Download "Stipite sinistro basso"

Sullo stipite sinistro, in basso, troviamo il simbolo del Mercurio, Argento Vivo, e l'epigrafe:

 

 

Tramite la purificazione di Latona da parte dell’Azoto e del Fuoco, appare Diana senza veste

 

 

La parte più pesante si separa, e questa è la veste o scoria; l'altra, volatile o fluidica, ossia la parte nuda, priva d'involucro, è il puro fermento argentifero, è Diana, il quarto fermento, ossia la luna.

È questa un'altra descrizione dell'Opera, in cui la purificazione della materia filosofale produce la comparsa dell'argento.

È la purificazione del Purgatorio dantesco che prelude alla venuta di Beatrice (colei che dà beatitudine), è la purificazione prescritta da tutte le fratellanze misteriche.

E affinché non desti meraviglia il misterioso realizzarsi della pietra al bianco (la mistica Iside svelata) a seguito della catarsi della materia prima, diremo, come Beatrice nel Paradiso, che "sarebbe strano che, nettati dagli errori che ci tengono a terra, restassimo ad essa vincolati, senza poter accedere all'Empireo".

Volo superbo descritto da Platone con i suoi cavalli, uno bianco e l'altro nero, uno volto al cielo, l'altro alla terra. Ma attenzione qui non si fa metafisica cosmica, ma microcosmica. Dei, cieli, terra e astri sono in dimensione microcosmica per suggerire elementi e operazioni dell'Arte.

Purificata l'anima dalla miscela, essa abbandona la parte più pesante, la veste, ossia la scoria, mentre la parte volatile, ossia nuda, che è il puro fermento Argento simboleggiato da Diana, annuncia il governo del Sole.

In questa fase si acquisisce la prima chiave descritta da Dante, quella d'Argento.

Questa purificazione è la pratica iniziatica meno gradita alla mente dell'uomo; si preferisce leggere una montagna di libri, magari scriverli, bluffare con se stessi e non compiere l'opera di decantazione della propria coscienza.

La purificazione è la condizione sine qua non per procedere verso la realizzazione finale della grande Opera. Rifacendosi al mito d'Orfeo ed Euridice, Raphaël ci ricorda che «si hanno così tre condizioni [coscienziali] in cui l'iniziando può trovarsi.

L'ultima si presenta quando si intraprende la rettificazione senza qualificazioni adeguate: la subcoscienza comprende ciò e crea false immagini, alibi e altro per stornare l'ignaro aspirante.

È la condizione di alcuni i quali credono di aver effettuato la rettificazione o la soluzione del proprio passato cristallizzato, mentre in realtà vivono di illusioni e di ombre; si credono, ma non sono.

In altri termini, hanno riportato dal mondo infero solo la proiezione mentale del vero se stessi.

La penultima condizione è estremamente penosa perché l'iniziando può avere certe qualificazioni può avere giusta direzione e buona volontà intelligente, ma in lui v'è ancora qualche guardiano della soglia che gli impedisce di volgere veramente le spalle al suo passato, al subconscio individuale e collettivo.

Se si entra nella caverna per riprendere il proprio oro, occorre avere tutta la determinazione, capacità e ardire di non voltarsi: basta un ripensamento, una debolezza, un alibi, una qualificazione con cui si è vissuti per tanto tempo, un filo karmico non interrotto, che l'opus fallisce. Questa condizione viene sperimentata da discepoli che, per quanto ben intenzionati e con buone qualità iniziatiche, non hanno tuttavia portato a fondo il processo della purificazione...

La prima condizione, invece, è di colui che sa riportare la vittoria sulle proprie ombre cristallizzate. L'Euridice incatenata dal tempo-spazio la si deve liberare e portare nell'atemporalità del senza spazio...

Il mito della morte-rinascita è dunque un'esperienza ben precisa la quale deve coinvolgere, più che il semplice emotivo, lo strato coscienziale più profondo; in altri termini, deve coinvolgere l'ente stesso nella sua essenzialità. Solo in tal modo diventa catartico...

Ora, bisogna tener presente un fatto: se il neofita non è pronto perché manca di fuoco, di eros, di aspirazione alla morte-rinascita, l'evento rappresentato non può dare gli effetti dovuti. Se non ci sono l'adeguato combustibile, la coscienza anelante d'identità col Dio e il giusto rapporto con l'atto rituale, questo può diventare una semplice rappresentazione teatrale o folcloristica. Nel momento culminante del rito i mistes qualificati subiscono la rottura di livello dell'io e non solo vedono, ma riconoscono ciò che realmente sono; vale a dire, si riconoscono e si scoprono Dioniso.

In termini Vedanta si può dire che si entra in samadhi. Il rito è forza magica che, se ben compreso e seguito, opera precisi effetti».