Per quel che riguarda il senso e il luogo dei precetti contenuti nei Versi d'Oro secondo quanto emerge dalla tradizione ermetico-alchemica é da dirsi che essi possono essere assunti al titolo di un agevole rito iniziale, che non ne esclude nessun altro. Vi sono due vie per giungere a quel distacco, che permette la percezione della realtà sottile e il contatto con le forze occulte delle cose. Armonizzando, ovvero forzando il perfetto equilibrio del corpo e dell'anima, lo stato di giustizia, il sentirsi in pace con se e con gli altri, permette di volgersi in un'altra direzione, a forze sottili dell'anima, che dormono finché si resti fra le azioni, le reazioni e le scosse di una esistenza lottante e preoccupata. Ma è parimenti vero che allo stesso scopo si può giungere per imposizione, agendo direttamente sui limiti interiori dell'anima e infrangendoli; e la via, allora, è libera da precetti morali in senso stretto (quali potrebbe anche desiderarne la piccola e prudente vita degli uomini, e richiede soltanto una sufficiente energia, intrepidezza, facoltà di superamento e di rinuncia. I Versi d'Oro si riferiscono alla prima direzione: per coloro che la eleggono, essi possono costituire dunque una utile preparazione, e a questo titolo li offriamo al nostro visitatore di buona volontà.

I "versi aurei" costituiscono l'essenza dell'insegnamento Pitagorico; essi non sono direttamente riferibili al filosofo, ma costituiscono una "summa" dei dogmi della "scuola italica", messa per iscritto dai Pitagorici che seguirono la via del maestro dopo la morte di quest'ultimo, per istruire coloro che sarebbero venuti dopo di loro. Questi principi erano l'unico strumento che consentiva agli adepti di seguire la via divina e di elevare lo spirito, essenza suprema di ciascun individuo, fino al raggiungimento dell' "estinzione delle sofferenze terrene" per mezzo dell'unione tra lo spirito "individuale" dell'iniziato e Dio, concepito come unica fonte creatrice del tutto.

Il testo che presentiamo è frutto di un lavoro di comparazione con varie versioni in essere.

Le note che impreziosiscono questo lavoro sono di Tikaipos e accompagnavano una traduzione dei versi aurei, apparsa nel 1928. In appendice viene presentato un ampio stralcio dell'opera di Alessandro Farra: “Settenario dell’Humana Riduttione” in Vinegia 1571, nel quale viene sviluppata l'analisi dei simboli usati da Pitagora: "I primi de quali, scrive Iamblico, sono propri della setta Pitagorica; percioché contengono occulti misteri, e introduzione alla divina sapienza. I simboli della seconda specie sono popolari, comuni, e di volgare intelligenza, gli ultimi sono partecipi della prima, e della seconda maniera; perciocché ne in tutto sono volgari, né in tutto Pitagorici".

 

Versi Aurei Pitagorici (Il Testo)

 

Versi Aurei Pitagorici (Le Note)

 

Settenario dell’Humana Riduttione” (1571)