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L’evoluzione della democrazia moderna è stata lenta e complessa, e i suoi referenti ideologici e culturali rappresentano un sistema simbolico ancora, in gran parte, da chiarire.
La nascita dei “parlements” francesi a partire dal ‘600, eredi dei tradizionali “fori” di giustizia territoriali, è parallela all’incasermamento dell’aristocrazia di Francia all’interno della corte del Re Sole.
Una sostituzione, controllata dal potere centrale della burocrazia monarchica, di classi dirigenti, con la “noblesse de robe” borghese che rimpiazza il ceto nobiliare che fa, letteralmente, “ombra” al Sole monarchico e mira ad un frazionamento dello Stato.
Qui, l’ideologia chiave è il classicismo dell’Imperium romano, un simbolismo cesareo che perdurerà fino alla Rivoluzione Francese ed oltre.
Una ideologia del potere come “terzo” tra membri della società civile in conflitto naturale tra loro, che appunto è il sostegno dei “parlements”, vere e proprie corti di appello nate dalla rielaborazione e dalla riscoperta del diritto romano e dalla sua commistione con quello consuetudinario.
Il Re è il Terzo nel Diritto ma anche la Corte Finale, dopo la giustizia bassa e alta amministrata dai signori feudali locali.
Si delinea la creazione, come mito unitario, e come radice storica (e antropologica) dei popoli: gli inglesi Tudor si riallacciano al mito di Re Artù, ipotizzando una continuità del loro casato con il Monarca della Cornovaglia, i re francesi elaborano il gallicanesimo religioso, l’autonomia parziale da Roma, in Inghilterra si diffonde l’anglicanesimo, gli spagnoli creano il mito della “hispanidad”.
Ogni nazione ha il suo repertorio mitico, che giustifica l’unificazione territoriale e linguistica e crea, oltre che le leggi, le abitudini e i simboli delle masse e delle classi dirigenti.
Tutti miti che hanno a che fare con il “sacre”, e che diverranno l’ossatura del laicismo nazionale e democratico che caratterizzerà il IX° secolo e le avventure della Massoneria come network delle classi dirigenti post-feudali. Per i Re francesi, vi è la cerimonia del “sacre”, appunto, l’incoronazione; e la tradizione dell’imposizione delle mani sui malati, studiata da Marc Bloch nel suo straordinario “i Re Taumaturghi”.
Per la Spagna, l’hispanidad rappresenta la missione globalizzante e cattolica del regno, dopo la scoperta dell’America, avvenuta proprio negli anni della riunificazione del Regno di Siviglia e di Aragona.
Per l’Inghilterra, il controllo dei mari e l’identità insulare contro la “Vecchia Europa”. Tutte idee che verranno rielaborate dalla lenta costruzione delle procedure e delle mitologie del movimento democratico repubblicano e nazionale.
E un simbolismo attiva per contiguità l’altro: il Partito Socialista Italiano viene fondato a Genova nel 1892, nella sala dei Carabinieri, parte pubblica di una loggia massonica a carattere positivista, legata al repubblicanesimo francese e ai sansimoniani.
Mazzini pensa alla sua “religione dei popoli” in rapporto al cattolicesimo liberale ed eterodosso, apertamente “figlio” della Rivoluzione del 1789, di Montalembert e Lamennais.
Montalembert è il cattolico che parte per Varsavia in difesa della Polonia che insorge contro i russi nel 1831.
E l’inno polacco parla ancora dei patrioti locali volontari delle guerre napoleoniche che tornano in Patria per la guerra del 1795: marcia, marcia Dabrowsky, dalla terra italiana alla Polonia sotto il tuo comando ci uniremo al popolo!
Quindi le mitologie e le soluzioni politiche circolano e comunicano tra loro in tutta Europa, dalla Rivoluzione Francese fino ad oggi e, possiamo immaginare, anche in futuro.
Già, ma come interpretare la Rivoluzione Francese? De Maistre, apologeta della controrivoluzione ma membro della massoneria, nel rito della Stretta Osservanza che caratterizza le èlites fridericiane di Prussia e accoglie elementi dell’esoterismo martinista, parla del 1789 come di un “Miracolo”.
Un miracolo del malign o, certamente, ma comunque un fenomeno soprannaturale destinato a cambiare, radicalmente e per lui in peggio, la storia di tutta l’umanità. Per l’Abate Barruel, capostipite della tradizionale teoria della “cospirazione massonica” che sarebbe all’origine dell’Ottantanove, la Massoneria è la “centrale” del potere mondiale rivoluzionario e, tematica molto attuale oggi, mira al potere mondiale e alla riduzione di tutti i popoli del Globo sotto un dominio invisibile e maligno di “Illuminati”.
La propaganda antisemita che oggi vediamo diffusa nei “media” dei paesi arabi e islamici non si allontana da questo modello: il “sionismo mondiale” e comunque il popolo ebraico sono all’origine, nella tradizione dei Protocolli dei savi di Sion”, della massoneria e quindi della Rivoluzione americana, di quella francese, delle rivoluzioni nazionali europee, del bolscevismo per poi incarnarsi definitivamente nello Stato Ebraico.
E pensare a quanto è stato importante l’Islam pacifico nel creare il mito illuminista, con Lessino e Goethe, dei “tre anelli”, delle tre religioni monoteiste che si unificano nell’adorazione ragionevole dell’Ente Supremo.
Ma torniamo al nostro “miracolo”, la Rivoluzione francese. Essa ritraduce per le masse nazionalizzate della fine del settecento le tematiche dello Stato Centralizzatore che era stato creato dal Monarca “sacro” e assoluto, in parziale contrasto con la Chiesa di Roma.
Ora il “sacro” è tutto il popolo, e tutto il popolo è la Nazione, ed ogni nazione, e qui si verifica l’impronta tipicamente massonica, ha un suo compito specifico nel “Grande Disegno” al quale tutte partecipano.
Nella prima edizione del “leviatano” di Hobbes vi è l’immagine di un sovrano la cui figura è composta da tanti piccoli uomini.
La Rivoluzione del 1789 realizza nei fatti questo simbolismo hobbesiano, con il Re Sacro che si trasforma nel popolo sovrano e intangibile, e con il popolo stesso che diviene giudice di appello delle sue stesse parti, e che riscopre una sua sacralità specifica, spesso con tratti marcatamente anticristiani.
La “Dea Ragione” spodesta, naturalmente per brevissimo tempo, la Santa Vergine, i mesi vengono ridenominati con le caratteristiche delle coltivazioni e del clima, per sottolineare il “Novum Ordo Saeculorum” e per riattivare il mito del “territorio”, dell’economia agricola che è alla radice di tutti i surplus produttivi, come ritenevano gli economisti illuministi.
Non è del tutto vero che la Massoneria sia all’origine di queste trasformazioni; essa si caratterizza come elemento di collegamento delle classi dirigenti in termini di “dispotismo illuminato, come in Austria e in Germania, e anche la Francia ha una forte massoneria nazionalista che non vede di buon occhio la “canaille” istigata dai piccoli avventurieri rivoluzionari, e mira ad una riforma europea con l’aiuto e il sostegno delle case regnanti più “illuminate”. É il caso di Goethe.
E difatti, nell’Ottocento, le massonerie “anglosassoni” avranno una impronta liberale e conservatrice, collegata al simbolismo biblico e alla credenza teista nel Grande Architetto dell’Universo. Per Voltaire il modello è la Gran Bretagna, non la rivoluzione popolare teorizzata dai russoviani.
Mentre la Massoneria di estrazione napoleonica e francese genera una serie di obbedienze con miti non cristiani e non biblici (Memphis-Misraim, il rito egiziano con Cagliostro, le mitologie femminili delle logge miste con la Grande Madre Mediterranea e Iside, l’adorazione della donna con il positivismo di Comte, i sansimoniani che vanno alla ricerca di Fatima in Nordafrica.
Da culto solare che connette in sé il monarca, il Redentore, il Libro sacro ebraico, la Massoneria eterodossa di estrazione francese si trasforma in Rito Lunare, femminile, pre-cristiano e pre-biblico.
La democrazia della tradizione massonica diviene così, progressivamente, da sistema di comunicazione e selezione delle classi dirigenti in un meccanismo di sistematico controllo dal basso delle azioni dei governi.
Un meccanismo inevitabile che era stato previsto da Mazzini, dalla Prima Internazionale, da tutte le forze progressiste che nascono poco dopo il “Miracolo” del 1789 e il suo viaggio in Europa con Napoleone.
É questa l’ipotesi sostenuta da Arno Mayer, che ritiene il tradizionale “Ancien Régime” sostanzialmente stabile, malgrado le Rivoluzioni repubblicane e nazionali, fino alla Prima Guerra Mondiale.
La democrazia popolare, il tutto il Risorgimento italiano, ha scarsi sostenitori, anche i mazziniani, quando parlano di “parlamento libero”, fanno riferimento alle caratteristiche e alle origini dei loro membri, non alla base elettorale che li portava alle camere.
Il 27 Gennaio 1861, prima elezione del Regno d’Italia, gli iscritti alle liste elettorali sono 418.695, su un totale della popolazione del nuovo regno di 25.750.000. Di questo 1,8% degli aventi diritto al voto attivo, vanno materialmente a votare poco più della metà: il 57,2% dell’1,8% della popolazione totale.
La percentuale cambia significativamente alle politiche del 1886, quando gli aventi diritto al voto sono l’8,2% della popolazione, e di questi vanno a votare il 53,6%.
Così il Parlamento viene determinato dal 4,8% del totale della popolazione di 29 milioni di cittadini italiani.
L’ipotesi di Arno Mayer è suggestiva, con la Prima Guerra Mondiale, a contatto diretto con i due grandi “esperimenti” (o “miracoli” in termini alla De Maistre?) dell’America e della Russia Sovietica, che nasce proprio durante la fine del conflitto, l’Europa che ha assorbito la Rivoluzione del 1789 e l’impresa napoleonica si trova a nuotare nel mondo nuovo, dove i vecchi equilibri infracontinentali non servono e non valgono più.
É questo il momento, detto tra parentesi, in cui si materializza la questione mediorientale e la nascita effettiva del Movimento Sionista, l’opportunità per l’Europa di proiettare sé stessa in Medio Oriente, e di fare i conti con il proprio antisemitismo, che ha accompagnato molta ideologia sia rivoluzionaria che controrivoluzionaria. L’americanismo, la produzione in serie inventata da Henry Ford I, il “fordismo” analizzato da Antonio Gramsci costituiscono lo scenario nuovo di una dimensione di massa senza democrazia possibile, né ristretta né a suffragio universale.
Le masse pensate dal sistema taylorista sono forzosamente a basso livello intellettuale, abituate ad un lavoro ripetitivo, massificate anche durante il tempo libero.
Il film “Metropolis” di Fritz Lang disegna questo universo: la tecnica e la scienza inducono il capitalismo a divenire monopolistico, le masse sono ormai controllate dalla psicologia applicata alla organizzazione del lavoro, la guerra “sola igiene del mondo” come la definiscono i Futuristi, elimina le masse in soprannumero e crea le condizioni dell’espansione futura dei monopoli nazionali. Qui, la democrazia moderna non c’entra proprio. Infatti, da Gustave Le Bon, inventore della “psicologia delle folle” (libro che Mussolini terrà sul suo comodino) a Vilfredo Pareto, con la sua Teoria delle élites, a Gaetano Mosca creatore del mito della “classe politica” allo stesso Benedetto Croce che ironizza sulle “alcinesche seduzioni” della democrazia di massa, fino ai sindacalisti di Sorel, la Guerra Mondiale chiude, apparentemente, il ciclo delle rivoluzioni democratiche, distruggendo contemporaneamente lo stesso Ancien Régime che le contrastava.
Il proletariato viene nazionalizzato, facendolo così uscire dal quadro delle “alcinesche seduzioni”, il capitalismo monopolistico, che tutti vedono come direzione unica dello sviluppo economico, genera stati che nazionalizzano le loro masse tayolrizzate senza bisogno alcuno dei “ludi cartacei” elettorali.
Di fronte alla crisi derivante dalla apertura del mercato-mondo e alla concorrenza dell’America e, forse, dell’Unione Sovietica, i Paesi europei si chiudono a riccio. Fascismo, nazismo, “terze vie”, lo stesso franchismo spagnolo sono riconducibili alla formula di Stalin “il socialismo in un Paese solo”. Se si chiudono le porte alla concorrenza globale e quindi si irreggimentano, fuori dalla democrazia e dagli ideali illuministici e massonici, le masse, sarà possibile secondo questo disegno mantenere un mercato interno abbastanza grande per i nuovi monopoli nazionali, e i sovrapprofitti potranno essere distribuiti alle masse evitando una volta per tutte la lotta di classe.
Lotta alla Massoneria e lotta all’Ebraismo sono due facce della stessa medaglia: entrambi sono internazionalizzazioni delle classi dirigenti, e interrompono il circuito, apparentemente ottimale, tra monopolio economico e partito unico.
Il “socialismo in un Paese solo”. Se si leggono oggi le accuse che Stalin diffuse contro Trotzky, e che Curzio Malaparte racconta nel suo “Tecnica di un colpo di Stato”, sembra di leggere i discorsi di Hitler e Mussolini contro l’internazionalismo ebraico e il “serpente verde”, la Massoneria.
E non sembra quindi strano, come invece apparve agli intellettuali meno informati, il Patto Ribbentrop-Molotov tra Germania nazista e Unione Sovietica staliniana.
I nazisti volevano tenersi fermo il fronte orientale, per colpire il “capitalismo ebraico e massonico” ad Occidente. I sovietici erano ben contenti di far distruggere il capitalismo dai nazisti, per poi subentrare con le loro reti “coperte” in attesa della “crisi finale” del sistema economico.
Era la fine della democrazia, era la fine del modello universalistico dei “diritti dell’uomo e del cittadino” che aveva caratterizzato il nazionalismo democratico dal 1789 al 1848, e che era continuato nel modello liberale- progressista che aveva caratterizzato il giolittismo in Italia, i gabinetti di Von Bismarck in Germania, la Terza Repubblica francese.
Ovvero: una capacità di assorbimento selettivo delle nuove élites emergenti all’interno di una classe politica che operava nel mercato-mondo.
Un sistema piccolo ma efficiente, che permette la quasi integrazione dei socialisti nel sistema giolittiano in Italia, i governi radicalsocialisti a Parigi, il socialismo “prussiano” di Ferdinand de Lassalle a Berlino.
Quando questo equilibrio si rompe, dal caso Dreyfus in Francia o con il governo Stresemann dopo la crisi economica tedesca postbellica, allora rinasce il patto scellerato tra vecchie classi dirigenti dell’ancien régime, monopoli pubblico-privati, e ideologi proletari del “socialismo in un paese solo”.
É un tenuissimo equilibrio quello che mantiene in vita il collegamento tra ideologie liberali, ceto medio, classe dirigente, imprese.
É probabile che questo equilibrio sia labile, sia pure per motivi diversi, anche oggi.
Ma la Massoneria è inevitabilmente ubiqua. La scissione in Italia tra Ordine e Rito Scozzese, con il vertice (ovvero il Rito) che si separa creando l’Obbedienza di Piazza del Gesù, si inserisce nella scissione tra classi dirigenti che si va creando alla fine del decennio giolittiano.
Raul Palermi, Gran Maestro di Piazza del Gesù dalla scissione, si dice abbia fatto firmare il “Manuale dell’apprendista” a Mussolini, incontrandolo nel “singolo” che da Milano portava il futuro duce a Roma, durante la “Marcia” che lo incorona presidente del Consiglio.
I gerarchi che organizzano, nelle sale dell’Hotel Brufani di Perugia la Marcia su Roma sono in gran parte massoni, e non solo di Piazza del Gesù.
Ma anche l’asse portante della futura Resistenza si origina in ambito massonico, “Giustizia e Libertà”.
Il manager che organizza e inventa l’IRI, Alberto Beneduce, è un uomo legato al vecchio presidente del consiglio Nitti, è 33 della Massoneria di Piazza del Gesù (quella più a “destra”, secondo la misure profane) è socialista riformista ed apertamente estraneo al regime. Suo genero sarà Enrico Cuccia, che molto opererà per gli Alleati in Portogallo e in Francia.
In quegli anni Benedetto Croce, antifascista tollerato dal regime, polemizza con la Massoneria definendola ormai morta, elemento dell’associazionismo piccolo borghese e provinciale ormai estranea dai veri giochi e dallo “spirito dei tempi”.
Quasi una ripetizione della vecchia battuta di Federico II di Prussia, “un Grande Niente”. Croce ha davanti a sé l’immagine della Massoneria meridionale, dove si sono integrate nelle Logge ceti parassitari aristocratici con ceto medio anch’esso sostanzialmente improduttivo, una sorta di associazione che vede, nel mito unificante del “fratello” Garibaldi l’inno di Don Fabrizio Corbera di Salina con il suo campiere arricchitosi nelle distrazioni del possidente, Don Calogero Sedara, tanto per ricorrere a due delle figure principali disegnate da Tomasi di Lampedusa nel suo “Gattopardo”.
In tutte e due i casi, si tratta di “cambiare tutto perché niente cambi”.
Una bilateralità della Massoneria italiana che promana dal Risorgimento: una fase storica in cui si inseriscono ceti medi locali (in Liguria, Toscana, Veneto, Lombardia) che sono già integrati in una esperienza massonica multiforme, da quella giuseppista austroungarica agli influssi napoleonici in Liguria, da dove opera Filippo Buonarroti, l’erede pisano di Michelangelo, che organizza, su ordine di Napoleone, ordini massonici segreti e mai visti prima e sette rivoluzionarie.
E tradizioni massoniche fortissime si manifestano anche nel Regno delle Due Sicilie, dove il piccolo ceto medio e l’aristocrazia meno parassitaria subiscono gli influssi dell’Oriente britannico, esempio classico di integrazione tra ceti emergenti e vecchie élites e tra diverse tradizioni geografiche, caratteristiche che pongono l’Oriente inglese fuori dal “fuoco della mente” che caratterizza la diffusione settaria (e spesso massonicamente irregolare) che promana dalla Francia e dalla Baviera degli “illuminati” di Weishaupt.
Si potrebbe pensare ad una Massoneria italiana che, proprio come le classi dirigenti nazionali, non riesce ad amalgamarsi pienamente alternando gruppi di potere e ceti politici che si stabilizzano temporaneamente solo rispetto alla corona di savoia.
Forse è Cavour, che muore troppo presto, forse è l’integrazione difficile di una economia agricola da latifondo del Sud che si scontra con la struttura meno verticalizzata del Centro (la mezzadria) e del Nord padano (la meccanizzazione su grandi appezzamenti e la manodopera salariata); forse sarà il peso relativo delle imprese industriali, che nascono con il nuovo grande mercato nazionale e il sostegno dello Stato in Lombardia, Liguria e Piemonte, ma insomma l’Unità nazionale aggrega aree che, di lì a poco, avranno geopolitiche diverse, agganci al mercato-mondo differenziati, tradizioni di contatti europei e massonici variegate e spesso non facilmente compatibili tra di loro.
Il fascismo, beninteso, userà la Massoneria, in quanto, per mutuare l’espressione di Antonio Gramsci, è “il partito della borghesia”; ma la borghesia in Italia è strutturalmente debole, il proletariato è di origini agricole e marginali e pre-moderne, e porta con sé tutti i pregiudizi antimassonici del Trono e, soprattutto, dell’Altare.
In quanto il fascismo è una rivolta di ceti medi e di piccola borghesia urbanizzata, gli “studenti” famosi che hanno fatto la Grande Guerra e sono stati derisi e umiliati dal socialismo del “non aderire né sabotare” turatiano, la Massoneria entra nel fascismo “movimento”, per usare la dicotomia di Renzo De Felice, ma quando il fascismo diviene da “movimento” “regime” e chiude la partita con la Chiesa cattolica (arricchendola con le riparazioni per la Breccia di Porta Pia e i successivi spogli di proprietà) con il Concordato del 1929, allora l’anticlericalismo massonico e l’esoterismo “pitagorico” che tanta parte aveva nelle Logge italiane e nelle due Obbedienze maggiori allora il rapporto con la Massoneria si chiude. Il fascismo ha il suo modernismo in casa: è il futurismo, certo venato anch’esso da influssi esoterici di origine massonica ma comunque in rotta con le Obbedienze italiane su un punto essenziale: il suo ferreo nazionalismo.
Il fascismo è insieme antirisorgimento e “compimento del Risorgimento” è mazziniano e antimazziniano, è strapaese e stracittà, è tradizionalismo pre-moderno e futurismo.
É il suo rifiuto pragmatico di sintetizzare tutti i suoi opposti e le sue latenti contraddizioni che lo mantiene al potere, mentre la Massoneria e il Risorgimento sono state, fin dall’inizio, esperienze e rivoluzioni dall’alto che hanno modernizzato ed europeizzato, a tappe forzate e quindi incompiutamente la vecchia Italia.
Ma l’Italia unita non può essere nazionalista: perché essa deve la sua stessa unità nazionale ad un equilibrio geopolitico tra le potenze europee e globali che, esso solo, permette spazi di manovra alla nazione italiana.
É la Francia che è interessata ad un contraltare mediterraneo per la Gran Bretagna e per insularizzare la potenza centroeuropea tedesca e renderla, per usare la terminologia di haushofer, “potere terrestre”; è la stessa Gran Bretagna che è interessata a determinare una limitazione del potere marittimo francese nel Mediterraneo e a favorire una Italia unita e amichevole con Londra per controllare, dalla Penisola, il Mediterraneo e la sua direzione geopolitica verso Est, verso l’Asia Minore e l’India.
É infine la Russia che, oltre la sua area di influenza slava che arriva ai nostri confini, desidera una Italia unita per comprimere la Germania e limitarne la sua espansione verso Est, oltre a garantire con una Italia amica l’accesso ai “mari caldi” che è l’ossessione strategica russa da Pietro I a Vladimir Vladimirovic Putin.
Questi equilibri geopolitici, tutti incentrati sul Mediterraneo, innervano il processo unitario e caratterizzano anche l’evoluzione della massoneria italiana e le sue relazioni non le successive élites politiche, da Cavour fino ai giorni nostri.
L’accettazione da parte del ministro degli Esteri sovietico Vishinsky, a Capri, di un accordo stabile con l’Italia badogliana e con il governo del Regno del Sud, nell’incontro segreto che il dirigente sovietico ebbe con il Segretario del Ministero degli Affari esteri Prunas, è comprensibile in questo contesto, mentre per il potente segretario Prunas coprire le spalle ad Est (e ammorbidire il PCI) al debole governo di Salerno è un modo per creare uno spazio di manovra per l’Italia postfascista che, altrimenti, sarebbe totalmente dipendente dai voleri degli angloamericani.
Proprio da questo punto di vista, si comprende la diffusione della Massoneria in tutte le formazioni politiche del secondo dopoguerra, laddove la DC e il suo blocco sociale portano, per la prima volta nella storia d’Italia, le masse contadine alla rappresentanza organica nel governo del paese, unite alla piccola borghesia urbana e a settori non trascurabili di classe operaia.
L’Italia del secondo dopoguerra è caratterizzata da un forte dualismo, che l’impetuoso sviluppo economico accentua: una vasta base industriale che opera, per la prima volta nella storia d’Italia, nel mercato europeo e mondiale, senza lo Stato come compratore finale, e una sequenza di sacche di arretratezza regionale che non vengono inglobate nella rappresentanza politica e risultano inviate ai flussi migratori verso l’Estero.
Dal 1946 al 1971, emigrano oltre 5 milioni di italiani, la popolazione dell’Austria e quasi l’intera popolazione della Svizzera, per comprendere le dimensioni del fenomeno.
Quando l’emigrazione si chiude, nel 1971, la fase di tensione sociale è già iniziata e i segnali he danno per chiuso il “Miracolo economico” italiano sono già ben visibili a tutti.
Per la Massoneria (o meglio, per le massonerie) italiane nel secondo dopoguerra la linea è quella di un fortissimo atlantismo, di un altrettanto esplicito anticomunismo, pur venato di spunti progressisti che datano dal mazzinianesimo e dal riformismo socialista che hanno fatto parte del DNA politico delle Obbedienze italiane unitarie, il che rende da un lato necessaria la presenza della Massoneria nel quadro politico e sociale italiano, ma contemporaneamente la diluisce in un reticolo di relazioni con Enti e partiti che hanno, nei confronti dell’Oriente italiano, lo stesso astio e lo stesso potere di disposizione che il fascismo aveva rispetto alla massoneria dell’epoca: il potere muove le masse, spesso fortemente antimassoniche, ed ha la chiave dei rapporti, essenziali per la stabilità internazionale ed interna, con la Chiesa cattolica, con la quale la Massoneria non ha del tutto chiarito le proprie tensioni tradizionali: Né la Chiesa l’ha fatto con la Massoneria, peraltro.
La Massoneria è l’asse del potere atlantico in Italia nella misura in cui tutte le potenze vincitrici sanno benissimo che la Democrazia Cristiana vede la NATO come un potere “protestantico” e un potenziale elemento di contrasto con la Chiesa nella tradizionale politica estera italiana, mediatoria ed attendista.
Fu un Eroe della Resistenza torinese e liberale, Edgardo Sogno, a convincere il futuro segretario generale della NATO Manlio Brusio ad accettare il principio della Alleanza Atlantica e a abbandonare le sue precedenti tentazioni neutraliste: “guarda che i russi se attaccano l’Europa sono subito da noi, comunque vada, quindi è meglio entrare nella NATO”.
Questo fu più o meno il discorso del “Comandante Franchi” all’allora ambasciatore italiano in Unione Sovietica.
Quindi il nesso identitario della Massoneria nel secondo dopoguerra italiano è appunto atlantico, liberale- progressista, europeista ed attento ad evitare la chiusura su posizioni antimoderne e confessionali del partito sicuramente egemone, la Democrazia cristiana. L’europeismo della Massoneria è, per così dire, sostitutivo e disperato. Come sarà quello di un grande leader della DC, Nino Andreatta. Visto che le sacche di arretratezza strutturale italiana non sono risolubili con gli strumenti interni, allora aspettiamo l’Unione Europea che costringerà una classe politica che in parte sopravvive grazie a quelle arretratezze a modernizzare il nostro Paese. Si ripropone una “rivoluzione dall’alto” e un traino dall’estero che sono stati caratteristici del nostro Risorgimento.
Questo nesso tra potere DC e laicismo atlantico cade, con la fine della “guerra fredda” e l’avanzare della stessa unificazione europea. E si trasforma anche il ruolo della massoneria, Essa si trasforma divenendo avanguardia della espansione degli interessi nazionali in Paesi tradizionalmente legati all’Italia con legami massonici che risalgono al Risorgimento: l’Ungheria, o genera obbedienze più strettamente organiche ai referenti massonici tradizionali dell’Oriente italiano, come la Gran Bretagna o gli stessi USA.
Per non parlare del nesso con il mondo arabo, nel quale le Obbedienze italiane , sulla base di una lunga tradizione che data dalle prime conquiste coloniali in Nord Africa e nei rapporti “antimperialisti” del fascismo con il nazionalismo arabo e perfino con il Sionismo durante il Mandato britannico in Medio Oriente, è uno degli assi di sviluppo tradizionali della politica estera della massoneria italiana. Basti pensare al rapporto particolare della casa reale giordana con la massoneria di Piazza del Gesù, o ai contatti fecondi tra le Obbedienze italiane e la Rivoluzione algerina o la Casa Reale del Marocco.
Ma è una direzione che viene trasformata dai fatti: il mondo arabo moderato ha bisogno non solo di affari e rituali, nel contesto della Seconda Intifada e del successivo e connesso jihad globale qaedista.
Altro elemento della politica estera massonica italiana è il sudamerica: lì la crisi finanziaria degli anni ’80 che investe tutta l’area blocca le tradizionali relazioni rituali e politiche della Massoneria italiana con i Paesi della Grande Emigrazione ottocentesca: Argentina, Cile, Uruguay. L’entrata della Spagna nel grande gioco geopolitico e la nuova attrattiva esercitata dagli USA con il MERCOSUR e il NAFTA indeboliscono le storiche correlazioni tra la Massoneria italiana e gli emigrati genovesi del Boca di Buenos Aires, per esempio.
Il blocco del sistema politico italiano, nella fase in cui inizia ad operare la globalizzazione e termina il “bipartitismo imperfetto” non permette alle Obbedienze italiane di trattare liberamente, per usare la metafora di Giulio Andreotti, con “più forni”, mentre la teoria e la propaganda democratica si globalizzano e perdono quella specificità nazionale che tanta parte ha nella identità politica della massoneria italiana.
Inoltre, il crescere del ruolo geopolitica di paesi tradizionalmente non massonici, come la federazione Russa e la Cina, insularizza la Massoneria e la rende debole nella gestione, culturale e politica, delle nuove sfide che appaiono all’orizzonte.
Beninteso, la massoneria in Cina c’era, eccome: era legata al nazionalismo di Sun yat Sen e di Ching kai Shek, e, con ogni probabilità, è rimasta “in sonno” in una piccola rete di “quadri” urbani del PCC.
E la Massoneria russa è legata alla Rivoluzione di febbraio e alle riforme di Lwow e di Stolipyn, ed è stata attiva nel gruppo filoinglese che assassinò il “mago” Rasputin.
Per non parlare del “fratello” kerensky. E la massoneria in India non è un semplice retaggio del colonialismo britannico, quello in cui, come narrava Kipling, “ci ritroviamo in Loggia, poi tutti torniamo nelle nostre case a pregare il nostro Dio”. É ancora molto di più.
Ma il “socialismo in un paese solo” che ha caratterizzato il “secolo breve” non era e non poteva essere massonico.
Oggi la vera sfida culturale, per la massoneria italiana, dovrà essere duplice: da un lato il ridisegno del ruolo dell’Italia nel sistema geopolitico occidentale, con una Europa che rimane potenza economica ma non si evolve, come avevano sperato e pensato Andreatta, Guido Carli, Ugo La malfa, Enrico Cuccia e Carlo Azeglio Ciampi, in un modello politico e strategico forte.
D’altro canto, gli USA, altro riferimento culturale e politico delle Obbedienze italiane, pensano, per usare la formula elaborata da Richard Haas, presidente del Council on Foreign Relations, “alla fine della monopolarità americana”, in un contesto dove le situazioni strategiche non sono più determinate dalla Superpotenza USA.
E, d’altro canto, la Massoneria italiana deve confrontarsi con un problema antico e sempre nuovo: il federalismo e il ridisegno anche culturale e identitario, dei poteri regionali in Italia.
La forza che ha caratterizzato la propria presenza “profana” in Italia con il processo unitario, la Massoneria, dovrà fare i conti con l’emergere di forze antinazionali, spesso con tratti fortemente antimoderni, antimassonici, neotradizionalisti e antinazionali, di nuove identità locali, pre-nazionali e a forte tasso identitario.
E ancora, in un contesto in cui anche nel quadro europeo e NATO le potenze nostre alleate avranno maggiori spazi di manovra autonoma, si dovrà pensare ad una Massoneria italiana che ha un progetto geopolitico culturale, rituale capace di sintetizzare i tanti influssi francesi, tedeschi e nordamericani e britannici; per non parlare della nuova massoneria russa legata al Cremlino di Putin, erede del “comunismo magico” dei rosacroce russi del settecento e della san Pietroburgo misteriosa di Andrei Belyi, come dei simbolismi celati nel “Maestro e Margherita” di Bulgakov.
E si tratterà, infine, di declinare il messaggio nazionale e unitario, caratteristico dell’identità massonica italiana, in questo nuovo campo di forze globali.
Il locale che diviene politico e identitario oltre che amministrativo, e il Nuovo Ordine Mondiale delle potenze autonome che si profila all’orizzonte.
Sarà questo il mondo, massonico e profano, del nostro futuro.

Il documento che precede è opera d'ingegno del Professor Giancarlo Elia Valori ed qui esposto dietro sua autorizzazione.

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