Il presente saggio riproduce, con qualche snellimento nel testo e aggiornamenti nelle note, quello apparso in O. Pompeo Faracovi (a cura di), Nella luce degli astri. L’astrologia nella cultura del Rinascimento, Agorà, Sarzana (La Spezia) 2004, pp. 157 -186; si veda anche l'Introduzione a T. Campanella, Opuscoli astrologici, a cura di G. Ernst, Rizzoli, Milano 2003, pp. 5 -57.

 

© Germana ERNST

Traduci il documento

 

 

 

 

NELLA LUCE DEGLI ASTRI

Gli opuscoli astrologici Di Tommaso Campanella

 

1. Campanella e l’astrologia

Nel luglio 1626 Campanella giunge a Roma dopo ventisette anni trascorsi nelle prigioni napoletane e talune voci non mancano di insinuare che il sospiratissimo trasferimento nella città del papa, annunciato e rinviato per anni, fosse stato finalmente conseguito anche in virtù delle sue eccellenti competenze astrologiche. La perizia nell’arte era stata acquisita in tempi successivi allo scetticismo degli anni giovanili, da Campanella stesso rievocato in due famosi passi. Nel Senso delle cose ricorda: «io fui nemicissimo d’astrologi e scrissi contra loro in gioventù, ma i miei travagli m’hanno fatto accorto che dicono molte verità» (1), e in una bella lettera a mons. Antonio Querenghi, schermendosi del paragone con Giovanni Pico della Mirandola, conferma la propria ostilità giovanile nei confronti dell’astrologia, cui era seguita in età adulta una più matura riflessione: il giovane conte «dannò gli astrologi per non aver mirato all’esperienze: ed io li dannai quando ero di diciannove anni, e poi vidi altissima sapienza intra molta stoltizia loro albergare» (2).
Non sappiamo quando esattamente Campanella si sia accostato all’astrologia con maggiori simpatie, venendo ad acquisire competenze specifiche in questo campo. Forse le poté apprendere già da quel misterioso rabbino Abramo, con cui si diceva avesse lasciato la Calabria per dirigersi alla volta di Napoli, e che esaminando la sua natività gli avrebbe pronosticato l’eccezionalità della sua vita (3). Ma è forse più probabile che lo studio della dottrina risalga al primo soggiorno napoletano, quando ebbe modo di frequentare i fratelli Della Porta (4). Giovan Battista, il più famoso, godeva di un’ampia fama internazionale per i suoi testi di magia naturale e di fisiognomica, ed è dalle discussioni con lui sui principi di simpatia e antipatia delle cose che ebbe origine quello che sarà il Senso delle cose e la magia. Il fratello Giovan Vincenzo, pur dilettandosi di ogni scienza, con particolari competenze in medicina e alchimia, «soprattutto fu divino nell’astrologia, sì nella parte theorica che i misura i moti delle stelle […] come anco nella pratica e nella giudiziaria», al punto che era solito dire che l’anima di Tolomeo era trasmigrata in lui (5). Sempre a Napoli, Campanella aveva avuto modo di discutere di quelle dottrine celesti che, collegando eventi astrali con mutamenti terreni, si coniugavano con temi profetici e politici. In un passo del la Dichiarazione di Castelvetere, il primo documento dettato a propria discolpa nel settembre 1599, subito dopo l’arresto per la tentata congiura di Calabria, nel ricordare i propri interessi per «quelle cose che donano indizio del futuro» e la persuasione che il regno di Napoli «dovesse patire presto mutazione», afferma che ciò che gli era stato confermato dalle conv ersazioni avute a Napoli con C olantonio Stigliola, Giulio Cortese, Giovan Paolo Vernaleone, convinti anch’essi che presto «ci dovea essere mutazione di stato» (6).
Quando nell’estate del 1598 Campanella fa ritorno in Calabria e a Stilo, dopo quasi dieci anni di assenza, è senza dubbio in possesso di approfondite conoscenze astrologiche, e nei preparativi della congiura giocarono un ruolo imporante sia la fiducia nell’eccezionalità del proprio oroscopo, che lo destinava a dare nuove leggi ed essere un nuovo messia, sia l’astrologia che riguardava mutamenti di leggi e religioni, e risultava connessa con la profezia. Entrambi gli aspetti sono ricordati in stretta connessione nella Città del sole, la cui composizione viene fatta risalire al 1602. Nelle battute finali, si sottolinea come le credenze astrali dei Solari non risultino in conflitto con la libertà dell’arbitrio. A conferma del permanere della libertà pur entro il contesto degli influssi celesti, da un lato egli rievoca, come farà anche in altre occasioni, la terribile tortura di recente patita, a prova che se un condizionamento fisico estremo non riesce a scalfire la libertà del volere, tanto meno lo potrà il condizionamento di gran lunga più debole e lontano operato dalle stelle, e che solo chi segue più il senso che la ragione è sottoposto alle stelle. Dall’altro fa rilevare come in tempi assai ravvicinati, e sotto aspetti astrali analoghi, si ano nati personaggi quali Ignazio da Loyola, Lutero, il conquistatore del Messico, Fernando Cortes, che risultano per un verso accomunati dall’impulso al rinnovamento, per l’altro alquanto lontani per le diversità delle situazioni e dei contesti: Questo si sappi, che essi tengon la libertà dell’arbitrio. E dicono che, se in quarant’ore di tormento un uomo non si lascia dire quel che si risolve tacere, manco le stelle, che inchinano con modi lontani, ponno sforzare. Ma perché nel senso soavemente fan mutanza, chi segue più il senso che la raggione è soggetto a loro. Onde la costellazione che da Lutero cadavero cavò vapori infetti, da’ Gesuini nostri che furo al suo tempo cavò odorose esalazioni di virtù, e da Fernando Cortese che promulgò il cristianesmo in Messico nel medesimo tempo (7).
Una conferma eloquente degli interessi per l’astrologia mondiale, che fanno appello anche ai nuovi dati del sistema di Copernico («sagacissimus», «vir admirabilis»), è offerta dal Pronostico astrologico redatto in occasione d ella grande congiunzione del 24 dicembre 1603. Da quella data, e per i seguenti duecento anni, le congiunzioni dei pianeti superiori Giove e Saturno si sarebbero verificate nei segni di fuoco, a partire dal Sagittario, dopo che nei precedenti duecento ave vano avuto luogo nel trigono dei segni d’acqua, dominati da Venere e dalla Luna: ciò che aveva comportato, fra le altre cose, il prevalere dei Maomettani e il dominio delle figure femminili, fatti anche questi ricordati nella Città del sole. Il ritorno delle congiunzioni nel trigono igneo, lo stesso che aveva presieduto alla nascita di Cristo e all’impero di Carlo Magno, annuncia un profondo rinnovamento politico e religioso, e Campanella guarda all’evento astrale, atteso proprio per il giorno della natività di Cristo, con grande emozione, componendo, oltre al Pronostico, che verrà annesso come ultimo capitolo degli Articuli prophetales (8), alcuni sonetti profetali, in cui auspica la sconfitta dei «fieri giganti», il trionfo degli «spiriti pii, lieti e contenti» e il ritorno dell’«aurea età felice», nella quale, eliminato il «tuo» e il «mio», l’amore individuale ed egoistico si trasformerà in amore comune, «l’astuzia ed ignoranza in saper vivo e ’n fratellanza l’imperio funesto» (9). Fra i mutamenti annunciati, Campanella prevede grandi progressi nelle scienze, nuove scoperte e invenzioni, a causa della particolare posizione di Mercurio, secondo quanto non mancherà di ricordare a Galileo nella chiusa della grande epistola latina che gli indirizza subito dopo la lettura del Sidereus Nuncius (10).
Gli interessi astrologici che serpeggiano in larga parte dei testi campanelliani trovano un’organica sistemazione nei sei libri Astrologicorum, annunciati come compiuti nella lettera del l’8 marzo 1614 a Galileo. In queste pagine Campanella non manca di rimproverare all’amico la contraddizione fra la sua dichiarata “incredulità”, in base alla quale rifiuta un consulto astrologico per i propri problemi di salute, dichiarando di non crederci, e le puntuali allusioni astrologiche presenti nella dedicatoria a Cosimo II del Nuncius Sidereus, dove le eccellenti qualità del Granduca sono messe in rapporto con la posizione fortunata del «benignissimo astro di Giove» nel suo oroscopo. Campanella sottolinea che, se tali riferimenti agli influssi del pianeta sono solo di maniera, e frutto di un elogio encomiastico e cortigiano privo di ogni intima convinzione, andavano evitati, perché «non è licito a Vostra Signoria servirsi [...] d’opinion false credute dal solo volgo», e quindi passa ad ammonirlo a non disdegnare una dottrina senza dubbio «piena di fallacie», ma che contiene anche «cose divinissime», se si operano le debite distinzioni riguardo ai diversi livelli di certezza dei suoi contenuti (11).

Negli Astrologicorum libri, ponendosi sulla linea di Girolamo Cardano, che si era proposto di far rivivere l’autentica dottrina di Tolomeo, al di là di ogni deformazione e deviazione, anche Campanella dichiara di voler liberare la dottrina dalle superstizioni degli Arabi, per rifondarla come una dottrina naturale e congetturale, in modo che risulti altresì compatibile con le posizioni cristiane. In primo luogo, si tratta di separare l’astrologia da quella folla di dottrine nugaces, verso le quali l’animo umano è pur irresistibilmente attratto. Se il desiderio dell’uomo di conoscere le cose future è di per sé positivo, in quanto è una delle vie per avvertire la propria partecipazione alla divinità, può diventare una passione illusoria e rovinosa, se non è corretto e regolato dalla ragione superiore e se l’uomo, dimentico della Causa prima, si prostra di fronte alle cause seconde e strumentali. Né idolatrica né demonica, attenta a studiare le corrispondenze, palesi o più segrete, fra stelle e natura, cauta nei suoi metodi d’indagine – solo in alcuni pochi casi essa procede demonstrative, ma più di frequente probabiliter e suspicative, consapevole che gli eventi dipendono da un molteplice concorso di cause –, l’astrologia non è indegna del nome di scienza, e solo chi non ne rispetta i limiti naturali cad e nella superstizione e rischia di incorrere nell’inganno diabolico (12).
Per quanto riguarda il problema più spinoso, il condizionamento astrale sulle libere scelte dell’uomo, Campanella prende le distanze da posizioni deterministiche di stampo stoico, rivend icando la libertà dell’umano volere in un passo assai simile a quello della chiusa della Città del Sole. Alludendo alle torture subite, e a roghi non lontani, forse un tacito omaggio al più famoso di tutti, quello di Giordano Bruno del febbraio 1600, egli afferma che «l’uomo è così libero che, se non vuole, non viene vinto da nessun tormento e morte. Quanto meno dunque dalle stelle che non esercitano una pressione tanto atroce? Anche se bruciano il corpo non riescono a domare la volontà» (13).
La questione in verità risulta complessa e richiede tutta una serie di distinzioni e precisazioni. Richiamandosi ad Alberto Magno e a san Tommaso, egli afferma che l’arbitrio dell’uomo è sottoposto agli astri non directe, bensì per accidens. Il cielo e le stelle influiscono sul corpo e sullo spiritus, che veicola le affezioni così ricevute all’anima incorporea infusa da Dio, la quale può scegliere di consentire o invece di contrapporsi alle sollecitazioni passionali. Se è vero che, secondo un famoso aforisma del Centiloquio pseudotolemaico, «il sapiente dominerà le stelle», è altrettanto vero che i filosofi e i sapienti sono assai rari, per cui l’astrologo spesso ha buon gioco nelle sue previsioni, in quanto gli uomini, nella maggior parte dei casi, indulgono alle inclinazioni sensibili anziché operare scelte razionali.

 

2. L’affare dell’oroscopo del papa e il De siderali fato vitando

Fin dai primi tempi dell’arrivo a Roma di Campanella, erano cominciate a circolare voci su un prossimo decesso del papa a causa del verificarsi di aspetti astrali minacciosi per la sua vita. Dapprima vaghe e in sordina, le voci si andranno diffondendo sempre più e acquisteranno maggior consistenza negli anni fra il 1628 e il 1630, per culminare in un affaire politico-astrologico di proporzioni internazionali, costituendo un esempio clamoroso e istruttivo dell’ambiguo connubio di astrologia, politica e propaganda. Interessanti informazioni sulla questione ci vengono fornite da Campanella stesso, in una lunga lettera che scriverà da Parigi al papa il 9 aprile 1635 e nella quale, in una ricostruzione un po’ affannata, svelerà gli oscuri retroscena delle vicende romane di quegli anni (14). La lettera ha come protagonista il generale dei Domenicani Nicolò Ridolfi, della cui persona, e del «modo violento e rapace con cui regna», l’esule, ormai lontano e dopo averne patite a lungo le persecuzioni, traccia un ritratto spietato, con l’intento di smascherarne le doppiezze, gli intrighi, le calunnie.
In un fitto intrico di malignità, simulazioni, tradimenti («in lui non ci è religiosità se non finta, né veracità, né carità né amicizia; ma tanto mostra amare uno quanto n’ha bisogno, e poi subito lo trade» (15)), si inserisce la specifica azione e il ruolo sostenuto dal Ridolfi nell’ affaire astrologico. Campanella ci informa che il Ridolfi, che, al pari dei fratelli, nutriva una sfrenata passione per l’astrologia, gli faceva spesso visita, proprio per questioni astrologiche, nel palazzo del Sant’Uffizio, dove si trovava rinchiuso. Nel corso di una di queste visite, gli aveva mostrato «certi giudici fatti d’altri» riguardanti la vita del papa, «che dicean ch’a settembre del ’28 avea da morire». Anziché confermare queste predizioni – come il Ridolfi, che aveva personali mire di potere, avrebbe sperato –, Campanella le smentisce, scrivendo un discorso, che non ci è pervenuto, volto a mostrare come il papa sarebbe vissuto ancora a lungo: «Io li provai che non era vero, e feci uno scritto contra». Constatata l’esattezza di queste previsioni, il Ridolfi gli aveva mostrato la propria natività. Dopo averla esaminata, Campanella gli aveva predetto il cardinalato per il giugno del 1629 – ammettendo però di avere sbagliato carica, in quanto in quel mese il Ridolfi divenne non cardinale, bensì generale dell’Ordine. Ma altri illustri personaggi, ai quali si era rivolto e aveva mostrato il proprio tema di nascita, meno cautamente gli avevano predetto senza indugio il papato, «per un satellizio in occidente di tutti pianeti in Scorpione» (16), prospettiva che lo aveva reso «baldanzoso, come il pronostico di Ticone al re di Svezia chi non credea poter essere vinto né morire» (17).

Di qui si erano accese rinnovate attese per la morte del papa, spostata adesso al febbraio 1630, e in vista dell’evento si organizzavano incontri e concili aboli di astrologi, con successivi pellegrinaggi presso i principi per diffondere le previsioni sul decesso del papa e «commover gli animi di cardinali a fare quel papa che mostravan le stelle» (18). I turbamenti e i disordini giunsero al punto che nel giugno del 1630 arrivarono a Roma i cardinali spagnoli, sollecitati dal cardinal Borgia, fiero avversario del papa, per prender parte a un nuovo conclave, come se ci fosse già «sede vacante» (19).
In questo clima oscuro e gravido di minacce si inseriscono sia le prat iche di magia astrale operate da Campanella con il papa, sia la composizione degli opuscoli. Urbano VIII non disdegnava di dedicarsi all’astrologia in via strettamente riservata: si vantava di conoscere le natività di tutti i cardinali e non mancava di consultare con una certa impazienza quella del vecchio duca d’Urbino, non vedendo l’ora che sparisse di scena per prendere finalmente possesso del suo stato. Comprensibilmente infastidito e allarmato per le previsioni nefaste sul suo conto, Urbano si rivolge a Campanella, che a partire dall’estate del 1628 viene convocato a più riprese a palazzo, per mettere in pratica i rimedi atti a scongiurare le minacce celesti. Negli Avvisi di Roma di quel periodo serpeggiano frequenti accenni agli incontri segreti fra un papa più che mai intenzionato a preservare in ogni modo la propria vita e il frate, «il maggior astrologo de’ nostri tempi», che, grazie a cerimonie notturne, illuminate dai bagliori di fiaccole e candele, e «a certi fomenti che sono contro li mali humori e la malinconia», riesce a indurre nell’illustre personaggio la persuasione «di vivere lungamente e con molta quiete» (20).
I rimedi contro gli aspetti celesti sfavorevoli sono descritti nell’opuscolo De siderali fato vitando, che verrà dato alle stampe, a d ire di Campanella senza il suo consenso, in appendice ai sei libri Astrologicorum nel 1629 (21). Se in altri testi Campanella si sofferma, proprio come Ficino nel De vita coelitus comparanda, sui modi per attirare con “esche” opportune i favori del cielo, nel l’opuscolo sul fato siderale affronta il problema dal diverso punto di vista di come sventare le possibili minacce celesti adottando opportune cautele. A tale proposito, egli insiste su due temi centrali: il valore delle scienze come mezzi e rimedi di cui l’uomo dispone per porre riparo ai diversi mali; la fiducia che anche i pericoli connessi con il fato sidereo non siano inevitabili.
Per Campanella, ogni male ha il suo rimedio e le arti, figlie della natura e raggi dell’unica luce del Verbo divino, hanno lo scopo di proteggere la vita dell’uomo, aiutandolo a conseguire quello che giova e ad evitare quello che nuoce. Se la medicina, l’etica, la politica, l’economica consentono di fronteggiare i mali del corpo, dell’anima, della repubblica e della famiglia, la scienza siderale è efficace contro i possibili danni derivati dalle stelle. In una bella pagina dal sapore baconiano Campanella celebra le scoperte dei moderni – la stampa, la bussola e le armi da fuoco, che hanno consentito la scoperta e la conquista del nuovo modo – e ad esse aggiunge il telescopio, con l’auspicio che si realizzi quanto prima l’arte del volo e che si giunga presto alla costruzione di un auricolare organum, l’«oricchiale», come vien detto nella Città del sole lo strumento per ascoltare le armonie delle musiche celesti (22). Tali mirabili invenzioni dovrebbero spronare i principi a incrementare sempre più le arti speculative e meccaniche, contribuendo così a migliorare la vita dell’uomo e ridurre anche i mali connessi con il fato: Come sarebbe bello se i principi, lasciando perdere le ridicole dottrine degli antichi, facessero progredire il presente secolo favorendo chi si dedica alle scienze! Non c’è nulla infatti che la ragione umana non possa vincere. Ma le scuole sono occupate da sofisti incapaci di ritrovare cose nuove, e pronti solo a perseguitare chi ricerca la verità. Non c’è quindi da stupirsi che ancora non vengano alla luce tutti quei rimedi che Dio offre contro le calamità del fato (23).

Non sono i mali ad essere inevitabili, ma purtroppo sono le arti utili a porvi riparo ad essere trascurate. Se scopo di ogni vera scienza è quello di alleviare i mali degli uomini e provvedere ai loro bisogni, anche la scienza siderale è utile e può controllare i pericoli minacciati dalle stelle. Il cielo infatti non realizza in modo necessario quanto Dio ha stabilito, demandando agli angeli l’esecuzione, ma agisce con il calore, la luce, l’aspetto, il movimento. Le azioni, le passioni, le forme sostanziali e accidentali del mondo inferiore sono prodotte per mezzo di strumenti corporei: il cielo è lo strumento e il sigillo delle intelligenze apposto al mondo elementare, e pertanto gli effetti che conseguono a cause corporee possono venire rafforzati o impediti da cause corporee. Garantito così un possibile margine di intervento all’interno dalla catena causale del fato, Campanella analizza le varie situazioni di pericolo suggerendo di volta in volta gli opportuni rimedi, improntati, nella maggior parte dei casi, a regole ispirate al semplice buon senso. La pagine più famose e più discusse, in quanto rispecchiano le pratiche operate con il papa, sono quelle che suggeriscono i rimedi contro i possibili danni di eclissi e comete.
Se un’eclisse è malefica e generale, non resta che la fuga: «abscinde te a toto». Quando si presenta minacciosa per una persona specifica, Campanella consiglia di usare ogni diligenza per far sì che «fin dall’inizio i semi sparsi non possano piantare in te le loro radici; il seme del frumento o della senape o gli altri semi, se non trovano un terreno adatto, non mettono radici, o ne mettono di deboli, in modo da non dare nessun frutto, o modesto, o non crescono», ricordando che, durante la terribile peste di Atene, Socrate ne era rimasto immune, grazie alla temperanza con cui aveva neutralizzato l’aggressione della malattia. Si tratterà allora di delimitare uno spazio separato, che risulti impenetrabile agli influssi maligni e al tempo stesso riproduca un ambiente favorevole. Serrate porte e finestre, l’aria verrà purificata cospargendo profumi e aromi, e bruciando legni odorosi come alloro, mirto, rosmarino, cipresso. Nella stanza, ornata con fronde e drappi bianchi di seta, verranno accesi due luminari e cinque fiaccole, composti di una mistura aromatica, e altre luci, a rappresentare i pianeti e lo zodiaco. Quali ulteriori antidoti, sarà inoltre utile ricercare la compagnia di amici indenni dagli effetti negativi dell’eclisse, diffondere musica gioviale e venerea per infrangere la malignità dell’aria, e in genere fare ricorso a tutte quelle esche, collegate con piante, pietre, colori, odori, capaci di attirare gli influssi benefici e contrastare quelli maligni.
Se le tenebre dell’eclisse sembrano sospendere e interrompere la vita che fluisce dal cielo, sarà necessario porvi riparo con la costruzione di una sorta di cielo artificiale. In celebri pagine dedicate al De siderali fato, e volte a sottolineare i nessi fra i rimedi suggeriti e la magia naturale e astrale di Ficino, D. P. Walker osserva con finezza: «le luci nella stanza sigillata sono semplicemente un sostituto del mondo celeste esteriore, manchevole a causa dell’eclisse; i cieli veri si sono guastati e così ci fabbrichiamo un normale, non disturbato, favorevole cielo in miniatura» (24).
L’opuscolo si conclude con pagine che ricordano casi di morti di personaggi famosi, annunciate e non sventate nonostante tutte le precauzioni adottate, ciò che sembrerebbe smentire la possibilità di evitare l’inesorabilità del fato. Fra gli esempi antichi, viene ricordato il caso di Edipo, a c ui Seneca, nell’omonima tragedia, dedica versi volti a sottolineare l’implacabilità della forza fatale, e la morte di Plotino – in verità Campanella confonde la morte atroce del filosofo, narrata da Firmico Materno, con quella, davvero curiosa, di Eschilo, il quale, a quanto narra Valerio Massimo, in un capitolo dedicato alle morti insolite, ebbe la testa fracassata dal guscio di una tartaruga scagliato con forza dall’alto da un’aquila, che aveva scambiato il cranio calvo del poeta per un sasso (25). Fra gli episodi più recenti, vengono ricordate le morti di due astrologi famosi, le cui cautele, messe in opera al fine di preservarsi da una morte violenta da loro stessi prevista e temuta, risultarono vane. Il primo caso è quello di un celebre chiromante e astrologo, il bolognese Bartolomeo della Rocca, detto Cocles, che, odiato dai Bentivoglio, signori della città, per le sue previsioni funeste, andava sempre armato di spada e si proteggeva il capo con un elmo nascosto, poiché temeva di morire a causa di un colpo alla testa. Precauzione che non era stata sufficiente a salvarlo da un sicario assoldato da Ermete Bentivoglio, figlio del tiranno, che, travestito da facchino, l’aveva sorpreso mentre si era chinato, intento ad aprire la porta di casa, la cui serratura e ra stata artificiosamente manomessa con l’introduzione di un sasso, vibrandogli un colpo di scure sul collo (26).
Fra gli astrologi che temevano la morte violenta e non poterono evitarla Campanella ricorda anche il tedesco Valentinus Nabod (27), autore di commenti ai testi del Sacrobosco e di Alcabizio, che fu vittima di un atroce delitto a Padova nel marzo del 1593, proprio durante il soggiorno del giovane domenicano, che dovette rimanerne vivamente impressionato e ci narra l’episodio in modo preciso:

Costui, mentre viveva a Padova, temendo, a causa della direzione, la spada, si chiuse in casa, sbarrate porte e finestre, dopo aver fatto provviste di cibo bastanti per un mese. I ladri, credendo che se ne fosse andato fuori città e che avesse sprangato le finestre per custodire il denaro, entrarono con violenza spaccando una piccola apertura, portarono via il denaro e uccisero l’astrologo, timorosi che gridasse o li accusasse 28..

Di fronte a tali episodi Campanella non nasconde le proprie perplessità. Ma non può che ribadire la sua generale fiducia nella possibilità di evitare le minacce del fato, pur consapevole che l’uomo è sì «libero nel volere e disvolere, ma non nell’operare, se non quando egli stesso è la causa totale dei propri effetti». Nonostante i margini ridotti della sua libertà, e anche se non ci sono rimedi contro l’intera serie causale del fato, l’uomo deve fare tutto quello che è in suo potere fare, «con la mente e le mani», al fine di evitare il male, e facendo ricorso a una prudenza che risulti in accordo, e non in contrasto, con la sapienza divina.

 

3. L’Apologetico in difesa del De fato

 

Sullo scorcio del 1629 l’opuscolo sul fato siderale vide la luce annesso ai sei libri degli Astrologicorum, in una stampa presso i fratelli Prost a Lione. Quando il volume giunge a Roma, oltre che suscitare grande scalpore, scatena la furiosa ira del papa, che si vede compromesso in pratiche considerate superstiziose, ciò che induce un grave stato di prostrazione in Campanella. Superata la crisi, egli si affretta a respingere con sdegno ogni responsabilità nella pubblicazione dell’opuscolo, attribuendola a un vero e proprio complotto ai suoi danni da parte dei due suoi più malevoli e potenti avversari, i confratelli Nicolò Ridolfi comunemente noto come “padre Mostro”, e Nicolò Riccardi, al fine di screditarlo agli occhi del pontefice, ed alienargli la benevolenza che aveva acquisito presso di lui, impedendone la nomina, che era nell’aria, a qualificatore del Sant’Uffizio (29).
In seguito a tali vicende, Campanella si dev e difendere dalle accuse, oltre che di stampa non autorizzata, di eresia e superstizione. Riguardo alla prima imputazione, la respinge negando ogni iniziativa personale. Per discolparsi dal secondo capo d’accusa, si afffretta a stendere un Apologeticus in difesa dell’opuscolo, inviandolo a due censori che lo giudicheranno immune da superstizione (30). In queste pagine egli intende mostrare come le pratiche suggerite nelle pagine del De fato non vadano intese come un rito cerimoniale superstizioso, bensì come un rimedio integralmente naturale, che non comporta alcun patto demonico, né tacito né espresso. Ma se Campanella ha buon gioco nel richiamare la necessità di purificare ambienti e aria infetti, secondo quanto raccomandano i medici e Ficino nel Consilio contro la pestilenza, deve in seguito fare ricorso a tutta la propria dottrina per rispondere a obiezioni più insidiose, riguardanti le virtù dei numeri, il valore simbolico della rappresentazione, i poteri delle immagini.
Per quanto riguarda i numeri, Campan ella precisa che nessun concilio si è mai pronunciato in merito alle dottrine pitagoriche che attribuiscono specifiche virtù ai numeri, per cui, indipendentemente dal loro valore di verità, non esistono divieti in proposito. Poiché poi la Scrittura, secondo il citatissimo versetto della Sapienza, proclama che Dio fece ogni cosa «in numero, peso e misura», è del tutto naturale ritenere che la scansione numerica sia presente in ogni aspetto del creato, e che anzi sia proprio essa a rendere possibile la distinzione dei singoli enti dalla congerie indifferenziata del caos. Sempre nelle Scritture, è poi assai frequente il ricorso a simbologie numeriche, con particolare attenzione per il settenario – basti pensare al vorticoso turbinio dei sette angeli, ampolle, tuoni, trombe, sigilli dell’Apocalisse; del pari copiosi sono i riferimenti ai misteri dei numeri nei testi dei padri, da Origene a Gerolamo ad Agostino a Riccardo di San Vittore, e Campanella non esita a fare ricorso a tutta la propria erudizione per esibi re quella che Walker dice «a formidable list of patristic authorities for the power and vitues of numbers» (31). Fra gli autori recenti si sono soffermati sul valore mistico del settenario, Campanella ricorda il medico fiammingo Cornelio Gemma, autore del De arte ciclognomica, e l’udinese Fabio Paolini, professore di greco a Venezia e accademico uranico, autore di un curioso trattato intitolato Hebdomades, i cui sette libri consistono in una dottissima, vertiginosa variazione sulla teologia orfica e il valore del settenario, prendendo spunto da un verso dell’ Eneide (32).
Che poi le fiaccole da accendere debbano essere proprio sette, deriva ovviamente dal fatto che sette sono i pianeti. Il che non significa che si tratti di un rito superstizioso o di una vana osservanza, bensì di una specifica imitazione del cielo, in conformità ai testi biblici, che spesso prescrivono la riproduzione di modelli esemplari. A questo proposito, Campanella ricorda l’arcano valore simbolico dei paramenti sacerdotali di Aaron e del tabernaculum mosaico, richiamandosi in particolare al testo che è una delle fonti privilegiate delle sue conoscenze sulla cultura ebraica, la Bibliotheca sancta di Sisto da Siena, il domenicano di origini ebree convertitosi al cattolicesimo. Se la tripartizione del tabernaculum in atrio, stanza santa e Sancta sanctorum è una trasparente allusione alla tripartizione dei mondi sublunare, celeste e divino, i singoli capi delle vesti del sommo sacerdote, i loro colori, i loro ornamenti e le pietre che le decoravano, avevano un potente valore simbolico, raffigurando tutto il mondo contratto. Oltre ad esercitare una particolare efficacia, tali paramenti, al pari di altri oggetti simbolici, richiedono, secondo Sisto, uno specifico tipo di spiegazione, quella «sciographica», nella quale risulta essenziale la riproduzione di un’immagine che ponga sotto gli occhi cose che non si possono esprimere in modo adeguato con le sole parole. Oggetti come l’arca di Noè, il tabernacolo, il tempio di Salomone si comprendono male e a fat ica senza la figura, mentre grazie alla loro rappresentazione «apprendiamo con un solo sguardo molte più cose che con una lunga e complessa lettura di commenti: infatti si apprende molto più e in modo di gran lunga più distinto e si tratttiene più tenacemente nella memoria ciò che si coglie con gli occhi che ciò che si percepisce con le sole orecchie» (33).
Ma anche accettando il valore rappresentativo delle sette fiaccole, qualcuno potrebbe sempre richiedere che si specifichi in modo più preciso di che genere di virtù esse risultino dotate. Campanella risponde a questa ulteriore obiezione affermando che, oltre alla virtù simbolica e mistica di cui si è detto, si può anche affermare che le sette torce acquisiscano dagli influssi dei sette pianeti una «vis physica», e per sostenere questo punto non esita ad affrontare la delicata questione delle immagini astrologiche. Già Ficino, nelle pagine più discusse e problematiche del De vita coelitus comparanda, per sostenere la liceità delle immagini e giustificare la loro efficacia, aveva fatto appello allo Speculum astronomiae di Alberto Magno e a testi, più sfumati e cauti, di san Tommaso (34). Campanella non solo ripropone tali autorità, ma fa anche appello a un’abilissima pagina di commento del Gaetano alla Summa tomista. In quella pagina il commentatore riesce, con uno sforzo ermeneutico davvero ammirevole, a mostrare come talune affermazioni dell’Aquinate sulle immagini che sembrano fra di loro in contrasto risultino in verità conciliabili, e come il passo della Summa che a una lettura superficiale sembrerebbe negare alle immagini qualsiasi efficacia derivata dalle stelle, in verità vada interpretata sotto una diversa luce. Tenendo presenti tutta una serie di distinzioni e di precisazioni, egli giunge a concludere che le immagini astronomiche, purché prive di caratteri, non risultano condannabili (35). Per suffragare l’affermazione che non solo gli enti naturali sono dotati di virtù e disposizioni originarie, ma lo possono essere anche i prodotti dell’arte umana, Campanella fa appello alle recenti scoperte sul magnetismo, a Giambattista Della Porta, e soprattutto al testo di Gilbert, che rilevava come le barrette di ferro e i chiodi costruiti dal fabbro si orientano verso quella direzione verso la quale sono stati fabbricati: come si può constatare ponendoli a galleggiare su un sughero, essi tenderanno ad assumere una propria specifica direzione, dipendente dall’orientamento ricevuto al momento della loro formazione.

 

4. La Disputatio sulle bolle contro le dottrine divinatrici

 

I due opuscoli si collocano su uno sfondo inquieto, in cui le aspettative e le previsioni per la morte del papa si intrecciano con oscure manovre per affrettarne la fine. Nonostante dicerie un po’ ciniche affermassero che il dolore di Urbano per la morte del fratello Carlo nel febbraio 1630 fosse stato in parte alleviato dalla speranza che il maligno influsso celeste si fosse “scaricato” colpendo un altro membro della famiglia, le voci sulla sua morte, anziché sopirsi, si fecero più insistenti. Al punto che, come si è ricordato, in giugno si presentarono a Roma i cardinali spagnoli, seguiti da quelli francesi e tedeschi, come se dovessero prendere parte a un conclave imminente. Al culmine dell’esasperazione, di lì a due settimane Urbano ordina al governatore di Roma di istituire un processo contro don Orazio Morandi, abate del convento di Santa Prassede, uno dei centri più attivi della propaganda astrologica e luogo di incontro di quei personaggi in cui la passione per l’astrologia andava di pari passo c on le trame del potere, al fine di smantellare una volta per tutte il reticolo di conciliaboli e trame che gravitava attorno all’abate (36). Incarcerato, il Morandi, «homo di molte lettere, amato da molti, e dal papa stesso», la cui cultura era testimoniata d a una ricchissima biblioteca, e amico fra gli altri di Galileo, morirà all’inizio di novembre. Nonostante il medico del carcere attestasse la morte naturale, seguita a una violenta febbre, immediate voci lo dissero morto di veleno propinato in una vivanda, al fine di risolvere in modo sbrigativo un caso alquanto delicato, ed evitare a un personaggio con amicizie tanto altolocate il disonore della pena capitale.
In questo clima saturo di sospetti e oscure manovre, nell’aprile del 1631 papa Urbano VIII promulga la severissima bolla Inscrutabilis, che, vietando ogni tipo di divinazione e minacciando pene severissime, dalla confisca dei beni alla condanna capitale, agli autori di predizioni riguardanti la vita del papa e dei suoi familiari, intendeva porre fine, una volta per tutte, a oroscopi negativi sulla su a persona e i suoi parenti. La bolla veniva a confermare e inasprire la Coeli et terrae Creator che, promulgata da Sisto V del 1586, metteva al bando ogni dottrina divinatrice, proclamando solennemente che l’uomo non può presumere di elevarsi alla conoscenza degli eventi futuri, riservata esclusivamente a Dio, al cui solo sguardo ogni cosa è «nuda e aperta» (37). La fiduciosa affermazione dell’uomo fatto a «immagine e somiglianza di Dio», che pur con diverse modulazioni aveva caratterizzato l’umanesimo e aveva attraversato buona parte del secolo sedicesimo, per sottolineare la dignità e l’eccellenza dell’uomo, subiva un drastico ridimensionamento. Fin dalle prime righe il documento ammoniva «questo superbo anima le», affinché «non s’innalzasse nel suo sapere, ma temesse e prostrato a terra adorasse l’immensa maestà del suo fattore», ricordandogli che Iddio «riserbò a sé solo la scienza delle cose ch’hanno a venire e la cognitione delle future». Di qui la dura condanna di tutte le arti divinatrici, delle quali si traccia un quadro pittoresco e impressionante, e che vengono accomunate nell’accusa di superstizione e nel pericolo di intervento diabolico. Il dubbio onore di aprire l’elenco delle dottrine illecite spetta all’astrologia, alla quale non è riservato alcun trattamento di riguardo, ma che, posta sullo stesso piano del lancio delle sorti o delle evocazioni del demonio negli specchi e nelle caraffe piene d’acqua, viene condannata come uno dei prodotti più deleteri della superbia dell’uomo.
L’Inscrutabilis, mentre conferma la condanna di ogni genere di divinazione, estende i divieti, inasprisce le pene per i colpevoli, accentua la gravità di fare o anche solo tenere presso di sé pronostici riguardanti il papa e i suoi familiari fino al terzo grado (38). Allarmato anche per le possibili ripercussioni negative sui propri scritti, già oggetto di censure e critiche, Campanella scrive una ingegnosa e contorta Disputatio, che, sotto l’apparenza di replicare alle critiche d i ipotetici avversari della bolla, fa di tutto per fornirne un’interpretazione mitigata.
Composto fra il 1631 e il 1632 (39), l’opuscolo vedrà la luce a Parigi nel 1636, non a caso insieme con l’ Atheismus triumphatus, che a pochi mesi dall’edizione di Roma del 1631, cui era approdato dopo un itinerario travagliatissimo, era incappato anche nello scoglio astrologico. Poche righe del capitolo XIV, in cui l’autore affermava che l’approssimarsi di una profonda riforma spirituale e del rinnovamento della chiesa era confermato anche dalle configurazioni celesti, erano bastate a far porre il libro sotto sequestro. Nella Disputatio Campanella intende in primo luogo contrapporsi all’interpretazione restrittiva propugnata dal Riccardi, allora maestro del Sacro Palazzo, in base alla quale il divieto nei confronti delle arti predittive non avrebbe riguardato solo la possibilità di redigere o tenere presso di sé pronostici, ma avrebbe coinvolto la possibilità stessa di citarli anche solo per confutarli e controbatterli. Oltre a respingere la rigida interpretazione del padre Mostro, Campanella è costretto ad affrontare e chiarire tutta una serie di problemi riguardanti l’astrologia e la divinazione, e lo fa utilizzando strategie argomentative e tecniche retoriche molto sottili. Nella Disputatio, che si presenta come un documento in difesa delle due bolle, Campanella, mentre espone e replica alle obiezioni degli avversari, mostra al tempo stesso che sarebbe disastroso offrirne un’interpretazione troppo rigida e si propone di enunciarne una interpretazione corretta, scartando ciò che non risulta più difendibile, ma cercando di salvare il salvabile entro margini divenuti ormai strettissimi.
Entro la struttura formale della disputatio o quaestio altre volte utilizzata per affrontare questioni alquanto delicate – basti pensare all’ Apologia pro Galileo –, il quesito che viene sottoposto a discussione è quello se le bolle risultino passibili di critiche. Gli argomenti d’esordio elencano le possibili obiezioni, a cui si darà risposta dopo avere enunciato i principi su cui basare le repliche. I critici delle bolle sostengono che la condanna papale è ingiusta e nociva, in considerazione dell’innegabile utilità dell’astrologia e del suo status di scienza, in quanto procede sulla base di cause, di effetti e di segni. Il terzo argomento sottolinea come il pontefice, con la messa al bando delle arti divinatorie, si mostri più severo contro gli astrologi che contro gli eretici, e il quarto rileva che, se non è stato illecito collegare la nascita di Cristo alle stelle e delinearne l’oroscopo, a maggior ragione sarà lecito compilare oroscopi di uomini comuni, tanto più fortemente sottoposti alle stelle. Le obiezioni conclusive stigmatizzano il fatto che la bolla proibisca non solo le previsioni certe, ma anche quelle congetturali, nonché la possibilità di citare testi astrologici anche al solo fine di confutarli: proibizioni che comporterebbero una revisione di molti testi scritturali e di molte autorità dei padri, degli scolastici, dei concili.
Nel rispondere alle obiezioni conclusive Campanella non incontra grandi difficoltà, e non esita a far sue le obiezioni mosse contro la bolla, sostenendo apertamente che l’interpretazione rigida e restrittiva perorata dal padre Mostro è del tutto abusiva e risulta inaccettabile, in quanto non solo è in evidente contrasto con autorevoli posizioni della tradizione, e con passi stessi della Bibbia, ma «lega le mani dei soldati di Cristo mentre scioglie e arma la mani dei soldati del diavolo». Le risposte alle obiezioni d’esordio risultano invece più ardue e lo costringono, in primo luogo, a precisare in che senso ed entro quali limiti vada intesa la “scientificità” dell’astrologia. In via preliminare egli distingue due ordini di enti. Il primo è quello degli enti fisici, alla cui origine e composizione collaborano una serie di cause, governate dall’Idea divina, che utilizza in veste di coadiutori e strumenti gli angeli, i cieli, gli elementi: la costruzione di una chiave o di un’arma dipende in prima istanza dal l’idea dell’artefice, che quindi si serve degli elementi e degli strumenti idonei per la realizzazione dell’oggetto. Il secondo livello è quello della mens umana, che è al di sopra dell’ordine elementare, in quanto essa, al contrario di ogni altro ente, non è prodotta dall’azione di una serie di cause, ma è immessa nel corpo da Dio, direttamente e senza mediazione alcuna. Nei suoi confronti i cieli e gli elementi non possono esercitare un’azione diretta, ma possono agire indirecte, nella misura in cui essa risulta collegata alle parti vegetative e sensibili del corpo (40).
La mente, ed essa soltanto, è il luogo delle scelte morali, connesse con la libertà dell’arbitrio. Se le inclinazioni, i temperamenti, le caratteristiche fisiche degli individui sono innegabili, e innegabilmente dipendono, fra le altre cause, anche dai cieli, come mediatori ed esecutori dell’idea divina, all’uomo, e solo a lui, spetta di consentire o deviare da tali tendenze e propensioni naturali, ed è proprio in tale possibile scarto dalle sollecitazioni sensibili – che tutti gli altri esseri non possono invece non assecondare – che consiste la libertà, una delle prerogative che con maggior forza caratterizzano la diversità e la peculiarità dell’uomo rispetto agli altri animali
Da tali premesse si deduce che si possono formulare previsioni certe e «in via dimostrativa» solo per eventi di ordine fisico e generale, come, ad esempio, sull’avvicendarsi delle stagioni. Riguardo agli eventi, sempre fisici, ma particolari, che ne possono conseguire con ragionevole regolarità, si possono formulare previsioni congetturali: per esempio, che da particolari condizioni climatiche e ambientali conseguano «la siccità, e le ire, tristezze, allegrie, stupefazioni, malattie, carestia e abbondanza». Ma dei futuri contingenti, che riguardano le scelte volontarie umane, non è possibile scienza alcuna, né certa, né congetturale. Campanella ricorre con perizia alla terminologia scolastica ( per se, per accidens, directe, indirecte ) per operare una serie di distinzioni molto sottili sul terreno minato del delicato rapporto fra passioni e libero arbitrio, del difficile e precario equilibrio fra condizionamenti corporei e scelte morali e razionali (41).
Passando poi a rispondere alle obiezioni, afferma che, quando si parla dell’astrologia come una delle scienze utili, si allude a quella fisica, cioè a quella dottrina che fa previsioni riguardo ad eventi che dipendono da cause esclusivamente fisiche, quali «le piogge, i venti, le passioni del mare e delle piante», dottrina che in qualche caso può diventare anch’essa congetturale – al tempo stesso può piovere nella città di Roma ed essere sereno nei sobborghi – e che è concessa anche dal papa per quanto riguarda l’agricoltura, la medicina e la navigazione. La bolla vieta l’astrologia superstiziosa, che opera indebite deduzioni riguardo agli eventi morali e soprannaturali, procedendo non da vere cause, o veri effetti, o da segni posti dalla natura o da Dio, errando di un triplice paralogismo. In primo luogo gli astrologi peccano di petizione di principio, pretendendo che «venga loro concesso, senza nessuna prova scientifica da loro dimostrata (anzi, c’è discordia fra di loro), quel che suppongono delle case, delle esaltazioni, dei trigono, delle direzioni, degli afeti, dei luoghi afetici», sul modo di stabilire l’ascendente. In secondo luogo sbagliano operando un passaggio indebito del per accidens al per se, come quando presumono di fare previsioni per le scelte morali. In terzo luogo sono in errore quando procedono da una non causa e non segno come se si trattassero di vera causa e di vero segno.
Il discorso sui segni risulta del più alto interesse. In linea generale, per Campanella essi possono essere razionali, vale a dire stabiliti dagli uomini, o naturali, e costituiscono un linguaggio senza dubbio molto importante, ma non sempre di agevole decifrazione. Nella Disputatio, il discorso sui segni riguarda non tanto l’astrologia, quanto la folla delle dottrine divinatorie che su di essa pretendono di fondarsi, e a proposito delle quali Campanella sembra oscillare fra la tentazione di liberarsene, come di una zavorra ormai indifendibile, e quella di salvare almeno taluni aspetti di dottrine a lui care e da lui praticate. Pertanto anche a questo proposito preferisce operare delle distinzioni anziché condannare in blocco. Da un lato manifesta tutte le sue perplessità per dottrine quali la geomanzia, l’idromanzia, la piromanzia, o in genere quelle che, basate su segni arbitrari, senza alcun fondamento naturale, si pongono quali obiettivi richieste e interrogazioni futili, e proprio a causa di tale inconsistenza, scaturita da una vacua curiositas, corrono il rischio che nelle loro pratiche intervenga il demonio (42). Diverso è il discorso per dottrine quali la fisiognomica, la chiromanzia, la metoscopia, che fanno riferimento a segni naturali e si appellano a una diligente e seria studiositas. Nel gran libro della natura nessun segno, neppure minimo, è posto a caso o risulta inutile, ma ognuno ha un significato: i dubbi e le incertezze derivano dall’estensione e dall’interpretazione del significato dei segni stessi (43).

Quanto alla natività di Cristo, Campanella insiste nel considerare l’evento come soprannaturale, non sottoposto all’ordine consueto della natura. La stella che l’annunciò non era natur ale, come lo erano invece la stella del 1572, che era stata al centro di un ampio dibattito, registrato da Tycho Brahe, o la cometa del 1618, che Campanella stesso, pur ancora rinchiuso in Castel Nuovo, aveva avuto l’opportunità di osservare (44). Sottolineando che molte profezie si sono dimostrate fallaci, come quella dell’avvento di un «sovrano del nord», identificato nel re svedese Gustavo Adolfo (45), egli osserva poi che i più famosi oroscopi di Cristo, delineati da Cecco d’Ascoli, Alberto Magno, Albumasar e più recentemente da Cardano (46), non evidenziano affatto gli aspetti eccezionali del Messia. Gli oroscopi restano leciti solo in ambito medico, al fine di venire utilizzati nella diagnosi e cura delle malattie, insistendo nel precisare che non c’è alcuna certezza riguardo al momento della morte, che può essere ritardato o evitato grazie a rimedi di varia natura.
La terza obiezione denunciava come la b olla perseguisse con maggior severità gli astrologi che gli eretici, inducendo in tal modo il sospetto che il papa avesse a cuore la propria tranquillità personale e quella dei suoi parenti più che la fede e il culto divino. Campanella non resta insensibile a tale insinuazione, ma, pienamente consapevole a sua volta che la messa al bando dell’astrologia è anche di natura politica, controbatte spostando il discorso dal piano della verità a quello dell’utilità. Il padre comune, in quanto principe prudente, ha il diritto di vietare non solo le dottrine false, ma anche quelle pericolose, in grado di provocare turbamenti sociali analoghi a quelli dell’anno precedente, quando pronostici vani e superstiziosi riguardanti il papa e la chiesa, spregiudicatamente diffusi e utilizzati presso i politici e i potenti, avevano suscitato gravi disordini:
Ma il pontefice proibisce i pronostici sulla vita e la morte dei pontefici e sulla stato della chiesa, per entrambi i motivi, non a vantaggio proprio o dei suoi, ma della repubblica. Nessuno infatti ignora quanti turbamenti sono sorti l’anno scorso dalle vane prediz ioni degli astrologi e dalle dicerie dei superstiziosi pronosticatori su lla vita del pontefice e dello stato della chiesa, e quanti sollevamenti di animi, e depressioni, e quanti preparativi e progetti di cose nuove, e che i sacri principi vennero a Roma per questo, e c ome i potenti male affetti sono soliti fare, ricorrendo anche a false profezie, agitarono gli animi del popolo ed eccitarono sedizioni e guerre e scismi (47).

La bufera che investe l’astrologia segna il tramonto di un’epoca. Le cupe trame romane che si annodano attorno a un’astrologia degradata a strumento di potere; la spregiudicata manipolazione di passioni e timori; i richiami alle profezie pseudo - gioachimite sui pontefici e il loro intrecciarsi a riti sacrileghi e a visioni di sante e pinzochere sono cose tutte assai lontane dalle prospettive di una luminosa «aurea età felice». Se negli ambienti in cui vive Campanella viene tacciato di ingenuità e di goffaggine; se lo smaliziato Naudé gli rimprovera di non sapere come gira il mondo, Campanella in verità lo sa fin troppo bene, ed è proprio per questo che non si stanca di suggerire i modi per porre rimedio ai mali che affliggono l’umanità. Pur minacciato dagli eventi che rischiano ancora una volta di travolgerlo, e che lo indurranno a trovare rifugio e scampo in terra francese, Campanella riesce a conservare «il sapore e l’amore della verità» (48).
Nell’Ecloga che celebra la nascita del Delfino, mentre lo esorta a edificare la Città del sole, annuncia ancora una volta l’approssimarsi di un età nuova di pace e prosperità, nella quale esuleranno «l’empietà, le frodi, le menzogne, le liti» e i sovrani apprenderanno a governare per il bene del popolo (49) e nell’ultima revisione del suo testo più famoso, quella Civitas Solis in cui le corrispondenze fra cielo e terra giocano un ruolo primario, egli aggiunge un lunga digressione, proprio per rispondere alle perplessità dell’Ospitalario, cui pare che i Solari «nimis astrologizant». Ribadita la piena liceità filosofica dell’astrologia, e ricordati i diversi livelli di causalità e i limiti dei condizionamenti delle stelle, il Genovese non esita ad accennare con orgoglio all’invenzione da parte dei Solari di un mirabile rimedio contro i pericoli astrali, che sono gli stessi precetti enunciati nel De fato. Quando incombono eventi celesti minacciosi, essi suggeriscono di ricreare un luogo chiuso, separato e protetto, una stanza dalle pareti bianche, nella quale aromi, musiche gioviali e liete conversazioni contrastino i semi infetti che si diffondono all’esterno, e l’accensione di sette fiaccole riproduca un cielo privato, un domestico teatro del mondo (50). La pur rapida descrizione è così convincente che l’interlocutore non può che riconoscerne l’utilità e ammirarne la sapienza, suscitando quasi l’impressione che la città tutta sia quella stanza separata e protetta, antidoto contro il male e le forze distruttive.


 


 

1. T. Campanella, Del senso delle cose e della ma gia, a cura di A. Bruers, Laterza, Bari 1925, p. 316.

2. T. Campanella, Lettere, a cura di V. Spampanato, Laterza, Bari 1927, p. 134.

3. Per il rabbino Abramo, cfr. L. Amabile, Fra T. Campanella, la sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, Morano, Napoli 1882, III, pp. 281 -83. Sull’oroscopo di Campanella, v. O. Pompeo Faracovi, Sull’oroscopo di Campanella, in «Bruniana & Campanelliana», 1997, n. 3, pp. 245-263.

4. Per i rapporti con il circolo dei Della Porta, resta a tutt’oggi fondamentale il contri buto di N. Badaloni, I fratelli Della Porta e la cultura magica e astrologica a Napoli nel ’500, in «Studi storici», 1959 -60, n. 1, pp. 677-711 (ora in Idem, Inquietudini e fermenti di libertà nel Rinascimento italiano, Edizioni ETS, Pisa 2005, pp. 93-126).

5. Ivi, p. 679.

6. T. Campanella, Dichiarazione di Castelvetere, in L. Firpo, I processi di T. Campanella, a cura di E. Canone, Salerno editore, Roma 1998, p. 102.

7. T. Campanella, La città del Sole – Questione quarta sull’ottima repubblica, a cura di G. Ernst, Rizzoli, Milano 1996, p. 94.

8. Cfr. T. Campanella, Articuli prophetales, a cura di G. Ernst, La Nuova Italia, Firenze 1977, pp. 260 -300. Il Prognosticum pertanto non andrà più annoverato fra gli opuscoli perduti, secondo quanto registrato in L. Firpo, Bibliografia degli scritti di Tommaso Campanella, Tipografia V. Bona, Torino 1940, p. 186.

9. T. Campanella, Sonetti alcuni profetali, in Id., Le poesie, a cura di F. Giancotti, Einaudi, Torino 1998, pp. 232-237.

10. T. Campanella, Articuli prophetal es, cit., p. 290; Id., Lettere, cit., p. 169.

11. T. Campanella, Lettere, cit., pp. 177-78. Per i rapporti con Galileo su questioni astrologiche, cfr. G. Ernst, Aspetti dell’astrologia e della profezia in Galileo e Campanella, in P. Galluzzi (a cura di), Novità celesti e crisi del sapere, Giunti, Firenze 1983, pp. 255 -266 (poi in Ead., Religione, ragione e natura. Ricerche su Tommaso Campanella e il tardo Rinascimento, FrancoAngeli, Milano 1991, pp. 237 -254).

12. T. Campanella, Astrologicorum libri, in Id., Opera latina Francofurti impressa annis 1617 -1630, a cura di L. Firpo, Bottega d’Erasmo, Torino 1975, II, pp. 1091, 1096.

13. Ivi, p. 1091.

14. Cfr. T. Campanella, Lettere, cit., pp. 282-295.

15. Ivi, p. 284.

16. Ivi, p. 287. Per satellizio si intende un eccezionale accumulo di pianeti in uno stesso segno. L’accumulo di pianeti attorno al sole nel Medium coeli è considerato da Tolomeo, Tetrabiblos, IV, 3, un aspetto astrologico particolarmente positivo e fautore di successo: cfr. Claudio Tolomeo, Le previsioni astrologiche, a cura di S. Faraboli, Mondadori, Milano 1985, pp. 297 -98.

17. Nella IV parte dei suoi Astronomiae instauratae progymnasmata (in Opera omnia, a cura di J.L.E. Dreyer, t. III, Hauniae 1916, pp. 308 ss., 405 ss.) Tycho Brahe (1546 -1601) aveva vaticina to l’avvento di un «sovrano del Nord», che qualche decennio dopo venne identificato con il re di Svezia Gustavo Adolfo (1594-1632). Ma se le sue strepitose vittorie in Germania contro gli eserciti imperiali avevano favorito tale identificazione, la sua mor te nella pur vittoriosa battaglia di Lützen il 16 novembre 1632 aveva poi smentito le profezie.

18. T. Campanella, Lettere, cit., pp. 287-88.

19. Ivi, p. 288. Per l’arrivo dei cardinali, cfr. L. Amabile, Fra T. Campanella ne' castelli di Napoli, in Roma e in Parigi, Morano, Napoli 1887, I, p. 379.

20. L. Amabile, Fra T. Campanella ne' castelli, cit., I, pp. 325 ss.; II, doc. 203, p. 148.

21. Il testo latino dell’opuscolo, con tr. it. a fianco, in T. Campanella, Opuscoli astrologici, cit., pp. 63-133.

22. Cfr. T. Campanella, Città del Sole, cit., p. 92; Quaest. phys., XLIX, 1, in Disputationum in quatuor partes suae philosophiae realis libri quatuor, D. Houssaye, Parisiis 1637, p. 474.

23. T. Campanella, Come evitare il fato astrale, in Opuscoli astrologici, cit., p. 89.

24. D.P. Walker, Spiritual and demonic Magic from Ficino to Campanella, The Warburg Institute, London 1958, pp. 203-236; cfr. ora la traduzione italiana Magia spirituale e magia demoniaca da Ficino a Campanella, a cura di R. Bargemihl – A. Mercurio, Nino Aragno, Torino 2002.

25. Cfr. Seneca, Oedipus, V, 996 s.; G. Firmico Materno, Matheseos, I, VII, 14; Valerio Massimo, Facta et dicta memorabilia, IX, 12.

26. Su Cocles (1467 -1504), autore della Chyromantiae et physionomie Anastasis, che vide la luce l’anno stesso della sua morte, cfr. L. Thorndike, A History of Magic and Experimental Science, Columbia University Press, New York 1923 -58, V, pp. 49-65; VI, p. 146 s., 163 s., e la voce di R. Zaccaria in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 37, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1989, pp. 302 -306.

27. L. Thorndike, History, cit., V, p. 155; VI, p. 121.

28. Come evitare il fato astrale, cit., p. 127. Negli Elogi degli uomini illustri anche il Tomasini si sofferma sulla tragica fine del Nabod, dopo av erne tracciato una sintetica biografia, deplorando il feroce delitto rimasto impunito e attribuito dalle voci popolari all’invidia di chi si sentiva superato in perizia dall’astrologo: cfr. I. Ph. Tomasini, Illustrium virorum elogia, apud Donatum Pasquardu m, Patavii 1630, pp. 181-184.

29. T. Campanella, De libris propriis et recta ratione studendi syntagma, I, 4, in Tommaso Campanella, a cura di G. Ernst, Introduzione di N. Badaloni, Il Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1999, pp. 390-391; Id., Lettere, cit., p. 286. La vicenda della stampa presenta aspetti non del tutto chiariti. Firpo, che era anche un appassionato e competente bibliofilo, offre una attenta ricostruzione delle quattro edizioni degli Astrologicorum che si susseguirono fra il 1629 e il 163 0: cfr. La stampa clandestina degli «Astrologicorum libri», in Ricerche campanelliane, cit., pp. 155-169. Francesco Grillo sostiene che la prima edizione ebbe luogo a Roma, presso l’editore camerale Brugiotti: cfr. Questioni campanelliane. La stampa fraudolenta e clandestina degli « Astrologicorum libri», Cosenza 1961.

30. T. Campanella, Syntagma, I, 4, in Tommaso Campanella, cit., pp. 390-391.

31. D.P. Walker, Spiritual and demonic M agic, cit., p. 222.

32. Per il Paolini, cfr. ivi, pp. 126 -144.

33. Sisto da Siena, Bibliotheca sancta, Lugduni 1575, p. 184 s.

34. Cfr. M. Ficino, Sulla vita, a cura di A. Tarabochia Canavero, Rusconi, Milano 1995, p. 251 ss.

35. S. Thomae Aquinatis, Summa theologiae, II IIae, q. 96, art. 2, in Opera omnia, cum commentariis card. Gaetani, ed. Leonina, vol. IX, Roma 1897, pp. 331 -333.

36. Sulla vicenda, oltre al fondamentale e pioneristico contributo di A. Bertolotti, Giornalisti, astrologi e negromanti in Roma nel secolo XVII, in «Rivista Europea», 1878, n. 5, pp. 466-514, cfr. L. Fiorani, Astrologi, superstiziosi e devoti nella società romana del Seicento, in «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 2, 1978, p. 97 ss.; G. Ernst, Dalla bolla «Coeli et terrae» all’«Inscrutabilis». L’astrologia tra natura, religione e politica nell’età della Controriforma, in Religione, ragione e natura, cit., pp. 255-279; Ead., Scienza, astrologia e politica nella Roma barocca. La biblioteca di don Orazio Morandi, in E. Canone (a cura di), Bibliothecae selectae. Da Cusano a Leopardi, Olschki, Firenze 1993, pp. 217-252. Sul Morandi si veda ora il volume di B. Dooley, Morandi’s Last Prophecy and the End of Renaissance Politics, Princeton University Press, Princeton 2002.

37. La traduzione italiana della bolla, a cura del cardinale Paleotti, è riprodotta in T. Campanella, Opuscoli astrologici, cit., pp. 255-264.

38. L’esordio della bolla, in traduzione italiana, ivi, pp. 265 -267

39. T. Campanella, Disputatio contra murmurantes in Bullas SS. Pontificum adversus iudiciarios, in Opuscoli astrologici, cit., pp. 175-241.

40. T. Campanella, Disputatio, cit., pp. 191 s., 205.

41. Ivi, p. 195.

42. Ivi, p. 201 s., 209 s.

43. Ivi, p. 213 ss. Sui segni cfr. T. Campanella, Dialectica in Philosophia rationalis, T. Dubray, Parisiis 1638, p. 489. Negli ultimi anni parigini Campanella fu viva mente sollecitato a scrivere un trattatello di chiromanzia dal cardinale Richelieu: il testo in G. Ernst, Note campanelliane. I. L’inedita “Chiroscopia” a Richelieu, in «Bruniana & Campanelliana», 1995, n. 1,pp. 83- 94: 90-94. Campanella era anche interessato alla grafologia, su cui aveva scritto alcune p agine andate perdute: cfr. Ead., Note campanelliane. II. La perduta «Disputatio contra graphomantum», ivi, pp. 83-101.

44. Dopo la lettura dei trattati raccolti da Tycho Brahe sulla stella nuova in Cassiopea del 1572, Campanella aggiunse un ampio brano alla conclusione del cap. VII degli Articuli prophetales, pp. 75-79, in cui si sofferma sull’interpretazione profetica dell’eccezionale fenomeno celeste. Sulla cometa del 1618 cfr. G. Ernst-L. Salvetti Firpo, Tommaso Campanella e la cometa del 1618. Due lettere e un opuscolo epistolare inediti, in «Bruniana & Campanelliana», 1996, n. 2, pp. 57-88: 66-82.

45. Cfr. supra, nota 17.

46. Girolamo Cardano aveva inserito, nel proprio commento al Quadripartito di Tolomeo, un famoso, criticatissimo (e censurato) oroscopo di Cristo: cfr. G. Cardano, Opera omnia, Lugduni 1663, V, pp. 221 - 222. Sulla questione, cfr. G. Ernst, Religione, ragione e natura, cit., p. 207 ss. Sugli oroscopi di Cristo, cfr. O. Pompeo Faracovi, Gli oroscopi di Cristo, Marsilio, Venezia 1999.

(47) T. Campanella, Disputatio, cit., pp. 219-220.

48. T. Campanella, Come evitare il fato astrale, cit., p. 89.

49. T. Campanella, Ecloga […] in portentosam Delphini nativitatem, in Poesie, cit., pp. 651-653.

50. T. Campanella, Civitas Solis, in Id.,Città del sole, a cura di N. Bobbio, Einaudi, Torino 1941, pp. 160 - 162.