Nel 384 d.C. moriva a
Roma il senatore Vettio Agorio Pretestato, ultimo
papa (acronimo di Pater Patrum) di quello che
impropriamente viene definito "culto" di Mitra.
Il suo nome e le sue varie cariche religiose e
politiche sono incisi sul basamento della facciata
della Basilica di San Pietro, in Vaticano, insieme
ad una lunga lista di altri senatori romani, stilata
fra il 305 ed il 390.
La cosa che li accomuna è che sono tutti patres
mitraici; e ben nove di essi rivestono il titolo
supremo di Pater Patrum, a riprova del fatto che era
qui, nel Vaticano, che si trovava la sede del capo
supremo dell'organizzazione mitraica, fianco a
fianco, se non addirittura l'una dentro l'altra, con
la Basilica fatta erigere nel 320 dall'imperatore
Costantino.
Per quasi settant'anni i capi supremi di due
"religioni" che si è sempre voluto far apparire
concorrenti ed in aspro conflitto fra loro, hanno
convissuto pacificamente ed in perfetta armonia
nella stessa sede. Quanto fosse pacifica la
convivenza è provato dal fatto che fu lo stesso
Pretestato, nel 367, in qualità di Prefetto
dell'Urbe, a confermare sul trono di Pietro il
vescovo Damaso.
Pretestato affermava che avrebbe volentieri
accettato di farsi battezzare, se gli avessero
offerto la cattedra di Pietro. Quel che successe
alla sua morte, invece, fu esattamente il contrario.
Il titolo di Pater Patrum ricadde (oggi si direbbe
per default) sul vescovo Siricio, che fu il primo
nella storia della Chiesa ad assumere l'appellativo
di "papa". Ed insieme ad esso anche tutta una serie
di altre prerogative, titoli, simbologie e beni
materiali passarono in massa dal mitraismo al
cristianesimo.
Per capire quello che appare come un vero e proprio
"passaggio di consegne" fra il papa mitraico e
quello cristiano, bisogna risalire all'anno prima.
Nel 383, infatti, il senato romano aveva votato a
stragrande maggioranza l'abolizione del paganesimo
nell'impero d'occidente. Un voto che ha lasciato
perplessi gli storici, che si sono spesso domandati
se fosse dovuto a intimidazioni esercitate
dall'imperatore Teodosio o a che altro.
É opinione comune fra di essi, infatti, che il
senato romano fosse a quell'epoca in maggioranza
pagano. Anzi, si trova spesso scritto che proprio
il senato costituiva l'ultima roccaforte di
resistenza del paganesimo contro il cristianesimo
trionfante. Un'opinione che contrasta in modo
stridente con ripetute dichiarazioni di San
Ambrogio, il quale in quegli stessi anni affermava
che i cristiani erano in maggioranza nel senato;
affermazioni cui gli storici non hanno mai dato
alcun credito, ritenendole inattendibili. Chi ha
ragione, Ambrogio o gli storici moderni? Certamente
dobbiamo ritenere del tutto inverosimile che il
vescovo di Milano, che apparteneva ad una grande
famiglia senatoriale e seguiva attentamente le
questioni romane, si sbagliasse su una questione del
genere.
D'altro canto, però, non possiamo neppure biasimare
gli storici, dal momento che prove documentali ed
archeologiche confermano che la grande maggioranza
dei senatori romani erano allora "patres" del Sol
Invictus Mitra, e quindi, secondo l'opinione
universalmente accettata, dichiaratamente pagani.
Quello che nessuno storico ha mai capito, però, o
meglio non ha mai voluto capire, nonostante numerose
evidenze storiche, è che le due condizioni, di
adepto del mitraismo e di cristiano (non
battezzato), non erano affatto incompatibili.
L'esempio più lampante è costituito dall'imperatore
Costantino, ma se ne potrebbe compilare una
sostanziosa lista. Costantino era adepto del Sol
Invictus Mitra e mai lo rinnegò, anche quando si
proclamava "servo di Dio" e affermava di essere "il
vescovo costituito da Dio per l'umanità fuori dalla
Chiesa". Il suo biografo Eusebio lo definisce
addirittura "il novello Mosé" Ed insieme a lui vari
altri panegiristi. É significativo questo
accostamento di Costantino a Mosè, specie se si
considera che in quanto sacerdote discendeva proprio
da lui e "una sorta di vescovo universale". Ma
Costantino si fece battezzare solo in punto di
morte, continuò per anni a battere monete con
simboli mitraici da un lato, cristiani dall'altro e
innalzò a Costantinopoli una statua colossale di se
stesso, con simboli mitraici.
D'altra parte gli stessi senatori mitraici avevano
in maggioranza mogli e figlie cristiane, come
testimoniato, fra gli altri, da San Girolamo. Un
esempio illustre è quello di San Ambrogio, ritenuto
dagli storici inizialmente pagano, figlio di un
pagano mitraico, il prefetto delle Gallia Ambrogio,
nonostante non ci sia alcun dubbio che la sua
famiglia era cristiana e viveva in ambiente
profondamente cristiano.
Da bambino, infatti, Ambrogio amava giocare a fare
il vescovo e nel 353 sua sorella Marcellina
ricevette il velo delle vergini consacrate dal papa
Liberio in persona, nella basilica di San Pietro.
Formalmente, però, egli rimase "pagano" fino al
momento stesso in cui fu designato vescovo di
Milano; fu battezzato, infatti, soltanto quindici
giorni prima di essere consacrato vescovo.
Il fatto è che a quell'epoca i cristiani destinati
alla carriera politica (Ambrogio era governatore del
nord Italia al momento della nomina a vescovo) erano
battezzati soltanto in punto di morte, oppure
quando, per una qualche ragione, decidevano di
abbracciare la carriera ecclesiastica. Era la
prassi, allora. Il senatore Nectarius, per esempio,
che era stato designato vescovo di Antiochia dal
concilio di Costantinopoli del 381, fu costretto a
posporre la cerimonia della sua consacrazione perché
dovette prima provvedere a quella del proprio
battesimo.
Subito dopo il voto di abolizione del paganesimo, i
senatori romani abbracciarono tranquillamente la
fede cristiana (pur continuando a mantenere, in
molti casi, mitrei privati), a cominciare da quel
Simmaco, pater mitraico, che è passato alla storia
per la sua strenua quanto vana difesa della
tradizione "pagana", nel 383, di fronte
all'imperatore Valentiniano.
Pochi anni dopo, infatti, il cristianissimo
imperatore Teodosio, fanatico persecutore di ogni
eresia e residuo pagano, lo gratificò elevandolo
agli onori del consolato. Com'è possibile, ci si
chiederà, che una persona potesse aderire
contemporaneamente a due diverse religioni? Qui sta
il punto essenziale.
Per un evidente quanto incredibile equivoco, (ma
forse non si sbaglierebbe di molto se si parlasse di
deliberata mistificazione), il cosiddetto "culto"
del Sol Invictus Mithra, è sempre stato ritenuto una
"religione", sorta in parallelo al cristianesimo e
in concorrenza con esso.
C'è addirittura chi ritiene che questa "religione"
fosse talmente radicata e diffusa nella società
romana, che soltanto per un soffio perse la gara con
il cristianesimo. Più moderatamente, il Renan
affermava che se per un qualche accidente il
cristianesimo fosse abortito nel corso del quarto
secolo, il mondo sarebbe stato mitraico.
La convinzione che il Sol Invictus Mitra fosse una
religione si è consolidata con lo storico Cummont,
che alla fine del 19.mo secolo ha scritto quella che
da allora è ritenuta l'opera fondamentale sul
mitraismo, partendo dal presupposto esplicito, vero
e proprio postulato privo di qualsivoglia supporto
bibliografico o archeologico, che esso fosse stato
importato dalla Persia da un qualche ignoto
legionario romano.
Ed infatti il Cummont dedica buona parte della sua
opera a descrivere la religione solare persiana e le
sue varie diramazioni e filiazioni orientali, come
il Mazdeismo, il Magismo e così via, nel
presupposto, mai dimostrato, che il culto di Mitra
quale veniva professato nell'impero romano fosse la
fotocopia di quello orientale.
Il Cummont è stato seguito da una lunga schiera di
studiosi, che, accettando acriticamente il suo
postulato, si sono dedicati ad approfondire i vari
aspetti del magismo persiano, o a ricostruire gli
aspetti esoterici ed astrologici del mitraismo
romano, basandosi sulle scarne notizie fatte
filtrare dalle fonti antiche ed integrandole
arbitrariamente con elementi presi a prestito dalle
fonti orientali e dalla mitologia greco-romana, per
cercare di ricostruire in qualche modo contenuti e
significati dei vari gradi iniziatici in cui
l'istituzione mitraica era suddivisa.
Ne risulta un quadro irreale, in stridente contrasto
con quella che appare essere la realtà storica ed
archeologica di questa istituzione. Tanto per fare
un esempio, in tutta la Persia non è mai stato
trovato alcun resto archeologico che assomigli sia
pur vagamente ad un mitreo romano. E nonostante
l'opinione di Renan, non si riesce proprio ad
immaginare in che cosa potesse consistere una
"religione" mitraica romana.
Se c'è una cosa che appare con assoluta evidenza da
tutto il materiale disponibile è che il cosiddetto
culto di Mitra, a Roma, non era una religione, ma
una confraternita di iniziati, divisa in vari
livelli di iniziazione, che dalla religione
orientale aveva preso a prestito soltanto il nome ed
alcune simbologie esteriori. Quanto ai contenuti,
scopi e modi operativi, niente accomuna il Mitra
persiano e quello romano.
L'istituzione mitraica romana in nessun modo può
essere definita come una religione dedita al culto
del sole. Sarebbe come dire che la massoneria
moderna è una religione dedita al culto del Grande
Architetto dell'Universo.
Il paragone con la massoneria aiuta a capire che
genere di istituzione fosse quella mitraica. Si
tratta, infatti, di istituzioni sostanzialmente
simili negli aspetti essenziali. Agli adepti della
massoneria non viene richiesto di professare una
particolare religione, ma soltanto di credere
nell'esistenza di un'Entità superiore, comunque
definita.
Questa entità viene rappresentata nei templi
massonici (che per inciso hanno straordinari punti
di similitudine con i mitrei romani, e sono sempre
popolati di divinità pagane, come Ercole, Minerva,
Venere, Saturno e così via) con un sole inserito in
un triangolo e con il nome di Grande Architetto
dell'Universo, che, guarda caso, è lo stesso che i
pitagorici attribuivano al Sole.
Nei templi vengono effettuati cerimoniali e rituali
di iniziazione e di apertura/chiusura "lavori", mai,
però, a carattere religioso. La religione è
espressamente bandita dai templi massonici ed ogni
adepto, nella sua vita privata, è libero di
professare il credo che più gli aggrada.
Che ci sia un legame fra mitraismo e massoneria è
tutt'altro che improbabile, dal momento che ci sono
profonde similitudini nell'architettura e nelle
decorazioni dei rispettivi templi, nei simbolismi,
nei rituali e così via; ma non è materia che possa
essere trattata in questa sede.
Il paragone è stato introdotto al solo scopo di far
capire quale tipo di istituzione fosse il mitraismo,
che non era una religione dedita al culto di una
qualche specifica divinità, ma una associazione
segreta di mutua assistenza, i cui membri, nella
loro vita pubblica, erano liberi di venerare
qualsiasi divinità. É l'unica chiave di lettura che
consenta di capire e conciliare le innumerevoli
contraddizioni ed incongruenze, cui ci si trova
confrontati quando si voglia intendere il mitraismo
come una religione.
E tuttavia è risaputo che l'istituzione mitraica
aveva una propria filosofia ed una ben precisa
posizione nei confronti delle religioni. É lo stesso
Pretestato a fornirne una esauriente esposizione
nell'opera "Saturnalia", composta intorno al 430
(ben dopo l'abolizione del paganesimo, quindi)
dall'eminente scrittore Macrobio, supposto pagano.
In essa Pretestato, in amabile conversazione con i
grandi senatori mitraici Simmaco e Nicomaco Flaviano,
si dilunga a spiegare come tutte le divinità pagane
non siano altro che diverse manifestazioni (o anche
diverse denominazioni) di un unico Ente superiore,
rappresentato dal Sole, il Grande Architetto
dell'Universo.
"Paganesimo monoteista" l'ha definito qualcuno,
mentre altri parlano genericamente di sincretismo
religioso. In effetti tutte le religioni avevano
pari dignità nei mitrei, dove comparivano le
immagini delle principali divinità pagane ed i cui
adepti si professavano pubblicamente devoti alle più
disparate divinità.
Il tentativo più serio di mettere praticamente in
atto questa filosofia mitraica è stato effettuato
dall'imperatore Giuliano, passato alla storia come
l'Apostata. In realtà Giuliano non abbracciò mai
pubblicamente la religione cristiana, ma fu sempre
fedele al Sol Invictus Mitra, di cui era adepto.
Quello che gli guadagnò l'epiteto di "apostata" fu
l'aver creduto negli ideali del sincretismo
mitraico, fino al punto di voler unificare tutte le
religioni dell'impero in un'unica super-religione,
amministrata da un clero unificato e rispondente a
regole comuni. Egli diede ordini e fondi anche per
la ricostruzione del tempio ebraico di Gerusalemme.
Questo tentativo non poteva essere visto di buon
occhio dal cristianesimo, che in tal modo si vedeva
parificato alle altre religioni, perdendo il primato
che aveva acquisito con lo zio di Giuliano, il
mitraico Costantino. Fu probabilmente una lancia
cristiana, e non persiana, quella che pose fine alla
vita del grande imperatore al termine di una
scaramuccia lungo l'Eufrate. Ed è pura invenzione la
celebre frase, riportata in tutti i testi storici,
che egli avrebbe pronunciato prima di spirare: "Vicisti
Galilee!".
Giuliano non aveva mai perseguitato il
cristianesimo, che rimaneva comunque la religione
favorita, a cui egli si era ispirato per dettare le
regole del nuovo clero unificato. Se mai esistette
una vera e propria "religione" mitraica, quindi, fu
soltanto nei due anni di regno di Giuliano. Alla sua
morte le cose tornarono all'ordine precedente, che
di fatto, comunque, non si discostava molto ormai da
quello che Giuliano aveva tentato di codificare e
ufficializzare con i suoi decreti.
La maggioranza degli storici concordano sul fatto
che gli adepti di Mitra erano monoteisti. Quello che
dimenticano di sottolineare è che, grazie alla loro
particolare filosofia sincretistica, essi
"infiltrarono" e si impadronirono del culto (e delle
relative prebende) di tutte le divinità pagane.
Infatti tutte le "grotte" mitraiche ospitavano
(esattamente come i templi massonici moderni) una
schiera di divinità pagane, come Saturno, Atena,
Venere, Ercole e così via e gli adepti di Mitra (che
fra l'altro erano esclusivamente uomini, essendo le
donne categoricamente escluse dall'organizzazione)
nella loro vita pubblica esercitavano la funzione di
sacerdoti al servizio non soltanto del Sole (che era
venerato in templi pubblici ben distinti dai mitrei,
minuscoli vani sotterranei accessibili solo agli
adepti, che vi tenevano riunioni ammantate dal
segreto), ma anche di altre divinità romane.
Questo è provato al di là di ogni possibile dubbio
proprio dalle iscrizioni che si trovano sul
basamento della Basilica di S. Pietro.
Scorrendo la lista dei senatori ivi elencati,
infatti, si scopre che, oltre al titolo di "patres"
del Sol Invictus Mitra, essi ricoprivano anche una
lunga serie di cariche nel culto di altre divinità,
come sacerdos, hieroceryx, hierophanta e
archibucolus di Bronto o di Ecate, Iside e Libero,
maior augur, quindecimvir sacris faciundis e per
finire anche pontifex di vari culti pagani, e
naturalmente erano responsabili del collegio delle
vestali e del sacro fuoco di Vesta.
Non c'era nel Senato alcuna manifestazione di culto
legato alla tradizione pagana, che non venisse
celebrata da un senatore mitraico. E quello stesso
senatore, il più delle volte, aveva alle spalle una
famiglia profondamente cristiana. Ed in ogni caso
abbracciò immediatamente il cristianesimo non appena
il paganesimo fu abolito.
Sorge allora spontanea una domanda: i senatori
mitraici erano pagani o cristiani? Su questo punto
le evidenze in nostro possesso sono piuttosto
ambigue. Anche il carattere dello stesso Mitra, come
viene dipinto dagli scrittori cristiani, è
assolutamente ambiguo. Fra lui e Gesù esiste una
lunga serie di analogie: Mitra era nato in una
stalla, il 25 Dicembre, da una madre vergine,
circondato da pastori che portavano doni. Era
venerato nel giorno dedicato al sole, la domenica.
Attorno alla testa aveva un'aureola. Celebrò
un'ultima cena insieme ai suoi seguaci più fedeli,
prima di far ritorno al a suo padre. Si diceva che
non fosse morto, ma che era asceso al cielo, da dove
sarebbe tornato alla fine del mondo, per resuscitare
i morti e giudicarli, mandando i buoni in paradiso e
i cattivi all'inferno. Garantiva ai suoi fedeli
l'immortalità, conseguita attraverso il battesimo.
Gli adepti di Mitra quindi, credevano
nell'immortalità dell'anima, nel giudizio
universale, nella resurrezione dei morti e nella
fine del mondo. Celebravano la morte di un salvatore
che era risorto una domenica. Celebravano una
cerimonia analoga alla Messa cristiana, durante la
quale consumavano pane consacrato e vino in memoria
dell'ultima cena di Mitra. E durante la cerimonia
cantavano inni, suonavano campanelli, accendevano
ceri e usavano acqua consacrata. Essi condividevano
con i cristiani una lunga serie di altre credenze e
pratiche rituali, al punto da essere praticamente
indistinguibili da essi, agli occhi dei pagani ed
anche di molti cristiani. L'esistenza di una
sotterranea connessione tra il cristianesimo ed il
mitraismo fin dai primi tempi è ammessa anche dai
padri della Chiesa. Tertulliano scrive che i pagani
"...credono che il Dio dei cristiani è il Sole,
perché è noto che noi preghiamo rivolti verso il
sole nascente e che nel giorno del sole facciamo
festa (Tertulliano, Ad Nationes, 1, 13). Egli cerca
di giustificare la sostanziale identità fra le due
"religioni" agli occhi dei fedeli cristiani,
attribuendola al fatto che satana avrebbe plagiato i
rituali più sacri e le credenze della religione
cristiana. Costantino credeva che Gesù Cristo ed il
Sol Invictus Mitra fossero entrambi aspetti della
stessa divinità superiore.
Certamente egli non era il solo a nutrire questa
convinzione. I neoplatonici sostenevano che il
mitraismo rappresentava un "ponte" fra paganesimo e
cristianesimo. Gesù era spesso chiamato con il nome
Sol Iustitiae ed era rappresentato con statue aventi
le sembianze del giovane Apollo.
Clemente di Alessandria descrive Gesù alla guida del
carro del sole attraverso il cielo, ed un mosaico
del quarto secolo, in Vaticano, lo mostra sul carro
del sole, mentre ascende al cielo. Su alcune monete
del quarto secolo lo stendardo cristiano riporta la
scritta "Sol Invictus". Un larga parte della
popolazione romana pensava che il Cristianesimo ed
il culto del sole fossero intimamente collegati, se
non proprio la stessa cosa.
Anche dopo l'abolizione del paganesimo, i romani
continuarono a lungo a venerare entrambi, sia Cristo
che il Sole. Nel 410 d.C. papa Innocenzo autorizzò
la ripresa di cerimonie in onore del sole, sperando
in questo modo di scongiurare il sacco di Roma da
parte dei Visigoti di Alarico.
E ancora nel 460 papa Leone il Grande scriveva: "...
molti cristiani, prima di entrare nella basilica di
San Pietro, si rivolgono verso il sole e si
inchinano in suo onore". Il vescovo di Troy continuò
a professare apertamente il culto del sole anche
durante il suo episcopato. Un altro notevole esempio
in questo senso è dato da Sinesio di Cirene, un
discepolo della famosa filosofa neoplatonica Ipazia,
che fu trucidata dalla folla nel 415, ad Alessandria
d'Egitto.
Sinesio, non ancora battezzato, fu eletto vescovo di
Tolemaide e vescovo metropolitano di Pirenaica, ma
accettò la carica soltanto a condizione di non dover
ritrattare le sue convinzioni neoplatoniche o
rinunciare al culto del sole. Ancor oggi il simbolo
del sole è universalmente presente in tutte le
chiese ed in tutti gli oggetti di culto cristiani.
Alla luce di questi fatti come dobbiamo considerare
la posizione dell'istituzione mitraica nei confronti
del cristianesimo? Erano concorrenti o cooperatori?
Amici o nemici? Forse la migliore indicazione ci è
fornita dalle monete che Costantino fece coniare
fino al 320 d. C., con simboli cristiani su un lato,
mitraici sull'altro. É possibile che Cristo e Mitra
fossero due facce di una stessa medaglia?
Le origini del Mitraismo e del Cristianesimo Per
spiegare la stretta relazione esistente fra
Cristianesimo e Mitraismo dobbiamo risalire alle
loro origini.
Per universale consenso, il cristianesimo come noi
lo conosciamo è una creazione di San Paolo, il
fariseo che fu inviato da Gerusalemme a Roma nel 61
circa, dove fondò la prima comunità cristiana della
capitale. La religione predicata a Roma da Paolo era
assai diversa da quella predicata da Gesù in
Palestina e praticata da Giacomo il Giusto, l'allora
capo della comunità cristiana di Gerusalemme. La
predicazione di Gesù era in linea con il modo di
vivere e pensare della setta giudaica degli Esseni.
I contenuti dottrinali del cristianesimo affermatosi
a Roma alla fine del primo secolo, invece, sono
straordinariamente vicini a quelli della setta dei
farisei, a cui Paolo apparteneva.
Paolo fu condannato a morte probabilmente nel 67 da
Nerone, insieme alla maggior parte dei suoi
discepoli. La comunità cristiana di Roma fu decimata
dalla persecuzione neroniana. Non abbiamo alcuna
informazione su quel che accadde in seno a questa
comunità nei successivi 30 anni; un black out di
notizie che lascia alquanto perplessi, perché
sappiamo per certo che durante quel periodo a Roma
dovette succedere qualcosa molto importante.
Infatti, alcuni dei più eminenti cittadini della
capitale furono convertiti al cristianesimo, come il
console Flavio Clemente, cugino dell'imperatore
Domiziano. Inoltre la chiesa, a Roma, assunse una
struttura monarchica e impose la sua leadership su
tutte le comunità cristiane dell'impero, che
dovettero uniformarsi al modello ed alle credenze
della chiesa romana. Questo è provato al là ogni
dubbio da una lunga lettera del papa Clemente ai
Corinzi, scritta verso la fine del regno Domiziano,
in cui è chiaramente affermata la supremazia della
Chiesa Roma.
Ciò significa che durante gli anni del blackout
qualcuno che aveva accesso alla famiglia imperiale
aveva risollevato le sorti della comunità cristiana
romana al punto da consentirle di imporre la propria
autorità su tutte le altre comunità cristiane
dell'impero. Ed era "qualcuno" che conosceva
perfettamente la dottrina ed il pensiero Paolo, 100%
farisaico.
Anche l'organizzazione mitraica era nata nello
stesso periodo e nello stesso ambiente. Data la
scarsità informazioni scritte su questo argomento,
l'origine e la diffusione del culto Mitra ci sono
note quasi esclusivamente grazie ai reperti
archeologici (resti mitrei, scritte dedicatorie,
iconografie e statue del dio, rilievi, pitture,
mosaici ecc.) che sono stati rinvenuti in abbondanza
in tutto l'impero romano.
Queste testimonianze archeologiche provano in
maniera praticamente certa che, a parte il nome
comune, non c'era alcuna relazione fra il culto
Mitra romano e la religione orientale da cui si
suppone (o meglio si postula) che sia derivato. In
tutto il mondo persiano, infatti, non è mai stato
trovato nulla simile ad un mitreo romano. Quasi
tutti i monumenti mitraici rinvenuti possono essere
datati con relativa precisione, dal momento che vi
si trovano iscrizioni dedicatorie. Pertanto, tempi e
circostanze della diffusione del culto del Sol
Invictus Mitra (questi tre nomi compaiono quasi
sempre assieme in tutte le iscrizioni, pertanto non
c'è dubbio che si riferiscono alla stessa ed unica
istituzione) ci sono noti con ragionevole precisione
e certezza. Conosciamo anche il nome, la professione
e le responsabilità un gran numero suoi membri.
Il primo mitreo cui si abbia evidenza fu costruito a
Roma, al tempo di Domiziano, e ci sono precise
indicazioni che fosse frequentato da persone vicine
alla famiglia imperiale, in particolare liberti
giudaici. Il mitreo, infatti, gli fu dedicato da un
certo Tito Flavio Igino Efebiano, un liberto
dell'imperatore Tito Flavio, pertanto quasi
certamente un giudeo romanizzato.
Da Roma l'organizzazione mitraica si diffuse, nel
corso del secondo secolo, in tutto l'impero
occidentale. C'è un terzo avvenimento, accaduto in
quello stesso periodo ed in qualche modo collegato
alla famiglia imperiale ed agli ambienti giudaici, a
cui gli storici non hanno mai prestato particolare
attenzione: l'arrivo a Roma un importante gruppo
persone, 15 alti sacerdoti giudaici, con le loro
famiglie e parenti. Appartenevano alla classe
sacerdotale che aveva governato Gerusalemme per
mezzo millennio, fin dal ritorno dall'esilio
babilonese, quando 24 famiglie sacerdotali, sotto
gli auspici Esdra, avevano stipulato fra loro un
accordo e creato un'organizzazione segreta con lo
scopo assicurare le proprie fortune, per mezzo della
"proprietà" esclusiva del Tempio e l'esclusiva
amministrazione del sacerdozio.
La dominazione romana
della Giudea era stata segnata da forti tensioni sul
piano religioso, che avevano provocato una serie
rivolte, l'ultima delle quali, nel 66 d.C., fu
fatale per la nazione giudaica e per la stessa
famiglia sacerdotale. Con la distruzione Gerusalemme
da parte Tito Flavio, nel 70 d.C., lo strumento
principale del potere della famiglia, il Tempio, fu
raso al suolo, e mai più ricostruito, ed i sacerdoti
furono uccisi a migliaia. Ci furono dei superstiti,
naturalmente, in particolare un gruppo 15 alti
sacerdoti che erano passati dalla parte dei romani,
consegnando a Tito il tesoro del tempio, e per
questa ragione erano stati reintegrati nelle loro
proprietà e gli era stata concessa la cittadinanza
romana. Essi avevano poi seguito Tito a Roma, dove
apparentemente scomparvero per sempre dalla scena
della storia, a parte quello che indubbiamente
appare come la personalità più forte quel gruppo,
Giuseppe Flavio.
Giuseppe era un sacerdote che apparteneva alla più
illustre delle 24 famiglie sacerdotali giudaiche. Al
tempo della rivolta contro Roma aveva ricoperto un
ruolo primo piano nelle tormentate vicende della
Palestina.
Inviato dal Sinedrio quale governatore della
Galilea, egli era stato il primo a combattere contro
le legioni del generale romano Tito Flavio
Vespasiano, che aveva ricevuto da Nerone l'incarico
reprimere la rivolta. Barricato nella fortezza di
Jotapata egli resistette valorosamente all'assedio
delle truppe romane, ma alla fine dovette
capitolare. Egli si arrese a condizione poter
parlare personalmente con Vespasiano (Guerra
Giudaica, III, 8,9). II loro incontro segnò una
svolta nelle fortune entrambi: Vespasiano qualche
tempo dopo divenne imperatore, mentre Giuseppe non
soltanto ebbe salva la vita, ma fu "adottato" nella
famiglia imperiale ed assunse il nome Flavio. In
seguito ottenne la cittadinanza romana, una villa
patrizia a Roma, una rendita annua a spese dello
stato ed enormi proprietà in Palestina. II prezzo
del suo tradimento (da allora in poi, infatti,
cooperò attivamente con Tito).
I sacerdoti questo gruppo avevano una cosa in comune
fra loro: erano tutti traditori del loro popolo e
quindi certamente non bene accetti in seno alle
comunità giudaiche. Appartenevano tutti, però, ad
una famiglia dalle tradizioni millenarie, erano
legati fra loro dall'organizzazione segreta creata a
suo tempo da Esdra e possedevano una
specializzazione ed una esperienza unica nel gestire
una religione e governare un paese tramite questa.
I poveri resti della comunità cristiana romana,
sopravvissuti alle persecuzioni neroniane, offrivano
loro una splendida opportunità, mettere a frutto la
loro millenaria esperienza e le loro notevoli
sostanze.
Non sappiamo nulla della loro attività a Roma, ma ne
abbiamo chiare indicazioni attraverso gli scritti
Giuseppe Flavio. Dopo alcuni anni, infatti, egli
cominciò a scrivere la storia quegli avvenimenti che
lo avevano avuto protagonista, con l'intento, a
quanto sembra, giustificare il proprio tradimento e
quello dei suoi compagni. Era stata la volontà Dio,
egli afferma, che lo aveva chiamato a costruire un
Tempio Spirituale, al posto quello materiale
distrutto da Tito.
Queste parole certamente non erano rivolte ad
orecchie giudaiche, ma cristiane. La maggior parte
degli storici è scettica sul fatto che Giuseppe
fosse cristiano, ma ci sono forti elementi che lo
confermano. In un passo famoso del suo libro
"Antichità Giudaiche" (il cosiddetto Testimonium
Flavianum) egli dichiara accettare due punti
fondamentali, la resurrezione di Cristo e la sua
identificazione con il messia delle profezie, che
sono condizione necessaria e sufficiente, per un
giudeo del suo tempo, per essere considerato
cristiano.
Le simpatie cristiane di Giuseppe traspaiono inoltre
molto chiaramente da altri passi della stessa opera,
nei quali egli parla con grande ammirazione di
Giovanni Battista e del fratello di Gesù, Giacomo.
Le argomentazioni usate da Giuseppe Flavio per
giustificare il proprio tradimento e quello dei suoi
fratelli, sembrano riecheggiare nelle parole di San
Paolo. I due sembrano essere in sintonia per quel
che riguarda il loro atteggiamento nei confronti del
mondo romano. Paolo considerava suo compito liberare
la chiesa di Gesù dalle strettoie del giudaismo e
dalla dipendenza dal territorio palestinese, e
renderla universale, legandola a Roma.
Ci sono sufficienti indicazioni storiche per
concludere con certezza che i due si conoscevano ed
erano legati da una profonda amicizia. Negli Atti
degli Apostoli si legge che, dopo essere tornato a
Gerusalemme, Paolo fu condotto di fronte ai sommi
sacerdoti ed al Sinedrio per essere giudicato (Atti
22, 30). Egli si difese dicendo: "Fratelli, io sono
un fariseo, figlio farisei; io sono chiamato in
giudizio a motivo della speranza nella resurrezione
dei morti".
Appena egli ebbe detto ciò scoppiò una disputa tra i
farisei ed i sadducei e l'assemblea si divise. I
sadducei infatti affermano che non c'è resurrezione,
né angeli né spiriti; i farisei, invece, professano
tutte queste cose. Ne nacque allora un grande
clamore ed alcuni scribi del partito dei farisei,
alzatisi in
piedi protestavano dicendo: "Non troviamo nulla male
in quest'uomo. E se uno spirito o un angelo gli
avesse parlato davvero?" La disputa si accese a tal
punto che il tribuno, temendo che Paolo venisse
linciato da costoro, ordinò che scendesse la truppa
a portarlo via mezzo a loro e ricondurlo nella
fortezza. (Atti, 23; 1-10)
Giuseppe era un sacerdote di alto rango e a quel
tempo si trovava a Gerusalemme; era certamente
presente a quell'assemblea. Egli aveva aderito alla
setta dei farisei all'età 19 anni, pertanto doveva
essere fra quei sacerdoti che si alzarono in difesa
di Paolo. L'apostolo fu consegnato al governatore
romano Felice, che lo tenne agli arresti per qualche
tempo, fino a che fu inviato a Roma, insieme ad
altri prigionieri (Atti 27, 1), per essere giudicato
dall'imperatore, al quale Paolo, in qualità
cittadino romano, si era appellato. A Roma egli
passò due anni in prigione (Atti, 28,29) prima
essere liberato, nel 63 o 64 d.C.
Nel sua autobiografia Giuseppe scrive: "Tra i
venticinque ed i ventisei anni mi imbarcai in un
viaggio a Roma, per la seguente ragione. Durante il
periodo in cui fu governatore della Giudea, Felice
aveva mandato alcuni sacerdoti a Roma, per
giustificarsi fronte all'imperatore. lo li conoscevo
come ottime persone, che erano state arrestate su
accuse insignificanti. Siccome volevo studiare un
piano per liberarli ... mi imbarcai per Roma"
(Vita, 3, 13).
In qualche modo Giuseppe riuscì a raggiungere Roma,
dove strinse amicizia con un certo Alituro, un mimo
giudeo che era molto apprezzato da Nerone. Tramite
Alituro, egli fu presentato a Poppea, moglie
dell'imperatore, e grazie a lei riuscì a far
liberare i sacerdoti suoi amici (Vita 3, 16).
La coincidenza date, fatti e persone coinvolte è
assoluta, al punto che è impossibile sfuggire alla
conclusione che Giuseppe venne a Roma, a suo rischio
e spese, appositamente per liberare Paolo ed i suoi
compagni, e che fu proprio grazie al suo intervento
che l'apostolo fu rilasciato. Questo presuppone che
i rapporti fra i due fossero molto più stretti che
non una semplice conoscenza occasionale. Pertanto
Giuseppe doveva conoscere del cristianesimo molto
più quanto traspare dai suoi scritti, e la sua
conoscenza proveniva direttamente dagli insegnamenti
Paolo, cui era verosimilmente un discepolo.
Quando Giuseppe tornò a Roma al seguito Tito, nel 70
d.C., il suo maestro era stato giustiziato, insieme
a una gran parte dei cristiani che lui stesso aveva
convertito, la sua patria era stata cancellata dal
novero delle nazioni, il Tempio distrutto, la
famiglia sacerdotale quasi sterminata, e la sua
stessa reputazione macchiata dall'onta del
tradimento. Doveva essere animato da un forte
risentimento e da un irreprimibile desiderio
rivincita e vendetta. Inoltre doveva sentirsi in
carico dei destini degli umiliati rimasugli di una
delle più grandi famiglie del mondo di allora, i 15
alti sacerdoti giudaici che condividevano le sue
stesse condizioni. Ci sono indizi secondo cui
Giuseppe Flavio, senza dubbio la personalità più
forte ed autorevole di quel gruppo di persone,
presiedette una riunione durante la quale quei
sacerdoti esaminarono la situazione della famiglia
sacerdotale e decisero una strategia per risollevare
le sue fortune.
Giuseppe lucidamente concepì un piano che in quelle
circostanze sarebbe apparso a chiunque assolutamente
folle. Quell'uomo, seduto fra le rovine fumanti
quella che era stata la sua patria, circondato da un
pugno compagni sopravvissuti, umiliati e
demoralizzati, rifiutati dai loro stessi
concittadini, progettò nientemeno che conquistare
quell'enorme potentissimo impero che lo aveva
sconfitto, e insediare i propri discendenti e quelli
degli uomini intorno a lui quale classe dirigente
quello stesso impero.
Il primo passo di questa strategia era assumere il
controllo della neonata religione cristiana e
trasformarla in una solida base di potere per la
famiglia sacerdotale. Quei sacerdoti erano venuti a
Roma al seguito Tito, cui godevano la protezione, ed
erano provvisti grandi mezzi economici. Non
dovettero incontrare eccessive difficoltà
nell'assumere la guida del piccolo gruppo di
cristiani che erano sopravvissuti alle persecuzioni
neroniane, tanto più che erano legittimati dai
precedenti rapporti di Giuseppe Flavio con Paolo.
Erano trascorsi soltanto sei anni da quando Giuseppe
aveva ottenuto la liberazione di Paolo dalla
prigione. L'apostolo doveva essere morto da non più
tre anni. Giuseppe deve essersi sentito moralmente
obbligato a continuare l'opera del suo vecchio
maestro, cui conosceva perfettamente la dottrina;
rendendosi conto del suo potenziale di propagazione
nel mondo romano, si dedicò anima e corpo alla sua
implementazione pratica, coadiuvato dai sacerdoti
superstiti. Una volta ricreata una forte comunità
cristiana nella capitale, non dovette essere
difficile per quei sacerdoti imporre la propria
autorità sulle altre comunità cristiane sparse per
l'impero, prime fra tutte quelle che erano state
create o catechizzate dallo stesso Paolo.
Giuseppe Flavio ed il Sol Invictus Mitra
Giuseppe Flavio sapeva fin troppo bene che una
religione non ha futuro se non entra a far parte
integrante di un sistema di potere politico. Era un
concetto, per così dire, innato nel DNA dei
sacerdoti di Giuda che di religione e potere
politico vivono in simbiosi, sostenendosi a vicenda.
Non è immaginabile che egli pensasse che la nuova
religione potesse diffondersi nell'impero
indipendentemente, o addirittura in contrasto con il
potere politico.
Il suo obiettivo
primario, pertanto, dovette essere quello di
conquistare il potere politico. Grazie alla
millenaria esperienza della sua famiglia ed alla sua
stessa esperienza di vita, Giuseppe sapeva bene che
il potere politico, specie in un organismo
elefantiaco come l'impero romano, era basato sul
potere militare, ed il potere militare su quello
economico, a sua volta basato sulla capacità di
influenzare e controllare le leve finanziarie del
paese. Nel suo piano egli deve aver programmato che
la famiglia sacerdotale assumesse prima o poi il
controllo di queste leve. Allora l'impero sarebbe
stato nelle sue mani e la nuova religione sarebbe
stato lo strumento per controllarlo.
Ma qual era il piano di Giuseppe Flavio per
realizzare questo ambizioso progetto? Non dovette
inventare nulla di nuovo. Il modello era già lì,
l'organizzazione segreta creata da Esdra al rientro
dall'esilio babilonese, la quale aveva assicurato
alla famiglia sacerdotale giudaica potere e
prosperità per mezzo millennio. Dovette apportarvi
soltanto alcuni ritocchi, per mimetizzare questa
istituzione nel mondo pagano sotto le sembianze di
una religione misterica, dedicata al dio greco
Helios, il sole, per l'indubbia assonanza con il
nome della divinità ebraica El, o El Elyon. II dio
fu presentato come invincibile, il Sol Invictus, per
galvanizzare lo spirito dei suoi adepti, ed al suo
fianco fu posto, come inseparabile compagno, una
divinità solare di quella stessa Mesopotamia da dove
gli ebrei avevano avuto origine, Mitra, l'inviato
del Sole sulla terra per redimere l'umanità. E tutto
attorno ad essi, nei mitrei, furono poste le statue
di varie divinità pagane, Atena, Ercole, Venere e
così via. L'insieme era un evidente riferimento a
Dio Padre, ed al suo inviato sulla terra Gesù,
circondati dai loro attributi di saggezza, forza,
bellezza e così via, che era chiaramente
comprensibile ad un cristiano, ma era perfettamente
pagano agli occhi di un pagano.
Questa organizzazione
non aveva alcun fine religioso: il suo unico scopo
era preservare l'unione fra le famiglie sacerdotali
e garantire loro sicurezza e prosperità, tramite il
mutuo supporto ed una strategia comune intesa ad
infiltrare tutte le posizioni di potere della
società romana. I lavori che venivano svolti nei
mitrei erano coperti dal più rigoroso segreto.
Nonostante l'organizzazione mitraica abbia operato
per tre secoli ed abbia avuto migliaia di adepti,
molti dei quali eminenti letterati, non è giunta
fino a noi neppure una parola, scritta direttamente
da un suo membro, su quel che accadeva nel corso
delle riunioni mitraiche, quali decisioni venivano
prese e così via. Questo significa che fu sempre
mantenuto il più rigoroso riserbo sui lavori che
venivano svolti in un mitreo.
L'accesso
all'organizzazione doveva essere riservato ai soli
membri delle famiglie sacerdotali, almeno al livello
operativo, quello decisionale, dal terzo grado in su
(occasionalmente potevano essere affiliate nei primi
due gradi persone non appartenenti a queste
famiglie, come nel caso dell'imperatore Commodo).
Questo sistema di reclutamento è perfettamente in
linea con le evidenze storiche ed archeologiche in
nostro possesso. Anche al culmine del suo potere e
diffusione, il Sol Invictus Mitra appare una
istituzione di elite, con un numero assai limitato
di adepti. La maggior parte dei mitrei, infatti,
erano stanze molto piccole, che non potevano
ospitare più di una ventina di persone. Certamente,
quindi, non era una religione di massa, ma
un'organizzazione a cui potevano accedere soltanto i
vertici delle forze armate e della burocrazia
imperiale.
Tuttavia non conosciamo assolutamente nulla della
politica di reclutamento di questa istituzione. Non
sappiamo se reclutasse i suoi membri fra gli alti
ranghi della società romana, o se al contrario erano
i membri di questa organizzazione che "infiltravano"
tutte le posizioni di potere di questa società.
Le evidenze storiche in nostro possesso favoriscono
l'ipotesi che l'appartenenza a questa istituzione
fosse riservata su base etnica. Per capire il suo
successo, dobbiamo ritenere che l'accesso ad essa,
almeno al livello operativo, fosse riservato ai
discendenti di quel gruppo di sacerdoti giudaici che
erano venuti a Roma al seguito di Tito, dopo la
distruzione di Gerusalemme. Il Sol Invictus Mitra
conquista l'impero romano.
Sia le fonti scritte che le testimonianze
archeologiche confermano che da Domiziano in poi
Roma rimase sempre la sede più importante del Sol
Invictus Mitra, che si era saldamente installato nel
cuore stesso dell'amministrazione imperiale, sia nel
palazzo vero e proprio che nella guardia pretoriana.
Da Roma l'organizzazione mitraica si diffuse
immediatamente nella vicina Ostia, il porto con il
più grande volume di traffico commerciale
dell'intero Mediterraneo, dove confluivano merci da
ogni parte dell'impero, per placare l'insaziabile
appetito della capitale.
Nel corso del secondo e terzo secolo vi furono
costruiti almeno una quarantina di mitrei evidente
dimostrazione che i membri dell'organizzazione
mitraica avevano assunto il controllo delle attività
commerciali del porto, sorgente di entrate
incalcolabili e di grande potere economico.
Nel contempo l'istituzione mitraica si diffuse in
tutto il resto dell'impero, in particolare in quello
occidentale.
Il primo mitreo di cui si abbia notizia al di fuori
della cerchia romana fu costruito intorno al 110 d.C
in Pannonia, a Poetovio, il maggior centro doganale
della regione ad opera dei funzionari della dogana.
Quasi contemporaneamente sorse un mitreo presso la
guarnigione militare di Carnutum, sempre in Pannonia
e subito dopo in tutte le province danubiane (Rezia,
Norico, Mesia e Dacia). Tra gli adepti di Mitra
ritroviamo i funzionari delle dogane, che
raccoglievano le gabelle poste su ogni genere di
trasporto dall'Italia verso il Centro Europa e
viceversa; i funzionari imperiali che controllavano
i trasporti, la posta, l'amministrazione delle
finanze e le miniere; ed infine gli ufficiali che
comandavano le guarnigioni scaglionate lungo il
confine.
Contemporaneamente al bacino danubiano, sorsero
numerosi mitrei anche nel bacino del Reno, a Bonn e
Treviri. Seguirono poi la Britannia, la Spagna ed il
Nord Africa, dove sorsero mitrei già nelle prime
decadi del secondo secolo, sempre associati a centri
amministrativi e guarnigioni militari.
Le evidenze archeologiche, quindi, dimostrano che
nel corso del secondo secolo i membri del Sol
Invictus Mitra occuparono le principali posizioni
dell'amministrazione pubblica, divenendo la classe
dominante nelle province esterne dell'impero,
soprattutto nell'Europa centrale e settentrionale.
Abbiamo visto in precedenza che i membri del Sol
Invictus Mitra avevano infiltrato anche la
tradizionale religione pagana, assumendo il
controllo del culto delle principali divinità, a
cominciare dal Sole. La mossa vincente, tuttavia,
quella che rese irresistibile l'ascesa
dell'istituzione mitraica, fu la presa di controllo
dell'esercito.
Giuseppe Flavio sapeva per esperienza personale che
l'esercito poteva diventare l'arbitro del trono
imperiale. Chiunque controllava l'esercito
controllava l'impero. L'obiettivo principale che
egli fissò per l'organizzazione mitraica dovette
essere quello di infiltrare l'esercito e assumerne
il controllo. Ed infatti ritroviamo mitrei in tutti
i luoghi in cui erano stazionate delle guarnigioni
militari. In poco meno di un secolo l'istituzione
mitraica riuscì ad assumere il controllo di tutte le
legioni stazionate nelle province esterne e lungo i
confini, al punto che il "culto" del Sol Invictus
Mitra è considerato dagli storici come la religione
tipica dei soldati romani. Prima ancora che
all'esercito, tuttavia, le attenzioni del Sol
Invictus si erano rivolte alla guardia pretoriana,
la guardia personale dell'imperatore. Non è un caso
che la seconda iscrizione dedicatoria mitraica, in
ordine di tempo, riguardi proprio un comandante del
Pretorio e che la concentrazione di mitrei fosse
particolarmente elevata nei pressi delle caserme dei
pretoriani. L'infiltrazione di questo corpo militare
deve essere iniziata già al tempo degli imperatori
Flavii. Essi potevano contare sulla fedeltà
incondizionata dei liberti giudaici, che dovevano
tutto ad essi, la loro vita, la sicurezza ed il
benessere. Gli imperatori romani erano riluttanti a
mettere la propria sicurezza personale nelle mani di
ufficiali provenienti dai ranghi del senato, il loro
maggior opponente politico, pertanto i quadri della
loro guardia personale furono formati principalmente
da liberti e membri dell'ordine equestre (a cui fu
sempre riservato il comando del Pretorio). Questo
dovette favorire in modo particolare il Sol Invictus
Mitra, che fece del Pretorio un suo feudo
incontrastato fin dagli inizi del secondo secolo.
Una volta acquisito il controllo del pretorio e
dell'esercito, il Sol Invictus Mitra fu in grado di
mettere le mani anche sulla carica imperiale. Questo
avvenne nel 193 d.C., quando Severo fu proclamato
imperatore dall'esercito.
Nato a Leptis Magna,
nel Nord Africa, da una famiglia equestre di alti
burocrati, egli era certamente un membro mitraico,
avendo sposato Giulia Domna, sorella di un certo
Bassiano, sacerdote del Sole Invitto. Da allora in
poi la carica imperiale fu prerogativa del Sol
Invictus Mitra e tutti gli imperatori furono
proclamati tali (o rimossi) dall'esercito o dalla
guardia pretoriana.
Giudicando in prospettiva, appare evidente che
l'obiettivo finale della strategia concepita da
Giuseppe Flavio era la completa sostituzione della
classe dirigente dell'impero romano con membri del
Sol Invictus Mitra. Questo obiettivo fu conseguito
in meno di due secoli, grazie alla politica messa in
atto dagli imperatori mitraici.
I ranghi dell'amministrazione imperiale romana
provenivano quasi totalmente da nuove famiglie di
origine ignota, che erano emerse nel corso del primo
secolo e agli inizi del secondo, in antagonismo
all'aristocrazia senatoriale, tradizionalmente
contrapposto al potere dell'imperatore. Questo
gruppo di famiglie formavano il cosiddetto ordine
equestre, che ben presto divenne un feudo
incontrastato del Sol Invictus Mitra. Certamente la
maggior parte delle famiglie dei 15 alti sacerdoti
del seguito di Giuseppe Flavio, ricchi, con ottime
relazioni interpersonali e forti del favore
imperiale, dovettero confluire in questo ordine.
Gli imperatori
mitraici provenivano tutti dall'ordine equestre e
governarono in aperta opposizione al senato,
umiliandolo, privandolo delle proprie prerogative e
beni materiali e colpendolo fisicamente con l'esilio
e la condanna capitale di un gran numero dei suoi
membri più eminenti, tanto che nel corso del terzo
secolo buona parte delle antiche famiglie
senatoriali scomparvero dalla scena.
Contemporaneamente essi cominciarono ad immettere
nel senato un gran numero di famiglie equestri.
Questa politica era stata iniziata da Severo e
sviluppata da Gallieno (il quale, è bene ricordarlo,
fu anche l'autore del primo editto di tolleranza nei
confronti del Cristianesimo), che stabilì per
decreto che tutti coloro che avevano ricoperto la
carica di governatori di provincia o di prefetto del
pretorio, incarichi riservati entrambi all'ordine
equestre, entravano di diritto a far parte del
senato. Questo diritto fu poi esteso ad altre
categorie di funzionari, grandi burocrati ed alti
ufficiali dell'esercito (tutti membri
dell'organizzazione mitraica, dobbiamo supporre). Il
risultato finale fu che nel giro di alcuni decenni
praticamente l'intera classe equestre transitò nei
ranghi del senato, soppiantando le famiglie della
originaria aristocrazia romana ed italica.
Nel frattempo la diffusione del cristianesimo
attraverso l'impero procedeva speditamente.
Ovunque arrivassero i rappresentanti di Mitra, lì
immediatamente sorgeva una comunità cristiana. Alla
fine del secondo secolo si contavano almeno quattro
sedi episcopali in Britannia, sedici in Gallia ed
altrettante in Spagna e praticamente una in ogni
grande città del Nord Africa e del Medio Oriente.
Nel 261 il Cristianesimo fu riconosciuto come
religione lecita dal mitraico Gallieno e mezzo
secolo dopo fu proclamata religione ufficiale
dell'impero dal mitraico Costantino, sebbene fosse
ancora largamente minoritaria nella società romana
(i cristiani erano allora assai meno del 20%
dell'intera popolazione).
Da quel momento in poi fu gradualmente imposta alla
popolazione dell'impero, con una serie di misure che
culminarono, alla fine del quarto secolo, con
l'abolizione delle religioni pagane e la
"conversione" in massa del senato romano.
La situazione finale per quanto concerne le classi
dirigenti dell'impero occidentale era allora la
seguente: l'antica nobiltà di origine pagana era
virtualmente scomparsa e la nuova nobiltà
senatoriale, che si identificava con la classe dei
grandi proprietari terrieri, era costituita in gran
parte da ex membri del Sol Invictus Mitra.
Sul piano religioso il paganesimo era stato
completamente eliminato ed il cristianesimo era
divenuto la religione di tutti gli abitanti
dell'impero. Esso era controllato da gerarchie
ecclesiastiche che provenivano quasi interamente
dalla classe senatoriale ed erano dotate di immense
proprietà fondiarie (fra l'altro esenti da tasse) e
di poteri quasi reali nell'ambito delle proprie
diocesi.
Le famiglie sacerdotali erano diventate padrone
assolute di quello stesso impero che aveva distrutto
Israele ed il tempio di Gerusalemme.
Tutte le alte cariche dell'impero, sia civili che
religiose, e tutta la sua ricchezza erano nelle loro
mani, e la carica suprema, quella dell'imperatore,
era stata assegnata in perpetuo, per diritto divino,
alla più illustre delle tribù sacerdotali, la "Gens
Flavia" (da Costantino in poi, infatti, tutti gli
imperatori romani o pretendenti tali, nessuno
escluso, avevano il prenome Flavio), verosimilmente
discendente dallo stesso Giuseppe Flavio.
Tre secoli prima Giuseppe aveva scritto con
orgoglio: "La mia famiglia non è oscura, anzi è
di discendenza sacerdotale; come presso ciascun
popolo esiste un diverso fondamento della nobiltà,
così da noi l'eccellenza della stirpe trova conferma
nell'appartenenza all'ordine sacerdotale" (Vita
1,1).
Alla fine del quarto secolo i suoi discendenti
potevano applicare con pieno diritto quelle stesse
parole all'impero romano. A quel punto l'istituzione
del Sol Invictus Mitra non era più necessaria per
assicurare le fortune della famiglia sacerdotale e
fu liquidata.
Era stata lo strumento della cospirazione più di
successo dell'intera Storia.

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