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Di Pietro Mancuso

 

La scelta dell'arte regia o alchimia di usare un linguaggio così oscuro e impenetrabile ai più ha generato diversi tentativi di decifrare il suo variegato sistema di simboli, diversi tentativi di fornire le chiavi del suo segreto.

Fra questi si erge una voce autorevole, quella del domenicano Pernety, che continua una tradizione sapienziale che nella chiesa ha sempre trovato degli autorevoli estimatori.

Giuseppe Antonio Pernety nacque a Roanne in Francia nel 1716 e morì a Valenza nel 1801. Giovanissimo entrò nella congregazione Benedettina di S. Mauro. Federico il grande lo richiese quale cappellano nel castello di Sans Souci, nella cui biblioteca completò le sue ricerche sulla filosofia ermetica.

Scrive Pernèty: ''Gli Antichi per adattarsi ai procedimenti che la Natura impiega nella generazione, si trovarono nella necessità di personificare le due parti che compongono l'Universo; e dato che ogni generazione suppone un accoppiamento del maschio e della femmina negli esseri animati, o dell'agente e del paziente nei non animati, si diede a Saturno, supposto animato ed intelligente, un padre ed una madre della stessa specie.
Quindi, è semplicemente in apparenza che supponendo il cielo ch'è sulle nostre teste, e la terra sulla quale camminiamo, quali padre e madre di Saturno, Esiodo ed altri abbiano preteso farci credere che il Cielo e la Terra si siano accoppiati alla maniera degli esseri animati; mentre in effetti questa unione va intesa quale funzione d'agente e paziente, e cioè quale forma e materia; e perciò: il cielo facente funzioni di maschio, e la terra l'ufficio di femmina; il primo come agente che imprime la forma, la seconda come paziente e fornente la materia. Non bisogna dunque immaginarsi che gli antichi abbiano delirato a tal punto da prestare in realtà al cielo ed alla Terra degli organi atti alla generazione degli individui animati''.

L'opera alchemica del Pernety è racchiusa in due voluminose opere ''Le Fables égyptienne et grecques dévoilées et réduites au même principe, avec une explication des hiéroglyphes'' e il ''Dictionnaire mytho-hermétique''.

 Nel 1936 un ermetista italiano, Giacomo Catinella, ha tradotto le ''Fables''. Questa traduzione, col tempo, ha dato luogo a due distinte opere. Pernèty ha dato alla sua monumentale opera di esegesi dell'alchimia una struttura tripartita. Le prime due parti sono racchiuse in un unico grosso volume ''le Fables''. L'esegesi delle favole è preceduta da un trattato sistematico sull'opera ermetica che è stato pubblicato dalle edizioni Rebis di Viareggio con il nome ''La Grande Arte'', le favole vere e proprie sono state pubblicate dai Fratelli Melita Editori sotto il titolo ''Le favole Egizie e Greche''.

 

Questa Opera è consultabile in questa stessa sezione

Le Favole Egizie e Greche

 

Pernety propone una chiave interpretativa della scienza ermetica assai seducente. Le favole, ovvero la mitologia antica sono la cifra con cui il magistero dei saggi ha tramandato il segreto della Pietra dei Philosophi. Traduce il Catinella '' Perciò non v'era altra risorsa che quella dei geroglifici, dei simboli, delle allegorie, delle favole ecc. le quali, essendo suscettibili di parecchie spiegazioni differenti, potevano servire ad ingannare, e ad istruire gli uni, mentre gli altri sarebbero rimasti nell'ignoranza. Fu questa la decisione che prese Ermete, e dopo di lui tutti i Filosofi Ermetici del mondo. Essi dilettavano il popolo con le favole, dice Origene, e queste favole con i nomi degli dei del paese servivano di velo alla loro filosofia.
Questi geroglifici, quelle favole presentavano agli occhi dei Filosofi, e di coloro ch'essi istruivano per essere iniziati nei loro misteri, la teoria della loro Arte Sacerdotale, ed altre differenti branche della Filosofia, che i Greci attinsero presso gli Egizi (pag, 3 la grande arte)''.

Quello che seduce della visione del Pernety sul variegato e lussureggiante mondo della mitologia classica è che i segreti della scienza ermetica ci vengono tramandati non solo nelle opere degli adepti ma proprio nelle composizioni dei poeti e degli storici che, a volte inconsapevolmente, hanno trasmesso sotto la cifra del simbolo i segreti della scienza. In ogni caso l'opera, complessa, monumentale, che il Pernety ha dedicato all'interpretazione delle ''favole'', vuole sempre essere allacciata ai classici dell'arte regia e se da un lato i procedimenti dell'arte gettano luce sulle tenebre del mito, il mito illumina a sua volta proprio i più oscuri passaggi dei testi dell'alchimia. E così le sue “Fable” sono adornate con una miriade di passaggi tratti dai classici come l’Espagnet, il Cosmopolita che a quanto sembra Pernety stimava in particolar modo ma non manca lo scrivano e benefattore Flamel, Ripley, il frate Basilio Valentino, Raimondo Lullo, Arnaldo da Nuovavilla, Mayer, le cui tavole a commento dell’Atalanta Fugiens vengono di frequente citate, si ricordano le conversazioni fra l'eremita Moriano e il re Kalid e quelle della Turba dei Filosifi e accanto ad essi giustappone Orfeo, Esiodo, Ovidio, Virgilio, Plutarco, Platone, Pausania a riprova di come la mitologia ha dato sostanza, linguaggio e dottrina ai Filosofi chimici.