di H. P. Blavatsky

Traduzione di Marpa

 

Capitolo VIII°

 

La mal compresa allegoria conosciuta come discesa nell’Ade, ha causato guai infiniti. La “favola” exoterica di Ercole e di Teseo che discendono nelle regioni infernali; il viaggio agl’Inferi di Orfeo, che trova il suo cammino a causa del potere della sua Lira (Ovidio, Metamorfosi,X, 40-48); quello di Krishna ed infine quello di Cristo, che “discese all’Inferno e il terzo giorno risuscitò da morte”, furono travisati oltre ogni dire dagli adattatori non iniziati ai riti pagani, che li trasformarono poi in dogmi e riti della Chiesa. Astronomicamente, questa discesa nell’inferno simboleggiava il Sole durante l’equinozio autunnale, quando abbandonava le alte regioni siderali - per cui si supponeva un combattimento fra lui e il Demone delle Tenebre il quale aveva la meglio sull’astro luminoso. S’immaginava allora che il Sole passasse attraverso una morte temporanea, e discendesse nelle regioni infernali. Ma, misticamente, questa “discesa” rappresentava i riti dell’Iniziazione nelle cripte del Tempio chiamate il Mondo Inferiore (l’Ade). Bacco, Eracle, Orfeo, Asclepio e tutti gli altri visitatori della cripta, discendevano tutti nell’inferno e da lì risalivano il terzo giorno, perché tutti erano degli Iniziati e “Costruttori del Tempio Inferiore”… Le parole rivolte da Mercurio a Prometeo incatenato sulle aride rocce del Caucaso - legato, cioè, dall’ignoranza al suo corpo fisico e divorato quindi dagli avvoltoi della passione - si adattano ad ogni neofita, ad ogni Chrêstos (26) durante la prova: “Non ci sarà termine al tuo supplizio finché il (o un) Dio non apparirà e non ti solleverà dai tuoi dolori, acconsentendo a discendere con te nel tenebroso Hades, nelle oscure profondità del Tartaro” (Eschilo, Prometeo Incatenato 1026-29). Ciò significa semplicemente che finché Prometeo (l’uomo) non troverà il “Dio”, o lo Ierofante (l’Iniziatore), che volontariamente discenderà con lui nella cripta dell’Iniziazione e lo guiderà in ogni anfratto del Tartaro, l’avvoltoio delle passioni non cesserà di divorare i suoi organi vitali (27). Eschilo, in qualità d’Iniziato, non avrebbe potuto dire di più; ma Aristofane, meno pio o più audace, nella sua immortale satira (Le rane) divulgò il segreto della discesa all’inferno d’Eracle a tutti quelli che non erano accecati da pregiudizi troppo radicati. Vi troviamo il coro dei “beati” (gli Iniziati), i Campi Elisi, l’arrivo di Bacco (il Dio Ierofante) con Eracle, il ricevimento con le torce accese, emblemi della nuova VITA e RESURREZIONE dalle tenebre dell’ignoranza umana alla luce della conoscenza spirituale la VITA eterna. Ogni parola della brillante satira mostra l’intenzione interiore del poeta:

 

“Animatevi, torce ardenti… giacché tu vieni agitandole nella tua mano, Iacco, stella fosforescente del rito notturno”.

 

Le iniziazioni finali avevano sempre luogo di notte. Quindi parlare di qualcuno come disceso nell’Ade equivaleva nell’antichità definirlo un Perfetto Iniziato. A coloro che si sentono inclini a respingere questa spiegazione, porrò una domanda: Possono essi spiegare, in tal caso, il significato di una frase contenuta nel sesto libro dell’Eneide di Virgilio? Cosa può voler dire il poeta se non quello che abbiamo detto, quando, introducendo il vecchio Anchise nei Campi Elisi, lo mostra mentre consiglia al figlio Enea il viaggio in Italia… dove dovrà combattere nel Lazio un popolo rude e barbaro? Ma, egli aggiunge, prima di avventurarti lì, “discendi nell’Ade”, cioè diventa un Iniziato. I benevoli clericali che, alla più piccola provocazione, sono sempre pronti a mandarci nel Tartaro e nelle regioni infernali, non sospettano affatto quali buoni auguri essi formulano per noi; né quale santità di carattere si doveva acquistare per poter entrare in un luogo tanto sacro. Non erano solo i pagani ad avere i loro Misteri. Bellarmino afferma (De Eccl. Triumph., lib. 3, cap.17) che i primi cristiani adottarono l’abitudine, sull’esempio delle cerimonie pagane, di riunirsi nelle Chiese durante le notti che precedevano le loro festività, dette vigilie o “veglie”. All’inizio le loro cerimonie furono compiute con la più edificante santità e purezza. Ma molto presto in queste “assemblee” s’insinuarono abusi immorali tali, che i Vescovi ritennero necessario abolirle. Abbiamo letto in dozzine di libri delle licenziosità che regnavano nelle festività religiose pagane. Cicerone (De Legibus, II, XV, 37) ci mostra Diagonda il Tebano che, per poter ovviare a tali disordini durante le cerimonie, non trovò altro mezzo che quello di sopprimere i Misteri stessi. Nondimeno, quando paragoniamo i due tipi di celebrazioni - i Misteri pagani, vetusti per età secoli prima della nostra era, e le Agapae cristiane in una religione appena nata ma che aspirava ad un’influenza purificatrice sui suoi convertiti - possiamo solo avere pietà per la cecità mentale dei suoi difensori, e citare per loro utilità Roscommon, che si chiede: “Dal momento che cominciate con tanta pompa e ostentazione, perché il vostro fine è così meschino e basso?(28)

 

 

 

 

26. Nel vocabolario del Tempio dei pagani, Chrêstos significava un discepolo in probazione, un candidato allo stato di Ierofante. Quando vi era giunto attraverso l’Iniziazione, lunghe prove e sofferenze, ed era stato “unto”, il suo nome era cambiato in Christos, nel linguaggio esoterico dei Misteri, il “Purificato”.

27. La parte oscura della cripta, nella quale si supponeva che il candidato all’Iniziazione si liberasse per sempre delle sue passioni cattive e dei suoi desideri malvagi. Da ciò, le allegorie d’Omero, d’Ovidio, di Virgilio ecc., prese tutte alla lettera dagli studiosi moderni. Il Flegetonte era un fiume del Tartaro in cui il candidato veniva immerso tre volte dallo Ierofante, dopo di che le prove erano terminate e l’uomo nuovo nasceva di nuovo. Egli aveva lasciato per sempre nell’oscura corrente il vecchio uomo peccaminoso, e risorgeva il terzo giorno dal Tartaro come individualità, essendo morta la personalità. Personaggi quali Issione, Tantalo, Sisifo ecc., sono ciascuno una personificazione di qualche passione umana.

28. De Arte Poetica Liber; Ad Pisones, linee 17-18 by Wentworth Dillon, Earl of Roscommon. Vedi Poetical Works of Wentworth Dillon, Edinburgh 1780.

 

 

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