Il testo che si presenta allo studio, è, in origine, una opera xilografica, ed è  un estratto della "Concordanza dei Filosofi" riportato in appendice al volume "Della Trasmutazione metallica sogni tre" di Giovan Battista Nazari e pubblicato in lingua italiana a Brescia nel 1599.

La "Concordanza dei Filosofi", in realtà è un riepilogo tradotto in lingua italiana, di una parte della raccolta dei testi attribuiti ad Arnaldo da Villanova, la maggior parte dei quali pubblicati la prima volta, nel 1550 da Cyriaci Jacobi.

Il "Liber dictus Novum Lumen" era contenuto nel secondo volume di questa pubblicazione del 1550, nota con il titolo: "Artis Auriferae Quam Chemicam Vocant".

La traduzione che viene presentata è, invece, ripresa dal volume "Della Trasmutazione metallica sogni tre" di Giovan Battista Nazari ed è riversato direttamente dall'edizione originale, con gli opportuni piccoli interventi per una migliore leggibilità.

Scarse le notizie sul Nazari del quale non sappiamo praticamente nulla, se non che, forse, fosse Notaro in quel di Brescia e che scrisse diversi trattati di contenuto diverso dall’Alchimia; il volume del 1564 fu seguito dall’edizione del più famoso "Della Tramutatione Metallica Sogni Tre di Gio. Battista Nazari Bresciano; nel primo d’i quali si tratta della falsa tramutatione sofistica; nel secondo della utile tramutatione detta reale usuale; nel terzo della divina tramutatione detta reale Filosofica. Con un copioso Indice per ciascun sogno degl’Auttori, & Opre ch’anno sopra ciò trattato", pubblicata a Brescia nel 1572 per i tipi dei Fratelli Marchetti.

Il testo, che i critici dicono essere in qualche modo ispirato alla Hypnerotomachia Poliphili, narra evidentemente del solito ‘sognar‘ dell’autore, dell’incontro con sapienti (probabilmente il conte Bernardo) e ninfe varie, che lo introducono in scenari estremamente allegorici allo scopo di indicargli la cattiva e la buona via: un classico tòpos alchemico.
Il Nazari, concludendo la narrazione della sua propria costrutta Opera, da vero Missionario, intese integrare i suoi scritti,  con altri elaborati di profondi studi, di ricerca e di sintesi, comprendendone tre sotto lo stesso titolo: "CONCORDANTIA DE FILOSOFI - ET PRATICA FIGURATAMENTE DESCRITTA". "Dove si vede i gradi e termini della pratica di esso divino magisterio, e della verissima compositione della filosofia naturale".
Nel PROEMIO precisa: "Questo libro si chiama Rosario, perché è una cosa fatta breve, tolta da libri de Filosofi. …Si divide questo libro in teorica e pratica, e si divide anco in diversi capitoli. …Ma questo libro io l'ho chiamato Rosario, perché l'ho abbreviato da libri de Filosofi quanto meglio ho potuto, e l'ho diviso in diversi capitoli, in questa arte sono due libri, i quali metterò in capitoli per ordine".
Il NOVO LUME, il testo che di seguito viene presentato, segue immediatamente la "Concordanza".
Nel PROEMIO indirizzando il suo dire ad un generico Padre et Signore Reverendo precisa:"...io rivelerò alla vostra prudenza il desiderato Lapis, ovvero elixir ordinato, e mostrato a me da Dio con la fede secreta d'un huomo da bene, e il suo governo nel modo ch'io l'ho visto, fatto, e tenuto, sapendo che havendo viste, e intese le cose ch'io scrivo, sarà chiaro al vostro ingegno, che io ho conosciuto per voler di Dio il secreto non conosciuto dal vulgo".
A conclusione, del Cap. 9 ultimo, di tutta la Epistola, scrive:
"Adunque Padre non ti meravigliare, se in quest'opera molti errano, perché ti giuro non haver mai visto alcuno, fuor che il mio Maestro, il quale applicasse la sua opera in materia debita, ma si sforzano a cose impossibili nelle materie, come se credessero d'un cane generare un huomo. ...io per l'esperienza che ho visto, intendo gli scritti de sapienti... per la riverenza della tua paternità ho dato fuori questo lume...".
Al precedente aggiunge il " LIBRO CHIAMATO MAGISTERIO Et Allegrezza" che dedica all'Inclito Re d'Aragona, "nel quale si trova la composizione e perfezione del vero eléxir per componere così il bianco, come il rosso, cioè al Sole e alla Luna...".
Termina il Libro del Nazari con "l'EPISTOLA DELL'AUTORE al Re di Napoli, nella quale parla dell'Alchimia". In essa il Nazari confida al Re i secreti più celati per pervenire alla Grande Opera, trattando in maniera particolarmente esplicita la natura della Pietra, il Lapis dei Filosofi, "Lapis dei Sapienti che dicono esser UNO solo, composto di quattro nature …quando il detto lapis stà più nel foco tanto più s'accresce di virtù e bontà .... tutto solo nel foco sempre si migliora, e la sua bontà cresce, e il foco è il nutrimento dello stesso lapis...".
Conclude la sua lettera con la chiara esposizione dei "separandi Ermetici" prodotti dal Fuoco, nei suoi diversi Regimi, in rapporto alla durezza della Pietra, "fin che il detto lapis si faccia bianco e ultimamente rosso", sono le parole terminali sue al Re di Napoli.

Il Nazari in questo libro espande la sua Scienza di Verità Tradizionale, rimarcando al Re esplicite verità Elementari, fondamentali per intendere la Natura Quaternaria Elementare, Cosmica Naturale ed Umana, e soffermandosi in particolar modo sulla MATERIA PRIMA dell'Opera per la "nascita del nostro Lapis, il quale nato si chiama Re dalli Filosofi. ...Honorate il nostro Re, che vien dal foco, coronato di corona...".