"Atalanta Fugiens Fuga XVI°"

Michaël Maier 1687

 

Secondo Albert Poisson (Théories et Symboles des Alchimistes, pag. 106) il vero athanòr... è una specie di fornello a riverbero che si può smontare in tre parti. La parte inferiore contiene il fuoco; essa è bucherellata per permettere l'accesso all'aria e presenta una porta. La parte media, pure cilindrica, offre tre sporgenze disposte a triangolo su cui riposa la scodella contenente l'uovo. Questa parte è bucata, secondo uno dei diametri, da due buchi opposti, chiusi da dei dischi di cristallo, il che permetteva di vedere cosa succedeva nell'uovo. Infine la parte superiore, piena sferica, costituiva una cupola o riflettore, che riverberava il calore.
Tale era l'athanòr generalmente usato.

Questo testo, che presentiamo ai nostri Ospiti, è un inedito di Arturo Reghini, che lo stesso elaborò nel 1947, destinato forse, il dubbio è d'obbligo giacché in nostro possesso è soltanto una fotocopia della stesura originale senza alcuna indicazione, per la rivista "La Fenicie" che si pubblicava a Napoli.  

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© Arturo Reghini

 

Secondo Albert Poisson (Théories et Symboles des Alchimistes, pag. 106) il vero athanòr... è una specie di fornello a riverbero che si può smontare in tre parti. La parte inferiore contiene il fuoco; essa è bucherellata per permettere l'accesso all'aria e presenta una porta. La parte media, pure cilindrica, offre tre sporgenze disposte a triangolo su cui riposa la scodella contenente l'uovo. Questa parte è bucata, secondo uno dei diametri, da due buchi opposti, chiusi da dei dischi di cristallo, il che permetteva di vedere cosa succedeva nell'uovo. Infine la parte superiore, piena sferica, costituiva una cupola o riflettore, che riverberava il calore.
Tale era l'athanòr generalmente usato.
Martino Ruland nel suo Lexicon Alchemiae (Francoforte 1602) a pag. 76 dice: «L'athanòr, che è filosofico, ed è detto arcano, è forno composto che fornisce all'arcana pietra dei filosofi da elaborare, calore conveniente dove il fuoco non tocca il vaso».
La stessa cosa dice Guglielmo Johnson nel suo Lexicon Chymicum (Cfr. Bilbl. Chem. Mangeti, Tomo I, pag. 280); ed a pag. 226 dello stesso volume egli aggiunge che l'athanòr è anche chiamato athanar.
Ed anche il Guaita (La Clef de la Magie Noire, Paris, 1902, pag. 703) dice che «l'athanòr, o fornello immortale, è così chiamato perché il fuoco deve bruciarvi senza tregua, fino alla perfezione dello elisir».

Per altro, data l'analogia dei fenomeni della natura, e la possibilità e consuetudine di applicare analogicamente uno o più sensi allegorici alle parole ed ai simboli usati in esoterismo, la parola athanòr, applicata all'alchimia spirituale, ha pure un'altro importantissimo significato. «Quando i maestri dell'alchimia, dice Eliphas Levi (Dogme de la Haute Magie, 1861; pag. 254) dicono che occorre poco tempo e poco denaro per compiere le opere della scienza, quando affermano soprattutto che un solo vaso è necessario, quando parlano del grande ed unico athanòr che tutti possono mettere in opera, che è sotto la mano di ognuno, e che gli uomini posseggono senza saperlo, fanno allusione all'alchimia filosofica e morale».

La più antica menzione in alchimia della parola athanòr si trova a quanto ci risulta, negli scritti del grande filosofo ed alchimista Raimondo Lullo (1205-1313) e precisamente nella Elucidatio Testamenti Raimondi Lulli, che si trova anche riportata da Jo. Mangeti a pag. 823 del Tomo I della sua Bibliotheca Chemica (1702).


Il testo integrale può essere consultato in questa stessa sezione:
  Elucidatio Testamenti Raimondi Lulli


Essa è contenuta nel capitolo III di questa elucidazione, che è intitolato Capitolum tertium del Forno; e poiché si tratta di un autore tenuto in alta considerazione dai figli di Ermete e di un brano assai importante soprattutto nel senso dell'alchimia spirituale, ne riportiamo la traduzione.

Del Forno
«Parleremo del nostro forno ma sarà cosa gravissima il riferire il segreto del nostro forno, che gli antichi filosofi hanno celato: imperocché nei nostri libri abbiamo descritto varii forni, quantunque facciamo uso di un unico forno, che si chiama athanòr, la cui interpretazione è fuoco immortale: perché produce un fuoco perdurante sempre ugualmente nel medesimo grado, da principio fino alla fine della nostra pietra, fuoco vivificante e maturante.
Figlio, dai ascolto ai nostri detti, e comprendi che il nostro forno è composto di due parti, bene otturato nella giuntura della chiusura: di cui il congegno è questo.
Il forno si faccia grande o piccolo secondo la quantità della materia; poiché una grande quantità di materia richiede un forno grande, una piccola, a modo di forno distillatorio, col suo coperchietto, abbia appena un unico spiraglio, in modo che il calore del fuoco acceso possa respirare: imperciocché il fuoco della natura questo solo richiede dal forno e niente altro. E la chiusura della giuntura di questo nostro forno viene chiamata sigillo di Ermete e dei sapienti, perché soltanto ai sapienti è noto, e mai da nessun filosofo è stato espresso; ma è riservato in sapienza, quel che nella sua comune potestà custodisce».

Non staremo a commentare questo brano. Riferire il segreto dell'athanòr è effettivamente come dice Lullo, cosa gravissima; anche perché, per i profani è inesprimibile. Alla stessa maniera che è impossibile esprimere che cosa sia la luce in modo intellegibile ad un cieco dalla nascita. Per questa ragione gli alchimisti hanno sempre detto che solamente per mezzo dell'esperienza si può arrivare a conoscere la pietra dei filosofi, e che questo non può avvenire che in grazia all'insegnamento di un maestro e per dono di Dio. Alcuni particolari del brano citato sono per altro assai interessanti, come quello relativo alla respirazione, che effettivamente durante la grande opera si attenua sino al minimo; e possiamo attestare quale fosse la sapienza del Maioricano.
L'interpretazione di athanòr data da Lullo, sopra riportata, corrisponde al risultato principale della grande opera di alchimia spirituale, e corrisponde anche ad una etimologia dal greco immortale, da cui a-thanòr, che è data dal Dictionnaire Universel (Paris, 1866).
Ma ci sembra assai più verosimile e filologicamente corretta l'etimologia che né da il Ragon nella Orthodoxie Maçonnique suivie de la Maçonnerie Occulte et de l'initiation hermétique. (Paris, 1853, pag. 548). «Si chiama athoenor (da tannour, forno, in ebraico), durante l'operazione, e di cui i gradi sono proporzionati alla capacità del fornello e dei vasi ed alla quantità delle materie che contengono».
Ed effettivamente la parola ebraica thannur, che significa fornace, forno e si trova nell'antico testamento, quando sia preceduta dall’articolo ci dà proprio a-thannur.
Da questa antica parola ebraica ed aramaica è venuta poi, secondo il Dozy (Supplement aux Dictionnaires Arabes, Leida 1881) la parola araba at-tannur, cioè at = al = la e tannùr = fornace (cfr. A New English Dictionary del J. H. Murray 1888.).
Nelle Congeries Paracelsicae Chemiae de Trasmutatione metallorum (contenuto nel Vol. I, pag. 571 del Theatrum Chemicum - Ursellis 1602) è detto che il forno è «Athanòr chemico nomine vocatus ab antiquis». Già dal trecento infatti abbiamo trovata questa parola adoperata dagli alchimisti occidentali, i quali la presero, come accade sempre per i termini tecnici, dagli alchimisti ebrei o più verosimilmente da quelli arabi del medio evo.