementi di disordine, dal momento in cui si categorizza un gruppo come impuro, lo si designa sia all’espulsione che allo sterminio. Un giorno o l’altro questo avverrà. Credo che ci sia una responsabilità dei teorici, in questo caso dei teorici classici dell’arianismo, dell’antisemitismo, della quale, però, loro stessi non erano consapevoli. Ma non bisogna fare il processo sommario a Chamberlain. Lui credeva di avere per le mani la chiave della storia del mondo prendendo qualche idea da Darwin, da Gobineau, da Galton. Era nel contempo un razzista biologico e un razzista culturale, perché dava più importanza alla mentalità: diceva che si può avere un corpo da ebreo ma una mentalità da ariano, così come un corpo di apparenza ariana e un’anima giudaizzata. Per lui, la razza era una categoria molto più psicologica che biologica; non si poteva definire un ebreo se non attraverso l’intuizione psicologica, il colpo d’occhio: “Un bambino riconosce immediatamente il pericolo, l’estraneità dell’ebreo”, diceva. Credo che se Chamberlain avesse immaginato quale uso sarebbe stato fatto delle sue tesi, avrebbe forse moltiplicato le messe in guardia, evitando la stessa diffusione del suo libro perché, in fondo, era una persona relativamente dolce, un wagneriano - tra l’altro era genero di Wagner -, che aveva discusso la sua tesi in scienze naturali con un grande naturalista ebreo. Insomma, niente lo predestinava a diventare quel teorico dell’antisemitismo e dell’arianismo che ricevette Hitler un giorno d’ottobre del 1923, credendo ingenuamente di vedere in lui il salvatore della Germania.  C’è una lettera molto bella, commovente e nello stesso tempo scandalosa, che Chamberlain inviò a Hitler dopo il loro incontro, da lui definito “capitale”. Chamberlain non poteva parlare, era afasico, paralizzato, Hitler era all’epoca un povero, sconosciuto, agitatore di birreria, disprezzato da tutti. Tuttavia Chamberlain riconosce nel fervore hitleriano qualcosa che percepisce come appartenente al sublime, ma che in effetti apparteneva al demoniaco.  In quella lettera si mostra chiaramente l’ingenuità dei dottrinari, I’angelismo degli intellettuali.

Intervistatore - Ma perché, nella storia moderna, il mito del complotto ha trovato un terreno così fertile?

P.A. Taguieff - Intanto bisogna definire, molto classicamente, il mito come un racconto, una grande struttura narrativa. Uno dei grandi racconti della modernità è quello in cui viene proposta un’interpretazione generale della storia umana come diretta verso il peggio, essendo dominata dalle forze del male. Ecco perché, spesso, la teoria del complotto si accompagna a un certo pensiero della decadenza, del declino. Ora, io credo che il mito del complotto ebraico abbia un’importanza fondamentale nella storia della moderna mentalità europea, perché ha strutturato la psicologia politica di massa. La difesa contro la minaccia, anche se solo immaginaria, produce comunque un effetto di consolazione: si sfugge all’angoscia, alla minaccia, agli incubi.

Vediamo le varie funzioni di questo mito negativo. La prima funzione è esplicativo-narrativa. É la narrazione di “ciò che è veramente successo”, ossia la manipolazione da parte di forze negative, demoniache, delle istanze dirigenti del mondo, il che presuppone l’esistenza di una superpotenza invisibile dietro tutte le potenze visibili. La seconda funzione, conseguente alla prima, è la difesa contro la minaccia: un tale mito spiega che tutte le disgrazie sono causate da un solo colpevole, rivela i segreti più nascosti delle potenze minacciose del male e, quindi, permette di difendersi. In una parola, rivelare i segreti dei nemici è il mezzo più efficace per combattere i nemici segreti. La terza è una funzione di legittimazione dei diversi modi d’attacco, di mobilitazione, di persecuzione del nemico; una funzione di legittimazione dei pogrom, per esempio: una delle prime versioni dei Protocolli viene pubblicata poco dopo il pogrom di Kishinev del 1903, al fine di giustificare quell’immenso massacro che aveva provocato centinaia di morti. É una funzione di legittimazione degli atti di crudeltà e persecuzione: si spiega perché è stato necessario e giusto perseguitare gli ebrei, ucciderli, umiliarli, procedendo a quella che ancora non si chiamava “pulizia etnica”, ma che è sempre esistita, essendo consustanziale a tutte le guerre. La quarta è la funzione mitopolitica di designazione del nemico assoluto. Il mito del complotto mondiale ebraico serve a fabbricare un nemico assoluto, nei confronti del quale tutto è permesso. Evidentemente, si tratta di un metodo di messa a morte, di un metodo di condizionamento mentale in vista di un atto di sterminio che viene presentato come mezzo di autodifesa: “Tutto il mondo cospira contro di noi”. In altre parole, il mito del complotto è un mito da combattimento, ha una funzione guerriera, costituisce l’accompagnamento di ogni atto di guerra nella modernità.  Infine, la quinta è una funzione, in piena epoca di disincanto del mondo, come diceva Max Weber, di re-incantamento del mondo. Può sembrare strario attribuirla al mito del complotto mondiale ebraico, che è un mito negativo; tuttavia, si può avere anche un re-incantamento negativo del mondo, popolandolo di diavoli, di demoni, di esseri invisibili che costituiscono un retro-mondo invisibile dietro il mondo visibile. In tal modo, si reintroduce una dimensione magico-mitica in un mondo disincantato, appiattito, senza trascendenza. Il mito reintroduce una trascendenza, in questo caso negativa e demoniaca, ma poiché credo che gli uomini abbiano bisogno di trascendenza, la trovano dove la incontrano. C’è una fascinazione esercitata dal male, che questo mito designa.  Queste cinque funzioni permettono di fare un po’ di chiarezza sulla persistenza del mito del complotto ebraico, malgrado studi eruditi dalla fine del XIX secolo l’avessero smontato ancor prima della pubblicazione dei Protocolli dei Saggi di Sion. Il che mostra molto bene i limiti di una contro-argomentazione strettamente razionale o strettamente scientifica. Così come non si può bloccare una diceria facendo delle messe a punto, ma solamente rilanciando una contro-diceria, non si può lottare contro un mito politico se non rilanciando un contro-mito. Se l’antisemitismo in Europa occidentale non è più apparso come un movimento di massa, se i Protocolli non hanno più potuto circolare dal ‘45 in poi, ciò è avvenuto perché si è imposto un contro-mito antifascista.

Intervistatore - Eppure, oggi i Protocolli riappaiono...

P.A. Taguieff - Il mito del complotto mondiale ebraico sta operando quella che chiamerei la sua terza internazionalizzazione. Dopo la prima, nel 1919-20, quando furono utilizzati come macchina da guerra contro il bolscevismo, dopo la seconda, nel 1948-49, quando il mondo arabo cominciò a diffondere massicciamente i Protocolli per delegittimare lo Stato di Israele e il sionismo, stiamo vivendo ora la terza internazionalizzazione, dopo la caduta del Muro di Berlino, con l’esplosione di movimenti nazionalisti, etnici, populisti nell’Europa dell’est, che marciano di nuovo sulla teoria del complotto. É inevitabile, allora, anche se paradossale, che venga utilizzata una teoria del complotto già collaudata e pronta a funzionare, ossia il complotto mondiale ebraico. É paradossale perché riemerge in paesi, come la Polonia, dove di ebrei ne rimangono poche migliaia. Questa è la prova che il mito del complotto può funzionare, non psicologicamente ma socialmente, anche a vuoto, senza che ci siano materialmente i presunti “complottatori”.

A questo proposito le voglio fare l’esempio del Giappone. Alla fine degli anni ‘80 un certo numero di testi antisemiti, fra cui i Protocolli e Mein Kampf, sono stati tradotti o ripubblicati in decine, se non centinaia di migliaia di copie. Ora, in Giappone non c’è affatto una presenza ebraica. Il Giappone è relativamente omogeneo nella sua popolazione, gli ebrei non hanno un ruolo particolare nella società giapponese, sono estremamente poco numerosi e, per di più, sono quasi tutti americani. Allora, ci può essere un funzionamento di secondo grado, se così si può dire, o piuttosto un riciclaggio, una ricontestualizzazione del mito del complotto mondiale ebraico per fini diversi dall’antisemitismo in senso stretto. In Giappone si utilizza quel mito come macchina da guerra antiamericana.

Non sono gli ebrei a venire presi di mira, ma la potenza americana, l’alta finanza, il capitalismo americani, che si suppongono dominati dagli ebrei. Inoltre - e questo è interessante sul piano dell’analisi psicologica -, questi testi giapponesi, nelle loro introduzioni e prefazioni, affermano che bisogna leggere i libri antisemiti, così come la Bibbia e i libri ebraici autentici, per comprendere come questo piccolo popolo perseguitato, minoritario, poco numeroso, abbia potuto avere una tale importanza nella storia del mondo, abbia potuto dominare il mondo. In altre parole, non si tratta di essere contro gli ebrei, ma di diventare gli ebrei dell’Oriente. Ecco un utilizzo molto interessante: pura rivalità mimetica, ma senza aggressività. Bisogna conoscere gli ebrei per apprendere i loro metodi e diventare come loro. Prendono il mito come uno stato di fatto: gli ebrei sono il popolo eletto e anche loro lo vogliono diventare.

Intervistatore - Viene da chiedersi: perché gli ebrei?

P.A. Taguieff - La tesi secondo la quale la motivazione dominante dell’antisemitismo in epoca moderna risiede in una specie di rivalità mimetica, nell’odio verso il simile, verso chi è più prossimo, verso un’intollerabile somiglianza, serve solo a descrivere il funzionamento psicologico dell’antisemitismo in rapporto al funzionamento psicologico del razzismo di tipo schiavista: mentre il nero è visto dall’alto, l’ebreo è visto di fronte. Questo è vero, ma non consente di rispondere alla domanda sulle origini, i fattori, che presiedono alla scelta degli ebrei. Questo è anche il caso della teoria del capro espiatorio che, a prima vista, sembra molto convincente. Durkheim, ad esempio, la sosteneva a proposito dell’affare Dreyfus. In base a questa teoria si suppone che la società attraversi una crisi, per cui i principali punti di riferimento scompaiono, e in questo stato di anomia, di sospensione generalizzata delle norme e dei valori stabili, la società ricostruisce il suo ordine, la sua gerarchia designando degli individui come colpevoli affinché siano perseguitati ed espulsi.  Anche questa teoria, però, si limita a descrivere il meccanismo sociologico che si ritrova tanto nell’antisemitismo, quanto in altri fenomeni di mobilitazione di massa contro qualcosa o qualcuno. In una parola, non risponde alla domanda: perché gli ebrei?  Credo che su questo problema bisogna essere ragionevoli e relativamente moderati e avere il coraggio di dire che a tutt’oggi non possediamo una vera teoria esplicativa dell’antisemitismo.  Una risposta storiografica relativamente forte, verso la quale propendo, è quella che insiste sulla modellizzazione cristiana della disposizione antiebraica a partire dall’XI-XII secolo, epoca in cui i dotti cristiani scoprono il Talmud e in questo trattato di diritto e morale, in questa raccolta della saggezza orale ebraica, leggono affermazioni anticristiane ed etnocentriche - e non si vede perché gli ebrei non dovessero essere etnocentrici come gli altri popoli - molto violente, del tipo: “il migliore dei gojim è quello morto”, “non si può mai avere confidenza in un gojim”, “non domandare mai a un gojim di custodire i tuoi bambini”.

I cristiani percepiscono, allora, il Talmud come un trattato anticristiano, cosa che il Talmud è in parte, ma non solamente. A partire da quel momento, i cristiani cominciano a dire che il vero tibro degli ebrei non è la Bibbia, ma il Talmud, che gli ebrei non sono più il popolo del Libro, che sono estranei non solo al Nuovo Testamento, ma anche al Vecchio. A quel punto le cose si mettono male per gli ebrei: allo statuto di popolo che deve essere conservato in stato di miseria come testimone della miseria umana perché non ha riconosciuto il Messia, cominciano ad aggiungersi accuse di avvelenamento di pozzi, di complotti locali contro i cristiani, di omicidio rituale. D’altronde è già in corso la caccia alle streghe e gli ebrei vengono percepiti e trattati come stregoni: sono bruciati vivi, condannati, torturati per estorcerne confessioni... Direi, perciò, che l’antisemitismo ha un’origine religiosa cristiana, pur non essendo un’eredità dei primi tempi del cristianesimo, ma una creazione medievale frutto della reazione alla lettura del Talmud. Oltre a ciò, bisogna tener conto della volontà di auto segregazione degli stessi ebrei, attestata in modo esemplare dagli studi di Jacob Katz. La formazione dei ghetti è garantita dai rabbini perché impedisce i matrimoni misti che pregiudicano la discendenza di Israele.

I rabbini sono contenti che ci siano i ghetti. Si crea, in tal modo, un accordo profondo sull’esistenza dei ghetti fra l’ambiente antisemita circostante,e il rabbinato che mirava a proteggere il proprio popolo da ogni influenza esterna, in modo da evitare tentazioni di ogni tipo, sia verso le donne che verso le culture non ebree, allo scopo di evitare conversioni al cristianesimo.  Sono ipotesi interessanti, perché spiegherebbero, riferendosi a elementi culturali profondi, essenzialmente religiosi, l’origine della specificità ebraica e del motivo per cui gli ebrei sono stati presi di mira: perché vennero percepiti, nell’insieme, come assassini del Figlio di Dio, e quindi come popolo deicida, ma anche come popolo esclusivista, anticristiano e xenofobo.  Quando Céline nel suo pamphlet, Bagatelle per un massacro, denuncia il razzismo ebraico, non fa che designare in modo fantasmatico una delle cause dell’antisemitismo moderno. Molti antisemiti, che erano stati antirazzisti, denunciando il razzismo ebraico si immaginavano di essere degli autentici antirazzisti. Oppure, su un versante opposto, altri antisemiti, come Chamberlain, rendevano omaggio al popolo ebreo perché aveva inventato la legge del sangue, perché considerava una degenerazione il matrimonio misto. Ed è vero che ci sono molti passi nella Bibbia nei quali i matrimoni misti sono demonizzati, nei quali i capi delle prime tribù d’Israele ordinano di evitarli sotto pena di morte o di messa al bando. C’è, in effetti, l’odio per la mescolanza. Evidentemente, poi, nella Bibbia non c’è solo xenofobia, c’è anche una xenofilia molto bella che il cristianesimo ha ripreso e diffuso: è nei libri profetici che si ritrova per la prima volta enunciato il comandamento “ama il prossimo tuo come te stesso”. Anche se, lo dico fra parentesi, preferisco la formula con la quale Tolstoj, più generosamente, correggeva questo imperativo in “ama il tuo prossimo come lui stesso”. Quel “come te stesso” resta autocentrato, gli altri rischiano di dover essere degli altri me stesso, a mia immagine e somiglianza. E quando non sono simili a me? E quando sono lontani?  Concludendo: occorre tener conto delle interazioni complesse che ci sono state fra mondo ebraico e mondo cristiano in Europa. Non bisogna supporre, come fa il modello del capro espiatorio, che, a fronte dei carnefici, ci fosse solo un gruppo di vittime passive.  C’erano, invece, delle interazioni profonde che hanno permesso all’antisemitismo di costituirsi in modo stabile. Vi era sicuramente una differenza di potenza: il mondo cristiano era molto più forte di quello ebraico. Ma gli ebrei avevano una tradizione, avevano il sentimento dell’elezione, che fu uno straordinario mezzo di sopravvivenza attraverso i secoli e le persecuzioni, avevano un modo di vita ben stabilizzato, avevano un grande Libro. In breve, avevano un’identità.

 

 

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