Gli Errori delle Filosofie


Tutti gli errori dei sistemi filosofici sono consistiti nel conferire ad uno di questi elementi, presi isolatamente, la realtà e l'unità, e con ciò nel volere considerare i due altri come le illusioni, come le apparenze deviate dell'unico ammesso.

Il materialismo ammette solamente l'elemento essere dove la passività domina, l'attività (sapere) essendo velata sotto il termine vago di proprietà.

L'idealismo ammette solamente la conoscenza (attività); e la passività (l'essere diventa rappresentazione; ossia dipendenza pura dello scibile).

Il fenomenismo ammette solamente l'elemento neutro, fondamento della relazione, dimenticando che una relazione non ha realtà se non per i due termini che mette in rapporto.

Mentre il materialismo, l'idealismo ed il fenomenismo si basano tutti tre sul simbolismo statico (il materialismo, sotto forma di solido e di resistenza; l'idealismo, sotto forma di liquido e di inconsistente): il sistema di Parmenide e quello di Heraclito e di Hegel, d'altra parte, sono basati sul simbolismo del movimento, Parmenide attribuendo l'essere all'immutabile, Heraclite e Hegel al mutevole. Questi due sistemi sono erronei per le stesse ragioni, perché l'immutabile non può concepirsi se non in funzione del mutevole, e, reciprocamente, esso non ha diventare se non in funzione di una fissità. Uguale relatività si manifesta in ogni nozione: e è proprio questo elemento neutro o fondamentale che è implicato in ogni pensiero possibile ed in ogni esistenza concepibile.

Il sistema filosofico che tende a considerare la relazione come solo oggetto di conoscenza non è altro che fenomenismo trasportato nella sfera dei concetti astratti. Pecca per la confusione ed assorbe i due elementi polari nell'elemento neutro considerato sotto il suo aspetto negativo. Ogni relazione esiste soltanto in funzione dei suoi termini. Si potrebbe sostenere che i termini non sono percepiti, ma inferiti necessariamente dalla percezione della loro relazione, ma la loro esistenza, sebbene conosciuta in un altro modo, non si troverebbe meno stabilita.
Ma questo stesso è inesatto. Difatti, se una relazione è percepita come tale, si afferrano, allo stesso tempo, i suoi due termini; la loro sintesi è soggettiva, operata tramite ragione, e la loro percezione, realizzata nell'intendimento, rimane analitica. Se, al contrario si percepisce, la relazione come un semplice oggetto, senza poter analizzarlo, questo oggetto è una sintesi offerta dal mondo esterno alla nostra percezione, sintesi che contiene due termini ed una relazione che noi non possiamo discernere, ma la cui la riunione ci è espressa con un carattere concreto, con una forma.
È perché la nostra attività fisica o mentale è riuscita a rompere l'unità sintetica ed a sciogliere la forma e l'aspetto concreto in termini astratti, che il residuo di questo principio di unità si manifesta a noi come un tipo di legame che risponde alla nozione di relazione. Questa analisi è l'opera della scienza. Risponde ad un varco dell'attività umana nel seno delle sintesi obiettive che fermano la sua espansione. In questo senso ogni oggetto può ridursi all'espressione di una relazione tra due termini, ed è solamente così come che si potrebbe dire, abbastanza impropriamente, che conosciamo soltanto delle relazioni.

Ma, d'altra parte, la nostra attività fisica o mentale può costruire; può riunire dei termini ed una relazione, e quando riesce a restringere il legame, astrae al punto, che la triplicità distinta si trasforma in unità qualificata da un carattere concreto determinato, essa ha realizzato una opera estetica. In realtà la nostra attività può stabilire solamente imperfettamente questa unità; raggiunge solamente un concreto molto relativo. Ma constata delle produzioni dove il grado di concreto è infinitamente superiore e che rimangono fortemente refrattarie all'analisi: sono gli esseri viventi. Non posso giustificare qui questa tesi che ho sviluppato altrove.

Desidero stabilire semplicemente che la relazione non è il solo oggetto di conoscenza, ma che il nostro spirito può prendere per oggetto astratto della sua attenzione sia uno dei termini della relazione, sia la relazione stessa. Ogni termine è allora afferrato, o come oggetto concreto, ed è allora, soltanto per questo, giudicato come una nuova relazione fornita da due termini; o come polo astratto del ternario, comprendendo la relazione e l'altro termine. Se i due termini sono distinti uno dall'altro come eterogenei, la loro opposizione emergerà sia dalla somiglianza e dalla differenza (tra oggetti del mondo esterno), sia dall'attività e dalla passività, (io e non io, o infine dall'opposizione neutra dell'unità e della pluralità spirito materia).

La verità presentita ma deformata con la scuola relativistica è che la realtà è costituita da una relazione tra due termini che perdono ogni esistenza propria non appena li si isola.
Ma bisogna aggiungere che la realtà è una solamente alla condizione che i due termini e la relazione non siano che uno.
Se si è ben penetrato questi principi, si potrà senza pericolo distinguere le nozioni astratte, come la sostanza, l'essenza, la qualità, la quantità, la forza il tempo, lo spazio e non si temerà, definendoli reciprocamente uni con gli altri, di perdersi in un circolo vizioso.
Bisogna ben convincersi del fatto che la realtà non è una unità astratta, ma che noi ci immergiamo in un mezzo dove la pienezza di esistenza non è stabilita, un mezzo dove resta del caos; e la ragione, che è lo spirito che agisce, districa questo caos ponendo delle determinazioni astratte che tutte tendono a stabilire l'ordine, l'armonia, la sintesi e la vita. Questi atti considerati nel cosmo, sono manifestati dalle forme, le distanze, le durate, le specificazioni, i gruppi e non è affatto stupefacente che conoscendoli meglio, ci si accorga che essi hanno soltanto una esistenza relativa.
Sono delle attribuzioni, che non esistono come oggetto se non relativamente ai soggetti, ai quali fanno ostacolo e pongono dei fondamenti per dirigere la loro attività. Svaniscono in pure relazioni quando il soggetto le penetra. Parimenti, le entità metafisiche, tanto screditate, sono degli oggetti posti nel cosmo interno, proprio ai soggetti umani: picchetti provvisori e necessari, veri finché stabiliscono dell'ordine e tendono verso l'armonia tra il mentale ed il cosmo, e divengono falsi il giorno in cui l'evoluzione, o il mentale, o il cosmico, ha bisogno che questi picchetti siano spostati.

Il pensiero può discernere le radici dell'essere, ma non isolarle; può mettere in evidenza l’una o l'altra, o la relazione che le unisce e può, al tempo stesso, distinguerle, e cancellare il resto nella subcoscienza. Parimenti si può discernere il cerchio, la circonferenza ed il centro, sebbene queste tre cose esistano soltanto l'una in funzione delle altre due. I nostri errori provengono in generale dalla debolezza di attenzione che fa dimenticare il retro-piano del pensiero e ci conducono a negare la loro esistenza. Si considera allora uno degli elementi astratti come il solo reale, ed il resto come pura apparenza, allorché non è che un indeterminato per la nostra coscienza, dovuto alla limitazione del nostro potere mentale che agisce in seno ad un organismo materiale, e, di conseguenza, quantificato.

L'isolamento delle nozioni metafisiche è un procedimento di investigazione utile, ma imperfetto, e di cui non occorre dimenticare mai il carattere artificiale e provvisorio. Quando l'attività fisica o mentale si lascia dominare da questo processo analitico e mortifero, il quale deve essere soltanto uno strumento di eliminazione in vista della sintesi e della vita, c'è errore se si tratta della speculazione, male se si tratta dell'azione, bruttura se si tratta della manifestazione. Errore, male e bruttura sono le tre radici del ternario negativo, del triangolo invertito che porta lo scioglimento ed il ritorno al caos. Si nota però al contempo che la disgiunzione di queste tre radici, è un difetto relativamente agli esseri che asservisce, ma che è lo strumento necessario per l'eliminazione dei collegamenti disordinati o tirannici che si stabiliscono nel caos quando è stato suscitato soltanto dal desiderio dell'essere, senza avere ricevuto il raggio luminoso del Verbo che rende la creazione effettiva con lo stabilimento della razionalità e dell'ordine.