del Dott. G. TESTI

 

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© G. Testi

 

 

Anche le origini della alchimia si identificano con quelle della Umanità. Da quando le razze umane fecero i primi tentativi, per migliorare l’alimentazione data loro dalla natura, di estrarre dalle erbe i primi farmaci, di foggiare le armi con il bronzo, di ricavare il vino dalle uve e l’olio dalle olive, da quell’epoca sorse la Chimica antica, ossia quella scienza che gli Arabi chiamarono Alchimia. Essa ha fornito alla Gnosi, alle Arti, a tutte le altre scienze i primi elementi necessari alla loro vita.
Generata interamente dal cervello umano, essa è senza dubbio la più alta prova della capacità dell’Uomo e della evoluzione della Materia che giunge a studiare e a conoscere se stessa.
La moderna critica scientifica ha relegato nel mondo delle ciurmerie e degli imbrogli anche l’Alchimia, ma alcuni profondi studiosi come Marcelin Berthelot, non hanno disdegnato di tributare ad essa i loro studi e la loro ammirazione.
Questa antica filosofia, necessariamente ed opportunamente segreta, è divenuta oggi la filosofia monistica e sintetica e, come dice Berthelot, «riunisce gli antichi processi industriali degli Egiziani con la filosofia dei Greci ed il misticismo dei Caldei; comunque è per noi la madre delle scienze».


Si deve ad essa, se attraverso ricerche spesso vane la mente umana é giunta al concetto della Unità della materia, si deve ai suoi tanti errori, alle sue tante pratiche apparentemente ridicole se questa verità, che possiamo considerare la vera pietra filosofale tanto cercata e bramata, si è definitivamente affermata.
Lo scopo degli alchimisti, filosofi e scienziati nello stesso tempo, era quello di separare i metalli vili dall’oro e dall’argento, di trasformare i primi nei secondi a mezzo della pietra filosofale e di creare un medicinale atta a prolungare la vita: «Elisir di lunga vita»: ma in via principale si proponevano di studiare la materia in tutte le sue molteplici manifestazioni.
Essi erano, generalmente, degli onesti e dotti filosofi, medici, naturalisti, che fecero un gran bene all’umanità e, come accade sempre in tutte le categorie, anche oggi, la loro fama é stata oscurata e disonorata da una minoranza di imbroglioni e di lestofanti.
Noi posteri ci ricordiamo, e volentieri, solo di questi secondi e li confondiamo con i primi, dei quali poco conosciamo ed apprezziamo le grandi scoperte.
Qualche criminale si dedicò effettivamente anche a falsare le monete e lo stesso Dante nel XXIX canto dell’Inferno ci fa trovare tra i falsari questi tali che tentarono di «contraffare la natura»; ma non è giusto far risalire la colpa di taluni alla scienza usata da essi per far del male, come non sarebbe giusto oggi far risalire alla chimica la responsabilità dei moderni falsari, dei moderni (purtroppo molti) adulteratori di alimenti, degli inventori dei gas asfissianti, della bomba atomica, ecc.


Inoltre noi dobbiamo trovare naturale che gli alchimisti dessero un significato eminentemente filosofico ai loro studi; crediamo anzi che questo carattere anche oggi debba essere dato allo studio degli elementi dell’Universo, della loro genesi, mutazione ed evoluzione; fatti questi che entrano indubbiamente nel campo della Chimica.
La critica storica si compiace di attribuire tutte le scoperte geniali ed utili alla scienza moderna e tutte le ciarlatanate alla antica alchimia. Ecco perché ancora oggi si perpetua questa ingiustizia e molti distinguono la Alchimia dalla Chimica e cercano inutilmente il punto di passaggio fra due artificiose divisioni. Questa ricerca è vana perché Alchimia e Chimica sono il nome antico e moderno dell’Arte di investigare la natura.


Nella lunga e vana ricerca di separare e trasformare i metalli in oro con il solo aiuto del calore, gli alchimisti spesso giunsero a scoprire altri elementi molto più utili all’Umanità. Così Brand, calcinando grandi quantità di orina umana allo scopo di trovarvi l’oro, trovò il fosforo e, con suo terrore immenso vide, risvegliandosi di notte, svolgersi dal tondo dei suoi puzzolenti recipienti una luce strana e tetra che illuminava il suo povero laboratorio! Così Saxon Bottcher cercando una terra per i suoi crogiuoli, scoprì il caolino e il processo per fabbricare la porcellana. Alberto il Grande scopri il metodo (anche oggi usato) della coppellazione dell’oro e dell’argento, la preparazione dell’ossido di piombo ecc. ecc., mentre il suo allievo San Tommaso d’Aquino, avendo notato che i vapori arsenicali imbiancavano il rame, credette di essere riuscito a cambiare «tutto il rame, in vero argento». Raimondo Lullo scoprì il calomelano ed ottenne gli olii essenziali, distillando delle piante nelle quali riteneva che fosse argento, e fu il primo a studiare la decomposizione dei corpi. Ad Arnaldo da Villanova si devono gli studi sulla proprietà degli acidi solforico, cloridrico e nitrico. Un monaco, dallo pseudonimo di Basilio Valentino, più tardi, riuscì a isolare dal suo solfuro (1) l’antimonio; scoprì il salnitro, l’uso dell’acqua forte e la fermentazione alcoolica. A Paracelso si debbono moltissimi medicinali ed uno studio completo dello zinco del quale creò il nome; egli studiò e scoprì i preparati mercuriali, anche oggi in onore nella nostra farmacopea. Ad una immensa ed anonima folla, infine, si deve la scoperta dei colori minerali, delle distillazioni del vetro, della ceramica colorata, dei primi fenomeni elettro-galvanici ecc. ecc.
Per far conoscere quale fosse lo spirito che animava i migliori di questi studiosi, citiamo questo ragionamento del Birelli, alchimista fiorentino, tendente a spiegare a Cosimo de’ Medici quale era la sua nobile scienza.


«L’alchimia altro non è se non investigazione delle cose naturali a noi ignote... Essa é quella perla tanto preziosa, quel tesoro tanto inestimabile che tutti meritatamente riveriscono ed onorano quale perfetta filosofia; essa fiorisce di più nei luoghi ricchi di animali, di erbe, di sali, di pietre... Essendo l’uomo ministro e non artefice della natura, debbono, quelli che intendono esercitarsi in così nobile professione, essere buoni filosofi in quanto che essa investiga la ragione delle cose ed i loro principi, la natura degli clementi, l’origine dei tuoni, grandine, neve, pioggia... donde viene la salsedine del mare, il terremoto della terra, la natura delle piante e degli animali ed infine di tutte le cose create dal Sommo Monarca del mondo. L’alchimia arreca al mondo ricchezze infinite ed è la madre della medicina; essa ha trovato il modo di produrre il bronzo delle campane, il vetro, tante sorte di colori per nobilitare la pittura, di partire l’oro dall’argento ed altre innumerevoli cose».

 

Crediamo che ragionamento più logico e nobile non potesse tenere uno Scienziato del 1600, e che desiderabile sarebbe che uguale concetto della chimica avessero tutti gli scienziati moderni.
Tutte le antiche mitologie contengono, sotto forma mistica ed allegorica molti segreti della chimica che furono poi verso il III° e IV° secolo compendiati nell’Arte sacra sempre raccolta in simboli e in insegnamenti religiosi. L’Egitto é da considerarsi la culla della alchimia almeno per l’attuale periodo storico.
 

Si fa derivare il vocabolo Chimica dal vocabolo Chemme o Chimme che significa Egitto. Colà era permesso di dedicarsi all’Arte sacra solamente ai sacerdoti ed ai re, e chiunque di essi avesse osato propagare gli scritti di questa scienza era messo fuori legge.
Questa arte era chiamata anche Ermetica da Ermete, e tale vocabolo é passato poi a indicare un modo di chiusura assoluta dei recipienti, ed il silenzio assoluto che gli adepti osservavano intorno alle cose che apprendevano nelle iniziazioni; silenzio che simbolicamente era rappresentato da una chiusura materiale e temporanea delle labbra.
L’Alchimia egiziana proveniva dai popoli che vivevano nella regione dell’Atlantide, forse anche dall’india, forse ancora dalla Caldea.
 

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Per Alchimia s’intende dunque lo studio delle scienze naturali, di tutte insieme le scienze, nessuna esclusa dall’astronomia alla botanica, dalla chimica alle matematiche, alla medicina, alla fisica.
Questo studio derivato dallo spirito di osservazione divenne, attraverso i millenni, una scienza empirica e sperimentale sopravvivendo poi come filosofia, permeante di se stessa tutte le moderne scienze.
Secondo questo sistema filosofico-naturalistico, i minerali, i vegetali, gli animali, l’uomo, le entità astrali o delle sfere celesti, ecc. ecc. sono mosse da un unico permanente flusso vitale e secondo una unica legge formativa.
Tale legge regola in identico modo il macrocosmo (mondo-universo) e il microcosmo (uomo) e non riguarda solo la materia con cui queste due entità sono costituite, ossia il loro stato chimico, ma anche tutto il complesso dei fenomeni vitali interdipendenti e cioè le relazioni cosmiche (astrologia), le malattie o squilibri, i reciproci influssi, ecc.
Le basi dell’alchimia sono queste due leggi:


1) Tutte le specie sono fisse e non possono essere trasformate le une nelle altre.
2) I metalli appartengono ad una unica specie e possono trasformarsi (ridursi per depurazione) dallo stato meno perfetto alla purità assoluta.
 

Quando gli alchimisti affermarono essere le specie invariabili e non trasformabili le une nelle altre, non erano in contraddizione con la loro speranza di poter cambiare i metalli vili in metalli nobili, ossia non ossidabili. Non erano in contraddizione perché i vari metalli non sarebbero affatto delle specie, bensì vari aspetti di una stessa «essenza» di una unica specie.
L’Alchimia non ammetteva l’uso del fuoco violento, ma esigeva il trattamento termico lungo e prolungato e, di preferenza, quello ottenuto dal sole, sia direttamente che a mezzo della riflessione speculare.
Basi dell’alchimia erano:


1) l’analogia fra esseri diversi, e fra questi e le varie parti dell’universo;
2) l’evoluzione perpetua;
3) l’unità della sostanza e della forza o, come oggi ammettiamo, della materia e dell’energia;
4) la vita universale ed eterna.
 

L’operazione base dell’alchimia era la distillazione. Essa ebbe origine nelle regioni montuose dell’Asia Australe favorite da un clima dolce e ricche di piante aromatiche. Di ciò è traccia nei Veda sanscriti. Gli egiziani appresero dai Caldei l’uso e la costruzione degli apparecchi per la distillazione del vino e del sidro e i forni per la produzione della soda, dell’allume e del vetro, nonché i metodi per fabbricare l’aceto, il sapone, ecc. ecc. Essi furono nella loro decadenza i maestri degli ebrei e dei greci, i quali però ebbero effettivamente il torto di occuparsi troppo di raggiungere un fine ideale e filosofico piuttosto che pratico, e non si curarono di trarre vantaggio materiale dal loro lavoro.
Dopo la decadenza romana, spettò agli arabi (2) il merito di rimettere in onore gli studi scientifici, e l’Alchimia, insieme alle altre scienze, ebbe un impulso grandissimo. Gli Arabi introdussero il misticismo nell’arte ermetica e furono i promotori della teoria della trasmutazione dei metalli, e, pur seguendo una via empirica, gettarono le basi della chimica positiva. Essi crearono a Cordova, a Siviglia e a Toledo le più celebri scuole di scienze naturali. Lo spazio non ci consente una dettagliata esposizione delle opere alchimistiche degli arabi, alcune delle quali importantissime.
 

Quando la civiltà araba cadde travolta dalle invasioni dei Mongoli e dei Turchi, l’Alchimia e le scienze naturali trovarono un provvidenziale rifugio nei conventi, identificandosi sempre più con le dottrine filosofiche, fino a che Paracelso creando la latro-alchimia, non stabiliva una prima divisione fra la ricerca sperimentale e quella filosofica. Dopo le grandi scoperte del Rinascimento e principalmente della stampa, la divisione fu sempre maggiore ed anche la farmaceutica si staccò dalla medicina.
Comincia così il periodo sperimentale della scienza positiva.
Gli alchimisti avevano un concetto dell’elemento molto diverso da quello che abbiamo oggi. Gli elementi non venivano considerati come corpi semplici incomposti e costituenti il mondo fisico, ma come qualità modificative di questo. La materia non aveva, per se stessa, delle proprietà, ma acquistava dei caratteri solo mercè l’intervento delle diverse qualità elementari.
Erano esse freddo, caldo, umido e secco, così combinate:
 

I caldo e secco = fuoco;

II caldo e umido = aria;

III freddo e secco = terra;

IV freddo e umido = acqua.
 

Oltre questi quattro «elementi» od essenze era considerata una quinta-essentia, costituita da etere.
 

Il rappresentante dello stato metallico era il mercurio; la proprietà di ardere era rappresentata dallo zolfo; il rappresentante dello stato non metallico era la terra; la proprietà di sciogliersi in acqua era data dal sale.
Di ogni sostanza essi consideravano una corrispondente sostanza filosofica che, per esempio, era chiamata oro, zolfo e mercurio filosofico, ma che non era affatto oro, zolfo e mercurio comune.
Poiché le proprietà dei corpi erano conseguenti dalla mescolanza delle qualità elementari sopraindicate, si riteneva che tali proprietà dovessero mutare col mutare questi rapporti di mescolanza. Sorse così l’idea che si potesse agire per mezzo del fuoco sulle proprietà dei metalli comuni, sino a raggiungere le proprietà dell’oro.
Era questa una teoria che oggi può sembrare grossolana e balorda quanta si vuole, ma, se ci riportiamo ai tempi in cui fu concepita e creduta, dobbiamo riconoscere che essa era la logica e necessaria conseguenza della osservazione dei fenomeni naturali fatta senza mezzi e senza ausilio di sorta e spesso in ambiente reso ostile dalla intolleranza politica e religiosa.
Questa idea veniva avvalorata poi dal fatto che molti minerali allo stato naturale, come per esempio la pirite (solfuro di ferro), la galena (solfuro di piombo) ecc., hanno un aspetto metallico ma diversissimo dai metalli che essi contengono e che si possono ricavare per mezzo del calore. E per mezzo del calore essi ottenevano ferro e piombo, mentre lo zolfo, sotto forma di anidride solforosa, si disperdeva nell’aria. Nessuno avrebbe potuto levar loro dalla testa di aver ottenuto la trasformazione del metallo pirite nel metallo ferro, e del metallo galena nel metallo piombo, per mezzo di una abbondante somministrazione di caldo e secco (fuoco) che aveva scacciato lo zolfo sostituendosi ad esso.

Per quanto concerne la ricerca dell’elisir di lunga vita, ossia di un medicinale che prevenisse tutte le malattie dando all’uomo il mezzo, non «di non morire mai» come ritengono alcuni, ma «di morire vecchio e di morte naturale», le ricerche degli alchimisti avevano uno scopo nobilissimo purtroppo non raggiunto oggi nemmeno dalla scienza moderna. L’Alchimia dava una grande importanza alla relazione fra le malattie e la posizione apparente che il Sole ha nelle costellazioni, ossia le varie stagioni, perché avevano notato che, col variare delle stagioni, variava il decorso o la recrudescenza dei mali.
L’Astrologia entrava perciò nei loro studi e di questo fatto oggi ne vien data anche una certa giustificazione.

 

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L’Alchimia è alla base della chimica, della medicina, della biologia, non é dunque una fissazione, più o meno nobile più o meno truffaldina, per fabbricare l’oro o il farmaco di lunga vita, ma é il concetto panteistico della psiche cosmica che vivifica tutta la materia e che riconosce genialmente tutta una armonica corrispondenza tra l’universo e l’uomo, tra il macro e il microcosmo e che lumeggia di viva luce l’essenza intima di questo microcosmo, di questo piccolo uomo albergante una parte della grande, potente, eterna psiche.
Questo pensiero panteistico é rimasto inalterato tanto nell’anno mille quanto nell’anno duemila, dal quale ci separano solo pochi attimi della vita del mondo, ed é proprio in questa vigilia di fine di millennio, che si riafferma essere il «sogno» alchimistico dell’unità della materia cosa vera, la concezione alchimistica della corrispondenza vibratoria tra astri ed atomi, fra astri ed esseri animati, cosa molto probabile, l’immortalità dello spirito trascendente e superante la breve vita dei corpi, cosa possibile, naturale e logica.
Il concetto fondamentale dell’alchimia è ritornato oggi alla base delle moderne scienze.
Forse, fra queste moderne scienze, quella che, fatto strano ma pur vero, meno ha carattere alchimistico, é proprio la chimica. Mentre la medicina va lentamente riprendendo dalla farragine del mondo iatrochimico di Paracelso e seguaci, centinaia di concetti, di dati, di verità che, ben riverniciate, fanno bella mostra di loro nei congressi e sulle riviste scientifiche, mentre la fisica, con secoli di difficile digestione, si è appropriata del basilare concetto dell’unità delle forze fisiche e va ora misurando e radiazioni cosmiche e oligodinamismo, e va tentando a ritroso la disintegrazione dell’atomo con enorme pericolo di creare uno squilibrio progressivo alla materia, mentre la biologia e la fisiologia, vanno studiando le vitamine e gli ormoni senza curarsi del fatto che il chimico ancora non abbia saputo dare un’idea sul loro stato civile, mentre insomma tutte le scienze vanno incamerando il pensiero alchimistico in toto senza curarsi delle forme religiose asiatiche, egiziane e cristiane che detto pensiero tenevano imprigionato con una terminologia ed un frasario complicato, e mentre tutto cercano di utilizzare a beneficio dell’umanità, la chimica, la figlia primogenita dell’alchimia, quella che poteva e doveva esserne l’erede, non ha voluto o saputo accogliere nulla del grande pensiero alchimistico e così si è lasciata prendere la mano e dalla biologia e dalla medicina e dalla fisica. Molti rami che della alchimia erano parti integranti, sono passati così in eredità ad altre scienze o si sono costituiti in scienze autonome.

La teoria atomica, ammette che la materia sia composta di particelle infinitamente piccole alle quali fu dato il vecchio nome di atomi (indivisibili). Questa teoria, come abbiamo visto, era il fondamento delle filosofie greca e indiana: Talete e Pitagora, per la prima, e Kanada, per la seconda, giunsero a questo concetto; Leucippo e Democrito (500 anni av. Cr.) ribadirono questa teoria e due secoli dopo Epicuro la perfezionò, mentre Lucrezio la sviluppò in forma poetica affascinante nel suo “De natura rerum”.
Ammettendo gli «atomi» e ritenendoli dotati di un veloce movimento nel vuoto, questi filosofi spiegavano la genesi della materia e di tutto l’Universo.
Questa teoria, sopraffatta dalla teoria aristotelica, fu richiamata in onore nel XIX secolo dal Dalton e dal Gassendi che ammisero gli atomi materiali; dal Leibnitz che ideò, invece degli atomi, la monade, come elemento fondamentale avente qualche cosa di vitale ed una percezione: in altre parole, degli atomi metafisici. Lesage perfezionò, infine, la teoria atomica ammettendo che intorno a ciascun atomo si muova, a distanze enormi e con velocità immensa, un gran numero di particelle.


Ma il fatto scientifico che fece intravedere come giusta l’ipotesi della unità della materia fu la scoperta, fatta dal Mendelejeff, della legge che ora porta il suo nome e raggruppa in famiglie tutti gli elementi secondo un certo periodo ritmico costante.
Vennero poi alcune osservazioni spettroscopiche che indussero a credere alla provenienza di molti elementi da un unico elemento primitivo. Vennero infine i fenomeni radioattivi scoperti e studiati dai coniugi Curie a sconvolgere le conoscenze sulla materia ed a dimostrare che in essa avvengono delle lente trasformazioni.
Recentemente col bombardamento atomico si sono ottenute quantità dosabili di oro nel tratto percorso dalle scariche. Molto tempo prima di questi esperimenti il Prout dal fatto che il peso atomico di un corpo corrisponde approssimativamente ad un multiplo del peso atomico dell’idrogeno, dedusse che gli atomi dei diversi elementi debbono essere formati da una speciale unione di un certo numero di atomi d’idrogeno.
Questa ipotesi, prima combattuta, ritorna ora in onore e, qualora fosse pienamente dimostrala vera, confermerebbe l’ipotesi alchimistica della essenza unica. Infatti Rutherford, bombardando con i raggi alfa del radio, il boro, il fluoro, il sodio, l’alluminio, il fosforo e l’azoto, ha ottenuto nuclei d’idrogeno, mentre gli astronomi hanno constatato, con l’esame spettroscopico delle stelle, che nelle più calde di esse predomina sempre l’idrogeno che man mano scompare nelle meno calde per cedere il posto ai vari metalli ed al carbonio, che manifestano le loro righe caratteristiche.
Ma, come abbiamo detto, ciò che ha dato l’ultimo colpo alle concezioni dei chimici del secolo scorso é stata la scoperta dei corpi radioattivi e la trasformazione dei metalli pesanti Uranio e Torio in altri più leggeri, e del Radio in Elio e Piombo; e infine, la scoperta degli elettroni e la disintegrazione dell’atomo.
 

Ora se confrontiamo tutto questo con la massima di Ermete Trismegisto (il tre volte grande): «Ciò che é in alto é come ciò che è in basso e viceversa per formare le meraviglie della Cosa Unica. Il movimento universale é prodotto dalla tendenza del volatile a fissarsi e del fisso a volatilizzarsi, il che produce uno scambio continuo fra le forme della Sostanza Unica e conseguentemente le combinazioni continuamente rinnovate delle forme», vediamo che l’attribuire tutte le scoperte geniali alla Chimica moderna e tutto le ciarlatanate e gli errori alla Alchimia é ingiusto. Infatti oggi un gran numero di studiosi ha preso in esame tutta la storia e la profonda essenza della Alchimia, per sceverarla di quanto, per colpa degli avversari e per colpa degli stessi alchimisti, l’ha svalutata. Il famoso principio della conservazione della materia é infirmato dalla scoperta della materia radiante fatta dal Crookes e da Oliver Lodge e dallo studio dei fenomeni di dissociazione, di ionizzazione e di elettrizzazione, e l’antico dualismo tradizionale fra forza e materia non regge più alla critica, non essendo la materia altro che una varietà della energia.
Dice il Castelot « ... che la materia vibrante, fuggente, ondulante é il turbine meraviglioso dell’etere immateriale é», l’AKASA, l’eterna e grande VERITÀ del Buddismo. Quanto era fino a pochi anni fa creduto da una ristretta categoria di studiosi e di ricercatori ribelli ed indipendenti é ora verificato e provato dalla chimica-fisica.
L’aforisma «Tutto é nel tutto» dei filosofi ermetici é chiarito, completato e perfezionato in pieno Sec. XX ad un grado superiore e razionale.
Le proposizioni del Le Bon furono (1920) le seguenti:


La materia svanisce lentamente per dissociazione dei suoi atomi.
I prodotti di tale dissociazione costituiscono sostanze intermediarie fra la materia ponderabile e l’etere imponderabile.
La materia é una immensa riserva di energia intra-atomica che può dispensare senza prendere nulla dal di fuori.
Da questa energia intra-atomica deriva la maggiore parte delle forze, quali il calore solare, l’elettricità, la luce, la radioattività ecc. ecc.
 

Mezzo secolo prima del Le Bon, il Padre Angelo Secchi, direttore dell’Osservatorio Astronomico del Collegio Romano, nella sua geniale opera sulla “Unità delle forze fisiche”, emise l’ipotesi che la materia altro non sia che moto di etere realizzato in centri di rotazioni.
La conclusione é che l’Universo é in continue variazioni di equilibrio. Quando tali cambiamenti sono lenti abbiamo la materia, quando sono rapidi abbiamo il calore, la luce, l’elettricità ecc. Il ciclo é quindi in Energia - Etere - Materia - Etere... Questo svanire della materia in etere e dell’etere in materia, questo processo di evoluzione e di involuzione é la base della filosofia alchimistica.
Il concetto del Thomson che l’atomo sia costituito da una carica di elettricità (nucleo centrale) contornato da un sistema di elettroni o cariche di elettricità opposta fu dimostrato sperimentalmente dal Meyer per mezzo di tanti aghi calamitati galleggianti su dei sugheri in vicinanza del polo di un magnete di elettricità opposta. Egli constatò che gli aghi si dispongono subito in maniera dipendente dal loro numero e precisamente secondo i vertici di un triangolo equilatero se sono tre, secondo quelli di un quadrato se sono quattro, di un pentagono se sono cinque. Se però sono sei non si ha la disposizione di un esagono, ma si mantiene quella di pentagono, mentre il sesto ago va al centro. Così pure va al centro il settimo e l’ottavo, disponendosi tutti e tre secondo un triangolo equilatero. Si ha cioè la disposizione di tanti cerchi concentrici. Aumentando, il numero degli aghi si arriva ad un massimo di cinque anelli concentrici, dei quali quello esterno é costituito sempre di 20 aghi. Si ha perciò, per i seguenti numeri di aghi, questa disposizione:


Numero totale degli elementi
59   60   61   62   63   64   65   66   67


Numero degli elementi per ogni anello
20   20   20   20   20   20   20   20   20
16   16   16   17   17   17   17   17   17
13   13   13   13   13   13   14   14   15
8   8   9   9   10   10   10   10   10   10

                                             2   3   3   3    3     3    4     4     5    5
 

Come si vede da questa tavola, sostituendo agli aghi gli elettroni emerge l’ipotesi che gli atomi differiscano solamente dal numero degli elettroni che si trovano però legati fra di loro da una forza enorme. Questa disposizione concorda con quella indicata dai periodi della Tavola di Mendelejeff, e con quella che Besant nella sua “Chimica Occulta” attribuiva agli elettroni dei vari elementi.
Mentre la chimica pesa la frazione di centimilligrammo di una materia morta, la vita continua il suo immenso ciclo prorompente dalle viscere della terra verso il sole radioso, verso l’immensità del cosmo le cui vibrazioni trovano nei pochi esseri atti a captare le vibrazioni ed i sentimenti provenienti da tutto il creato, rispondenze impensate ed impensabili...
Il pensiero magico, occultistico e panteistico non era infatti limitato ai pochi metri quadrati di un laboratorio od alle meccaniche operazioni di analisi o di sintesi. Esso spaziava, per tutto il medioevo, in tutto il creato. Dotato di un’intuizione la cui portata sorprende e rende pensosi, esso andava dagli astri agli atomi, dal macro al microcosmo, trovava, spiegava e provocava relazioni, corrispondenze, aspetti impensati, logici e sublimi. Entrava nei chiusi chiostri, vi creava laboratori alchimistici, faceva studiare le piante, i minerali, gli animali...
 

Cercando una cosa ne trovava mille altre, sbagliando scopriva nuovi veri, farneticando creava l’attuale sapere umano.
Gli alchimisti di tutti i tempi avevano mirabilmente preventivato ed intraveduto, dice Jollivet Castelot, i magnifici segreti della natura. Essi consideravano la scienza quale una sintesi religiosa ed il loro naturalismo divinava, realizzandoli, anche parzialmente, i famosi enigmi delta astrologia, della corrispondenza delle cose, della trasmutazione dei corpi. Essi si fondavano sulla unicità della materia e sulla dottrina del ciclo degli elementi: idee ambedue esatte e confermate dalla moderna esperienza. I metalli, difatti, non differiscono tra di loro, al pari di tutti gli altri corpi, che per il numero e la posizione simmetrica degli atomi e delle molecole.


Ciò ammesso, non sarà impossibile giungere, forse per mezzo di forti pressioni ed alte temperature, a variare questa posizione ed originare così nuovi aggruppamenti. Certo è che le forze conosciute non sono state ancora combinate in tutte le maniere possibili; e d’altronde come sono stati trovati i raggi x forse si è sulla buona via di trovare una nuova forza sconosciuta che decomporrà qualcuno, o tutti, i corpi oggi chiamati semplici. Di questa forza gli Alchimisti intuivano chiaramente la esistenza, giacché ammettevano che la vita della Materia si estendesse anche al mondo minerale. Così, come il protoplasma ha formato, per lente trasformazioni, tutte le specie sia morte che viventi, la materia unica (protilo) nella sua evoluzione di milioni di secoli, ha formato tutte le specie che a noi sembrano fisse per quella ragione che ad un essere, vivente solo per la durata di un minuto secondo, sembrerebbero fisse le lancette di un orologio.

Disse l’illustre Ramsay: «La dissociazione della materia implica la sua trasmutazione. Quando, per esempio, lo zinco colpito dai raggi ultravioletti perde i suoi elettroni, possiamo dire che il metallo residuale non sia più zinco bensì un’altra forma di materia».
I fenomeni di allotropia dei corpi così detti semplici, quali per esempio dello zolfo, del fosforo, del ferro, ed i fenomeni di isomeria e di isotopia, sono un buon indizio della possibile trasformazione chimica di un tipo primordiale e della variabilità delle specie chimiche, che possono presentarsi in stati multipli con proprietà diverse e con la stessa struttura molecolare od atomica.
La moderna classificazione si basa, come abbiamo visto, sulla Legge ritmica che raggruppa gli elementi in grandi famiglie che formano delle vere e proprie Specie chimiche, costituite da numerose varietà, che sono gli elementi. L’ammettere questa classificazione porta con sé l’ammettere l’unità della materia e una vita di questa materia (Ilozoismo).
Il principio della evoluzione della materia unica in un ciclo complesso di elementi e il loro dissolversi in etere è il solo sistema razionale d’accordo con l’infinito.
Buddha insegnò che la sostanza primitiva è eterna, ha per veicolo l’Akasa, od etere puro e luminoso, e che lo spazio infinito è la base di tutte le forme.
 

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Concludiamo illustrando il più importante concetto che ancora attende chi sappia studiarlo e interpretarlo, l’istituto panteistico del Grande Mistero o, come volle chiamarlo Paracelso, dell’Yliaster.
Questo mistero, che fortunatamente impedisce la nozione della natura divina della materia al bestiame ora intento alla disintegrazione della medesima, non è stato affatto compreso dagli storici e solo lo è stato da pochissimi studiosi dell’occultismo.
L’Yliaster é la materia increata, eterna ed infinita che con tiene in germe tutto ciò che deve divenire attraverso continui graduali e successivi sviluppi potenziali. Concetto questo già esposto da molti altri prima di Paracelso e, particolarmente da S. Agostino, che é indubbiamente la maggiore espressione del panteismo mistico.
Esso Mistero non solo é increato bensì contiene tutti i germi della creazione non esistendo Dio al di fuori del mondo come creatore di se stesso bensì dentro ogni cosa, dentro la materia già definita come essenza divina immanente e permanente. Solo per questo titolo alla materia vivente compete il titolo di misterium ed alle leggi che la regolano quello di arcanum.
Questi concetti erano già da secoli «nell’aria» e Paracelso non avrebbe altro merito che di aver codificato ciò che sempre é stato evidente nel subcosciente degli umani, nel più intimo recesso presso la divina fiammella. Ciò é stato sempre espresso sotto le più svariate denominazioni dal neo-platonismo ad oggi, tutte denominazioni usate in sostituzione dell’unica vera, di Alchimia, che, invece, è aborrita da moderni filosofi in conseguenza e in proporzione della più crassa ignoranza.
Tutti gli alchimisti, compresi quelli della Cina a. C., ammettono che la materia contenga in sé la forza divina del divenire e del pervenire e che detta forza é la causa delle cose e degli esseri da detta materia continuamente espresse come manifestazioni fenomeniche.
Il Misterium (Dio) è a noi visibile é tangibile solo attraverso tali manifestazioni senza di che esso si sottrarrebbe oscuro e misterioso alla più alta conoscenza umana.
Anima, Spirito e Corpo sono tre aspetti integrativi che conferiscono alla prima materia l’incoercibile volontà e necessità di divenire attraverso l’infinita fenomenologia. É solo attraverso questa ed attraverso la discendenza umana che l’uomo può autocomprendersi sia nella forma materiale sia in quella puramente psichica necessaria per il compimento del ciclico ritorno.


Ciò compresero Paracelso e tanti filosofi stranieri che vennero in Italia per assorbire, con il neo-platonismo e con l’Averroismo, rifugiatosi nel territorio della libera Repubblica veneta, le vibrazioni del pensiero cosmico, del verbo divino sempre più ansioso di sviluppare e perfezionare l’umana fenomenologia inceppata qua e là da incrostazioni pagane.
A causa delle suddette incrostazioni pagane, tutti gli alchimisti dovettero, a forza di funambolismi dialettici, cercare di evitare il carcere e il rogo, e, con affermazioni del più opaco e stretto conformismo, nascondere la verità. Ma i fulgidi cieli della verità non vennero mai completamente offuscati ed apparvero, come bene cantò Carducci nel suo “Inno a Satana”
 

a l’occhio immobile
dell’alchimista
(e) de l’indocile
mago a la vista,
ne la materia
che mai non dorme....
………..
... de l’essere
(il) principio immenso...
materia e spirito
ragione e senso...


 


1. Si dice che avendo constatato per caso che questo composto aveva oltre che proprietà emetiche anche quella di ingrassare i maiali, avesse l’infelice idea di propinarlo ad alcuni monaci deperiti per le privazioni e i digiuni. I poverelli, invece, morirono avvelenati, onde Basilio Valentino corse rischio di essere giustiziato, ed il nuovo elemento scoperto ebbe il nome di anti-monaco o antimonio.

2. La maggior parte dello denominazioni di certi corpi ci rivela l’origine araba, di quella regione cioè che diede la conoscenza della farmaceutica. Eccone qualcuna: Alcharit (argento vivo) Almifadir (sale ammoniaco) Almarech (Litargirio) Alchitumn (olio di ginepro) Al phonitrum (spuma di nitro) Albuagin (minio) Altara (cucurbita) Alembicum (alambicco) Alcali (nitro) Allume, Alabari (piombo) Almarge (corallo) Albait (cerussa) Alchitu Alchitum (arsenico) Alchitura (pece) Altaleni (ottone) Alfari (croco) Algerie (calce) Altinae (rame) Alchemers (alcool) ecc.