La Ragione e la Legge


È utile precisare qui il senso di due parole che abbiamo adoperato: Ragione e Legge.
Chiamo ragione la facoltà che possiede lo spirito di collocarsi al di fuori delle sue proprie rappresentazioni e di pensare qualche cosa di cui ogni rappresentazione non è che un'imitazione avvicinata; in una parola, la facoltà di raggiungere i limiti della rappresentazione e di concepire il loro aldilà. È qui la ragione come l'ha concepita Kant, e soprattutto Wronski.


La scuola positivistica contesta l'esistenza di una tale facoltà e non ammette la possibilità di concepire l'irrappresentabile perché ogni atto intellettuale implica una base rappresentativa. È vero, in effetti, che mai lo spirito può afferrare l'irrappresentabile, e che, appena cerca di definirlo, si ritrova di fronte ad una rappresentazione. Ma l'errore della tesi consiste proprio nel volere assimilare la natura l'irrappresentabile al rappresentabile, ed a volere attribuirgli una circoscrizione. Questo è, al contrario, un asse, una direzione implicata necessariamente dal solo fatto che una rappresentazione è percepita e più o meno compresa, ossia riportata ad un residuo rappresentativo preliminare. Non è questo residuo rappresentativo, base della comparazione, che costituisce l'oggetto della ragione, l’irrappresentabile , ma il rapporto tra la rappresentazione e la sua misura, rapporto che dà non un oggetto, ma una direzione, una tendenza, un ideale, un tipo. Non è altro che la generalizzazione metafisica della nozione matematica della derivata, derivata che indica un orientamento, orientamento falsato non appena si vuole rappresentarla con una lunghezza qualsiasi della curva, e che non ha espressione esatta se non nella quantità astratta, perfettamente definita tramite la relazione di due elementi infinitamente piccoli.

E l’irrappresentabile concepito dalla ragione non è più una creazione soggettiva e senza valore che ne è il derivato: è al contrario, proprio questo inafferrabile oggetto che è la legge secondo la quale la rappresentazione evolve, e che gli conferisce, ad ogni istante, la determinazione particolare che la definisce. Perché questo elemento è di una realtà superiore che non può essere afferrato e compreso in una rappresentazione che lo ridurrebbe a non essere più di un elemento infinitesimale di ciò che è in realtà. È quindi soltanto una confusione che riguarda semplicemente l'impotenza mentale ad astrarsi, che sostiene la negazione della realtà delle entità astratte concepite dalla ragione. Sono delle realtà, negazioni delle realtà di una natura completamente eterogenea a quella degli oggetti della rappresentazione.

Del resto, l'idea sola di rappresentazione implica questa facoltà di concepire l'al di là della rappresentazione: perché la parola rappresentazione non significa più niente se l'oggetto percepito non rappresenta qualche cosa che non è percepito. Ciò che è rappresentato, Kant l'ha chiamato “Noumeno”. E questo risponde pressappoco al punto di vista della sostanza di Aristotele e degli Scolastici.
Il discredito di queste nozioni deriva da quanto si è lasciato trasportare con la inevitabile rappresentazione che tende a mischiarsi, e che ha preso poco a poco il posto dell'astrazione pura; di là, la costruzione di entità chimeriche che diventano delle sorgenti di errore.

Non bisogna, in ogni caso, dimenticare che le immagini più schematiche e le parole più astratte sono, tuttavia, il veicolo più rappresentativo, il più sottile possibile, delle cose che esprimono le nozioni razionali. Il loro carattere artificiale è dovuto alla necessità di avvolgere queste cose con una guaina rappresentativa per potere manipolarle; ma ne consegue che queste guaine avvolgono soltanto il vuoto: sarebbe ingenuo tanto quanto credere un tubo vuoto quando invece è riempito con un gas sottile ed invisibile. Bisogna soltanto concepire, che la realtà degli esseri designati da queste nozioni è di una natura completamente differente dalla qualità di resistenza, che è per noi il criterio della realtà degli oggetti sensibili. Qui, la realtà è altra, ma non è meno certa: poiché la soppressione dell'ordine, dell'orientamento della tendenza o della finalità che indicano, trascinerebbe la scomparsa di ciò che rende la rappresentazione conoscibile, diversamente detto, di ciò che la fa rappresentazione.

Si vede immediatamente che la ragione, per il solo fatto che concepisce, implica una realtà obiettiva opposta al suo operatore soggettivo. Ciò che concepisce, non lo crea, lo constata; o piuttosto, come per l'intendimento dei dati sensibili, l'elabora; e ciò che enuncia è un prodotto combinato da una necessità obiettiva che le si impone, e di un apporto soggettivo che emana del suo proprio orientamento.

L'elemento obiettivo che è, tutto sommato, la ragione del non io, è la Legge. La legge non è altra cosa che la ragione vista dall'aspetto obiettivo. La legge stabilisce l'ordine nel cosmo come la ragione lo stabilisce nella rappresentazione. Senza la legge, il mondo sarebbe puro caos; senza la ragione, la rappresentazione sverrebbe una agitazione incosciente.

La legge è così la ragione dell'universo, e la ragione è la legge dell'universo applicata all'uomo. Si comprende allora immediatamente, quanto profonda e non infantile sia la concezione cabalista e cristiana dell'antropomorfismo cosmico, del grande Adam Kadmon, riflesso umano del Verbo divino che è il Principio per eccellenza, quello che concepisce e che crea.
Si comprende, allora immediatamente, che l'uomo non inventa l'ordine cosmico, ma lo scopre in sé stesso quando il suo essere entra in vibrazione armonica con l'universo. E così le leggi intellettuali non sono altro che una risonanza (trasposta, è vero, e modulata secondo la modalità speciale della nostra umanità) delle leggi della realtà esterna: e questo conferisce loro un valore obiettivo.

Con ciò si definisce ancora l'essenza dell'uomo, essenza che non consiste nella conformazione di un vertebrato dell'ordine dei primati, ma nel possesso di uno di questi focolari di ordine e di orientamento che costituiscono la ragione in seno alla sfera psicologica, e la legge in seno ad un mezzo cosmico. La forma vertebrata dell'umanità, speciale al nostro pianeta, dipende più direttamente dalla modalità planetaria, e corrisponde al veicolo meglio appropriato che questo pianeta è riuscito a fornire, fino ad oggi, all'azione razionale.

Un essere ragionevole possederebbe così come un punto matematico determinato dove si riflette il raggio emanato della Ragione sovrana, mentre l'essere puramente psichico conterrebbe solamente un turbinio galleggiante, sede di rifrazioni instabili. E questo spiega la tesi cabalistica che rappresenta il mondo sensibile come un nulla agitato, il cui sfavillio è costituito soltanto da riflessi di luccichii.