1- All'età di diciassette anni i giovani romani smettevano la toga puerilis (detta anche praetexta perché era listata di porpora) e assumevano la candida Toga virilis. Si è calcolato, con attendibile approssimazione, che Nicandro (probabilmente figlio di Eutidamo, collega di sacerdozio di Plutarco a Delfi) sia nato tra il 60 e il 70 d. C., il che porrebbe la data di composizione dell'opuscolo nel decennio tra l'80 e il 90 d. C. [Torna al Testo]

2- L'inadeguatezza sul piano «formativo-culturale», la non conseguita maturità, può indurre i giovani al pericoloso fraintendimento di scambiare per «libertà» la nuova condizione in cui vengono a trovarsi, quando non devono più sottostare agli ordini dei pedagoghi e dei maestri. Sulla notoria rigidità e durezza di questi ultimi si veda ad esempio lo pseudo-Platone, Assioco V, 366: «Quando il bambino [...] raggiunge i sette anni, sopravvengono a tiranneggiarlo i pedagoghi, i grammatici e i maestri di grammatica e, quando è cresciuto, una grande schiera di padroni, dagli insegnanti di letteratura ai geometri, agli istruttori militari. E una volta iscritto nella lista degli efebi, ecco il cosmeta e il timore delle percosse» (tr. di Giovanna Sillitti in Platone, Opere complete, 8, Laterza, Bari, 197l). [Torna al Testo]

3- Erodoto, I, 8, 3 (si tratta del celebre episodio di Gige e della moglie di Candaule). [Torna al Testo]

4- Meteci erano in Atene gli stranieri che avevano il permesso di risiedere in città: erano tenuti al pagamento di una tassa (metoíkion, ma non godevano di diritti politici. Tra i più illustri meteci ateniesi furono Cefalo di Siracusa, amico di Socrate, nella cui casa Platone colloca la conversazione filosofica descritta nella Repubblica, e suo figlio, il grande oratore Lisia. [Torna al Testo]

5- Questo tipo di bacio si chiamava khýtra (nome dato a una pentola a due anse). [Torna al Testo]

6- I parti «di vento» delle galline, sono le cosiddette «uova chiare», cioè non fecondate: tale è il discorso dei giovani quando non è «fecondato» dall'abitudine di ascoltare. [Torna al Testo]

7- Esametro di autore ignoto. [Torna al Testo]

8- Non si hanno elementi per capire se Plutarco si riferisca qui al celebre oratore ateniese del IV sec. a. C. o all'omonimo filosofo socratico. [Torna al Testo]

9- La prima norma è dunque di non interrompere chi parla e riflettere prima di muovere un'obiezione: non si tratta tanto di buone maniere, anche se questo aspetto non è da trascurare, quanto dell'utilità effettiva che si può ricavare da una lezione. Non pare, invece, che qui entri in discussione il tema della liceità o meno del contraddittorio, ammesso in alcune scuole e negato da altre. Tra queste ultime rientravano gli stoici (cfr. Luciano, Ermotimo 13, dove Licino chiede a Ermotimo, che seguiva appunto la disciplina del Portico, se nella sua scuola era consentito ai giovani di controbattere le affermazioni dei maestri, ma si sente rispondere negativamente) e i pitagorici (cfr. , ad esempio, Gellio, I, 9, 4): più in generale, a Plutarco preme evidenziare come solo attraverso un ascolto attento e una successiva ponderata riflessione si possa dare la giusta valutazione di ciò che si è ascoltato. [Torna al Testo]

10- Economico 1, 15. [Torna al Testo]

11- Questo detto ricorre più volte in Plutarco, sempre attribuito a Platone, ma non appare in nessuna delle opere a noi pervenute del filosofo ateniese. [Torna al Testo]

12- Cfr. Fedro 235 a sgg. [Torna al Testo]

13- Detto famoso di Eraclito di Efeso: Vorsokr 12, I, 22 B 87, p. 170. [Torna al Testo]

14- L'esatta identificazione dei due personaggi risulta complicata: conosciamo, infatti, un Melanzio, tragediografo ateniese del V sec. a. C. , deriso da Aristofane (Pace 802, 1009; Uccelli, 151), e autore secondo Ateneo (VIII, 30, 343 C) anche di elegie (cfr. Plutarco, Cimone, 4, 1, dove si dice che Melanzio compose un poema in onore di Cimone, e 4, 7, dove si riporta un distico elegiaco di Melanzio riferito al pittore Polignoto); che i due siano o no la stessa persona, è questione ancora aperta tra gli studiosi. Quanto a Diogene, si potrebbe pensare a Diogene d'Atene, scrittore della fine del V sec. di cui però sappiamo pochissimo, o molto meno plausibilmente al noto filosofo cinico di Sinope, cui Diogene Laerzio (VI, 80) attribuisce sette tragedie (in tal caso cadrebbe ovviamente l'identificazione di Melanzio con il tragediografo del V sec. a. C.). Amyot pensò a un errore della tradizione manoscritta e preferì emendare il nome in Dionisio, vale a dire Dionisio I di Siracusa, che fu autore di una quarantina di drammi. A nostro parere, dobbiamo solo lamentare la scarsità delle nostre conoscenze su Diogene di Atene. [Torna al Testo]

15- Simonide di Ceo: PMG (D. L. Page, Poetae Melici Graeci, Oxford 192), n. 593, fr. 88. p. 303. [Torna al Testo]

16- Espressione platonica (Repubblica, VIII, 564 e). [Torna al Testo]

17- Aristone di Chio: SVF (H. Von Arnim, Stoicorum Veterum Fragmenta, Hildesheim 1964), I, fr. 385. [Torna al Testo]

18- Espressione platonica (Repubblica, III, 411 a). [Torna al Testo]

19- Coliade era il nome di un promontorio attico, di discussa localizzazione, connesso con un particolare tipo di ceramica. [Torna al Testo]

20- Omero, Odissea XVII, 222. [Torna al Testo]

21- Sulla divisione delle proposizioni indefinite, che erano assiomi semplici, del tipo «l'uomo cammina», sappiamo poco. Il problema concernente il movimento secondo il lato o la diagonale si collega alla corretta interpretazione di un passo platonico (Timeo 36 C): «E il movimento del circolo esteriore lo destinò come movimento della natura del medesimo, e quello del circolo interiore come movimento della natura dell'altro, E quello che ha la natura del medesimo lo rivolse secondo il lato a destra, e quello della natura dell'altro, secondo la diagonale a sinistra» (trad. di C. Giarratano, in Platone, Dialoghi, VI, Laterza, Bari 19l8, più volte ristampata in Opere complete, 6).              [Torna al Testo]

22- Le proposizioni connesse sono una forma di assioma complesso, del tipo «se è giorno, c'è luce», «se tizio cammina, si muove», ecc., in cui la seconda frase è necessariamente implicita nella prima; quest'ultima deve essere caratterizzata comunque. dalla congiunzione condizionale. Il sofisma mentitore è menzionato così da Aulo Gellio (XVIII, 2, 10): «Cum mentior et mentiri me dico, mentior an verum dico?» («Quando mento e dico che sto mentendo, mento o dico la verità?»)              [Torna al Testo]

23- Citazione da una tragedia sconosciuta: TGF (Tragicorum Graecorum Fragmenta, Hildesheim 1964), Adespota, 361, p. 907. [Torna al Testo]

24- Allusione a un antico gruppo scultoreo: Ermes Lógios era patrono delle arti e delle scienze, compresa quella della parola e della scrittura: di qui i suoi legami con le Grazie (cfr. anche Coniugalia praecepta 138 C-D): «Gli antichi, vicino ad Afrodite, collocarono Ermes, pensando che il piacere delle nozze ha soprattutto bisogno di dialogo, e inoltre Peitho [la Persuasione] e le Grazie, perché gli sposi vedano soddisfatti i reciproci desideri con la persuasione e non battagliando o litigando»). [Torna al Testo]

25- Distico elegiaco di autore ignoto. [Torna al Testo]

26- Rientrava in un particolare genere dell'oratoria epidittica la cosiddetta adossografia, cioè l'elogio delle cose infamanti o disonorevoli. Si confronti, ad esempio, il frammento 21 di Epitteto (in Stobeo III, VII, 16, pp. 313-314 Hense): «[Agrippino] era un uomo siffatto, dice Epitteto che, quando gli capitavano delle contrarietà, sempre ne scriveva l'elogio: se aveva la febbre, della febbre; se soffriva di qualche disonore, del disonore; se era esiliato, dell'esilio». [Torna al Testo]

27- Repubblica V, 474 d-e:

«Un uomo esperto in amore non dovrebbe dimenticare che tutti coloro che si trovano nel fiore della giovinezza, in certo modo mordono e turbano chi ama i fanciulli e ha natura erotica: perché i fanciulli gli sembrano degni di attenzioni e tenerezze. Non vi comportate così con le persone belle? Questo, che ha il naso camuso, lo loderete dicendolo grazioso; il naso aquilino del secondo lo dite regale; al terzo, che ha un naso medio fra i due, attribuite proporzioni perfette. E gente scura la dite virile, i pallidi li chiamate "figli degli dei"; e i "color di miele" e il vocabolo relativo da chi credi siano stati inventati se non da un amante che, usa un eufemismo e che tollera facilmente il colorito pallido della persona amata, se questa è in fresca età?» (tr. cit. di F. Sartori). [Torna al Testo]

28- Fedro 234 e. [Torna al Testo]

29- Archiloco di Paro, celebre poeta lirico del VII sec. a. C. , autore di giambi, elegie, inni ed epigrammi. Il giudizio qui riferito era sostenuto da una corrente critica, come prova anche Quintiliano (X, l, 60): «Notevole è il vigore del suo eloquio, i suoi pensieri sono non soltanto vigorosi, ma anche concisi e penetranti, la sua poesia così succosa e piena di nervi, che il suo essere inferiore a qualcuno sembra a certi studiosi dovuto alla materia, non al suo talento» (tr. di R. Faranda e P. Pecchiura, in Quintiliano, L'istituzione oratoria, II, UTET, Torino 1979, p. 415). Così Orazio dice di aver seguito i ritmi e gli impeti di Archiloco, ma non la sua materia (Epistulae I, 19, 23-25: «Parios ego primus iambos ostendi Latio, numeros animosque secutus Archilochi, non res»). [Torna al Testo]

30- Parmenide di Elea (V sec. a. C.), il più illustre esponente della scuola Eleatica, compose un poema in esametri di cui possediamo ampi frammenti. La critica plutarchea è rivolta espressamente alla sua capacità di versificatore, di costruttore di versi, e si deve intendere probabilmente non in senso strettamente metrico, ma «poetico» in generale: la sua poesia, dice Plutarco (I ragazzi e la poesia, cap. 2), è e rimane una prosa che è salita sul carro della poesia per elevare il suo linguaggio. [Torna al Testo]

31- Focilide di Mileto, poeta gnomico del VI sec. a. C.: il giudizio è di ordine estetico, ed investe la semplicità, e in definitiva la povertà espressiva, dello stile focilideo. [Torna al Testo]

32- Luogo comune della critica euripidea, a partire da Aristofane (Rane 91, 9M, 1069). [Torna al Testo]

33- La discontinuità è da intendersi sul piano dell'intonazione poetica, che da vertici sublimi scivolerebbe in passaggi prosaici. Su questo giudizio concorda anche l'anonimo autore del trattato Sul sublime (33, 5) che osserva: «Pindaro e Sofocle bruciano tutto, per così dire, nel trasporto della loro ispirazione, ma spesso senza motivo si spengono e cadono infelicissimamente». [Torna al Testo]

34- Plutarco evidenzia qui un concetto fondamentale, di straordinaria modernità pedagogica, sottolineando la necessità che tra maestro ed allievo si crei una cooperazione attiva, un «dialogo», anche silenzioso, fatto cioè di pura attenzione e disponihilità all'apprendimento: il maestro si sentirà cosi stimolato a dare il meglio di sé, e l'allievo, a sua volta, trarrà dalla lezione i più grandi benelici. Assolvendo i propri reciproci doveri, si può creare quell'armonia (la sociata tradentis accipientisque concordia di Quintiliano II, 9, 3) che porta alla crescita, umana e culturale, di entrambi i protagonisti della scuola. [Torna al Testo]

35- Fr. 155 Diano: «A Leontio. Per Apollo Risanatore, Leonziuccia mia cara, di qual fragore d'applausi ci hai riempiti nel leggere la tua letterina» (tr. C. Diano, ora in Epicuro, Scritti morali, BUR, Milano 1987, p. 113). [Torna al Testo]

36- Il misolidio era un modo musicale adatto al lamento tragico. [Torna al Testo]

37- Cfr. le parole del filosofo stoico C. Musonio Rufo in Aulo Gellio (V, 1-4): «Quando il filosofo esorta, ammonisce, persuade,rimprovera o sviluppa un altro punto d'insegnamento, se gli uditori si abbandonano, senza riflessione e ritegno, ai primi elogi che vengono loro in mente, se levano alta la voce, se si lasciano trascinare, eccitare ed entusiasmare dalle fioriture dei suoni, dalla melodia delle parole e per così dire dal ritmo del discorso, allora sappi che chi insegna e chi ascolta sprecano entrambi il loro tempo e non c'è più un filosofo che parla, ma un flautista che suona. Quando le parole del filosofo sono utili, salutari e apportano una cura medica agli errori e ai vizi, l'animo di chi ascolta non può rilassarsi e non ha il tempo per lunghi e diffusi elogi. Chiunque sia chi ascolta, a meno che non si tratti di una persona assolutamente incorreggibile, è inevitabile che rabbrividisca alle parole del filosofo e conservi un pudico silenzio e provi dentro di sé sentimenti di pentimento, gioia e stupore; e ancora che le espressioni del viso cangino e così pure il suo stato d'animo, a seconda che l'esame del filosofo tocchi lui e la sua coscienza e sondi le due parti dell'animo suo, quelle sane o quelle malate». [Torna al Testo]

38- Citazione dal Telefo, tragedia euripidea non pervenuta: TGF, 724.                [Torna al Testo]

39- Cleante di Asso (ca. 331-232 a. C.), filosofo dell'antica Stoa, successe al suo maestro, Zenone di Cizio, nella direzione della scuola: di lui Diogene Laerzio (VII, l70) scrive: «Era diligente, ma privo di attitudini naturali ed eccessivamente lento. [...] Sopportava di buon grado il motteggio dei suoi condiscepoli e, quando lo chiamavano asino, non si dispiaceva, anzi aggiungeva che era il solo capace di sostenere il fardello di Zenone» (trad. di M. Gigante in Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Laterza, Bari 1962). Sempre Diogene Laerzio (IV, 6) scrive di Senocrate: «Era tardo d'ingegno, sì che Platone paragonandolo con Aristotele soleva dire: "L'uno ha bisogno di sprone, l'altro di freno" e anche: "Quale asino io alleno a lottare contro un tale cavallo!"» (trad. di M. Gigante). [Torna al Testo]

40- Antigone 232. [Torna al Testo]

41- Ieronimo di Rodi (III sec. a. C.), filosofo peripatetico, poi eclettico. Non è chiaro a quale scritto Plutarco faccia riferimento in questa citazione, (fr. 20 di Ieronimo), né sappiamo se sia riconducibile alla stessa opera cui appartiene il fr. 19. In quest'ultimo si parla esplicitamente di una ricerca Sull'educazione dei ragazzi, ma anche qui è dubbio se Ieronimo abbia composto un'opera specifica sull'argomento, che si possa annoverare tra le fonti cui attinsero Plutarco e l'estensore de L'educazione dei ragazzi[Torna al Testo]