Siamo Lieti presentare ai nostri Ospiti questo lavoro del Carissimo Franco Cuomo, passato all'Oriente Eterno a Luglio del 2007. La Montesion vuol ricordare così l'impegno di un Fratello che molto ha dato alla Massoneria Italiana, indicando a molti la via da percorrere.
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Pinocchio è un burattino che vuole diventare “un ragazzo come tutti gli altri” , possibilmente “un ragazzine per bene”. Il tradimento ha il suono delle monete d’oro che tintinnano sotto la bocca serrata di un impiccato. Due ladri camminano accanto al burattino che vuole farsi uomo. Un provvidenziale colombo prende sulle spalle Pinocchio per condurlo in riva al mare, dove il padre sta scomparendo tra i flutti. Ed è nel ventre di un grande pesce che i due si ritroveranno incolumi per vivere insieme l’ultimo stadio dell’iniziazione di Pinocchio alla condizione umana. La metafora religiosa nella fiaba del burattino che deve “farsi uomo” si sposa dunque alla liturgia di un cammino iniziatico che prevede dure prove da superare, errori da compiere per poterli poi riparare, ma sopratutto penetrazione del mistero della morte per poter rinascere alla vita. E questo è tipico di qualsiasi rito di iniziazione, dai più elementari a quelli più elaborati: il passaggio a una condizione esistenziale rinnovata presuppone la morte simbolica di ciò che si era prima di arrivare alla soglia del mutamento. La trasformazione di Pinocchio in asino e il suo ritorno alla condizione di burattino, dopo essere precipitato in fondo agli abissi marini ed essere stato liberato della pelle asinina da una torma di pesci, risponde dunque a regole magiche precise. E così l’immagine dell’ultima metamorfosi, allorquando il ragazzo in cui si è trasformato Pinocchio indugerà a guardare “con grandissima compiacenza le spoglie senza vita del burattino che era stato: Ma al di là dell’iniziazione, l’intero gioco della metafora è calato in un contenitore esoterico, nel quale tutto ciò che è straordinario viene dato per scontato, dagli scherzi stile poltergeist del legno animato che diventerà Pinocchio alla gran copia di animali parlanti. Il burattino insomma conversa in corretto italiano risciacquato in Arno con una varietà infinita di animali – per lo più moralisti saccenti e presuntuosi, ma anche imbroglioni e opportunisti, sempre coalizzati contro di lui implacabilmente – che vanno dall’insopportabile Grillo al Gatto e alla Volpe, al Pappagallo indisponente del Campo dei Miracoli, al Granchio raffreddato e alla serva Lumaca, ai Conigli becchini e al Merlo bianco. E come se tutto questo non bastasse, Pinocchio è già notissimo tra le creature (animate o inanimate, come le marionette di Mangiafuoco) che di volta in volta incontra nel corso del suo travagliato cammino. Lo chiamano tutti per nome, lo acclamano o lo ammoniscono, lo esaltano o lo umiliano, ma sempre con grande cognizione di causa ed identità. Siamo sicuri che, per “farsi uomo”, questo burattino debba davvero essere iniziato ad uno stadio superiore? Siamo sicuri che diventare “un ragazzo come tutti gli altri” costituisca per lui un progresso rispetto alla condizione in cui si trova? Non siamo forse di fronte al depositario di occulti segreti che la gente comune stenta a cogliere? Non è per caso, questo Pinocchio, l’adepto di una società segreta all’interno della quale sa muoversi con un’agilità che ai profani appare invece goffa ed illegale? Una cosa è certa: conosce segni e simboli che gli permettono di comunicare e farsi riconoscere con tutte le creature che incontra, sopratutto se lontane dall’universo degli umani. Molte tentazioni offre la zoologia fantastica di Collodi a chi volesse addentrarsi in una lettura simbolica della fauna rappresentata nel romanzo. Pensate a quali conclusioni potrebbe condurci un’analisi approfondita dei significati rintracciabili nell’immagine del serpente con la coda che fuma, o in quella del pescecane nel cui ventre il burattino ritrova il proprio padre per ricondurlo alla luce, o infine in quella del grillo che tanto si presterebbe a una spregiudicata riflessione psica-nalitica. Inesauribile potrebbe risultare l’avvio semplicemente – non dico la trattazione – di un discorso intorno agli animali che Pinocchio incontra lungo il suo fantastico itinerario dal legno alla resurrezione nella carne. Volendo dunque soffermare su di uno di essi la nostra attenzione – uno soltanto, a scopo esemplificativo, in funzione del metodo più che dei risultati della ricerca – scelgo la lumaca. Perché? Cominciamo dalla spirale, che imprime alla conchiglia la dignità della perfezione geometrica. In essa il tempo s’interseca con la dimensione fisica: la spirale non conta più di un giro e mezzo alla nascita della lumaca, ma poi, nell’arco di tra anni, raggiunge la quattro circonvoluzioni e mezza. E c’è una regola in questa evoluzione: salvo eccezioni rarissime, la spirala i sempre destrogira. Trovare una lumaca con la spirala inversa, rivolta verso sinistra, è come trovare un quadrifoglio, come ricevere dalla natura un segno bene augurante. Se ne potrebbe dedurre che il percorso del dolore segue l’itinerario spiralico dall’area esterna verso il centro, e viceversa, il percorso della liberazione (allontanamento dalla bara, ma anche ritualità orgiastica della danza) segua l’itinerario dal centro all’infinito. Al di là delle deduzioni connesse alla lettura simbolica della spirale, c’è un altro aspetto da non sottovalutare nella lumaca, ed è la matura particolarissima del suo letargo, nel quale ricorrono molto più vistosamente che in molte altre specie animali i segni della morte e della rinascita. All’approssimarsi dell’inverno, infatti, la lumaca non va in letargo addormentandosi come una tartaruga o un plantigrado, ma letteralmente muore: la lumaca si crea praticamene una bara sigillando ermeticamente il proprie guscio con una secrezione mucosa che, al pari di calce, s’indurisce al contatto dell’aria. Il suo cuore quindi cessa di battere e, con l’intensificarsi del freddo, il corpo diventa duro come una pietra. Pronto a rianimarsi con il tepore della primavera. Secrezione femminile - seme maschile: non v’è nulla di contraddittorio in questa lettura analogica. Al contrario Non possiamo tuttavia ridurre questo simbolismo unicamente alla fecondazione. Se il guscio della lumaca è presente nei riti propizia tori del ciclo agricolo, esso ricorre con altrettanta frequenza nei riti funerari. In numerose tombe di età arcaica sono state ritrovate conchiglie d’ogni dimensione, talvolta legate tra loro come una collana al colla del defunto, oppure disposte in funzione ornamentale. E qui mi accomiaterei dalla lumaca e da tutto ciò che simbolicamente rappresenta per tornare alla realtà (ripeto: realtà, non fantasia) del nostro burattino che vuole farsi uomo. Di questa creaturina che con la sua sfrenata urgenza di libertà finisce per turbare la quiete feroce della tranquilla società umbertina. Subendone le conseguenze più spaventose: Pinocchio comincia con l’essere affamato e costretto a mangiare torsoli di frutta (con motivazioni “edificanti” non bisogna sprecare niente), poi mutilato dei piedi bruciati in un braciere accanto al quale si è incautamente addormentato per ripararsi dal gelo, quindi perseguitato da gendarmi e malfattori, da magistrati e sfruttatori, tutti uniti in una sorta di congiura plenaria. Anche la lumaca, nella fiaba di Pinocchio, è strumento di questa crudeltà. Una crudeltà che si esprime, nel suo caso, attraverso quelli che sono i limiti naturali della sua condizione, cioè la lentezza, ma di conseguenza anche l’indifferenza per quanto le accade intorno, su cui sa di non poter incidere.
Pinocchio, dopo essere rimasto in queste condizioni per nove ore, implora la lumaca di aiutarlo. Ed ecco il loro dialogo: “Che cosa fate con codesto piede conficcato nell’uscio? - domandò ridendo (la lumaca) al burattino. Bene, questa cattiveria inaudita, questa perfidia raffinata nei confronti di una creatura (bambino o burattino) che ha freddo e fame, ci aiuta ad inoltrarci in un aspetto del romanzo - con il quale vorrei concludere - che non è secondario a quello esoterico. Direi anzi che, al di là della lettura simbolica, la fiaba di Pinocchio sottintende una denuncia storica e sociale che non può essere sottovalutata in termini di amore per il prossimo e di attenzione al progresso generale dell’umanità. Umanità cui appunto il burattino si sforza in ogni modo di appartenere nonostante i motivi che essa gli da invece per discostarsene. E qui, con ogni verosimiglianza, la lettura sociale (o d’amore, se così vegliamo chiamarla) si lega a quella esoterica (o dei simboli). Il fuoco e l’acqua, per esempio, saranno sempre presenti, nelle avventure di Pinocchio, come manifestazione esplicita di un’alleanza tra elementi contrapposti ed uniti nel fine comune di arrecare danno, sofferenza e paura all’indifeso burattino: il rischio di morire annegato o bruciato vivo è sempre presente nella storia. E sempre nei modi più atroci: Mangiafuoco vuol metterlo nel camino per cuocersi il suo montone, il Pescatore Verde lo infarina e lo vuole friggere in padella come un pesce, e quand’è ormai soltanto un ciuco azzoppato viene gettato in fondo al mare con una pietra al collo. E che farà l’uomo che ha tentato di annegarlo come asino quando lo vedrà riaffiorare in forma di burattino? Decide, subito di rifarsi del cattivo investimento rivendendolo “a peso di legno stagionato per accendere il fuoco nel caminetto”. Tutte queste crudeltà sono tuttavia nobili da un punto di vista letterario perché rientrane nella pura retorica dalla fantasia. Ma è spaventoso come l’aspetto fantastico diventi secondario, per quanto predominante rispetto alle finalità “edificanti” del romanzo. Anche se infine le disavventure di Pinocchio, lungi dall’essere un monumento alla morale del secolo, finiscono invece per denunciarne le più aberranti crudeltà. Vogliamo vedere? Ecco. Allo stesso modo, se qualcuno approfitta della fame di Pinocchio per proporgli lavori pesanti come tirare un carretto di carbone o caricarsi sulle spalle un secchio di calce, nessuno è sfiorato dall’idea che in simili preposte si configurino gli estremi di un reato odioso come lo sfruttamento del lavoro minorile. Al contrario, se c’è qualcuno nei cui confronti mettere in moto meccanismi di austera condanna, questi è il bambino nonostante la fame, rifiuta di sottomettersi a tali angherie sociali. La crudeltà del romanzo di Collodi è raffinata, in quanto metafora di un credo morale senza scampo, che perfino in chi ne subisce le vessazioni non suscita ombra di ribellione o pietà. È anche per questo, evidentemente, che la denuncia di Collodi ha un suo terrificante potere, che ogni coscienza di piccolo lettore non ha mai mancato di registrare in termini di smarrimento e di angoscia, senza bisogno di ricorrere a quella “lettura critica” che invece per un adulto è il più delle volte indispensabile. In definitiva, Pinocchio è un esemplare saggio di occultamento della crudeltà dietro pretesti morali, una parabola il cui protagonista è perfino privato dell’elementare diritto - comune a tutti gli altri bambini - di dire le bugie. Non può farlo fisicamente: gli cresce mostruosamente il naso. Ne colse il senso profondo Carmelo Bene, anni addietro, in una memorabile trascrizione scenica del romanzo.
A conclusione di questo studio del carissimo F:. Franco Cuomo riportiamo alcune considerazioni del F:. Emilio Servadio sul "Pentimento di Collodi".
Collodi, negli ultimi anni della sua vita, non ricordava di aver terminato le avventure di Pinocchio nel modo che tutti sanno, ossia con la trasformazione del burattino in un «ragazzino per bene». Lo hanno affermato vari Autori degni di fede e, ancora recentemente, quel buon conoscitore del mondo collodiano che è Renato Giuntini. | ||
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