"Libertà e Passione Civile, una Nuova Cultura per l'Italia Unita"



Gentili Autorità intervenute,
Signore e Signori,
Carissimi Fratelli,


anche quest'anno i Liberi Muratori italiani, riuniti a Rimini per la Gran Loggia di primavera, accolgono nel loro Tempio la società civile e le Istituzioni per il consueto messaggio che il Gran Maestro rivolge al Paese. Tale tradizione, ormai pienamente consolidata, risponde alla necessità dell'istituzione massonica di rendere sempre più chiari ed intellegibili gli scopi e le finalità che persegue, in un quadro di trasparenza e dialogo continuo con la realtà pubblica e sociale. Il Grande Oriente è sì una realtà esoterica e spirituale, ma non per questo può esimersi dallo svolgere un compito inevitabilmente interdipendente dalla società, quello di agenzia etica e civile, che contribuisca a formare cittadini migliori e che stimoli conseguentemente il dialogo e la tolleranza, sempre al servizio del Paese in cui operiamo da più di due secoli.
Il titolo distintivo di questa Gran Loggia è: "Dopo 150 anni per restare insieme", e vuole essere un contributo di pensiero e azione alle celebrazioni dell'Unità d'Italia.
Siamo consapevoli del contributo che abbiamo dato alla storia unitaria, ma guardiamo all'oggi e soprattutto vogliamo tracciare insieme il futuro. Un paese che vive il presente come un perenne regolamento di conti, taglia i ponti con il proprio avvenire e rinuncia alla novità, che è una delle sorprese dell'esistenza. Non ci manca la gamba per cogliere le sfide di una storia aperta a nuovi vissuti da percorrere. Rilanciamo con forza, anche da questa assise, il bisogno di una nuova cultura della dignità e della scuola, dell'educazione e del lavoro, della libertà e della responsabilità sociale che in questo momento storico serve al Paese.
Non ci stiamo all'idea di chi sostiene che gli italiani sono 'senza padri'. I fondamenti laici risorgimentali non sono solo un'istantanea datata 1861, né un ricordo da seppellire in soffitta, ma un presente senza tempo, un archetipo che scorre oggi in molti pensieri e prassi e si fa programma, linea di azione, capace di pensarsi come orizzonte ideale di riferimento, segno di una scommessa vinta contro tutti. Perché il Risorgimento non fu "una rivoluzione mancata", come scrisse quel Gramsci che apprezziamo per altre riflessioni e lotte di libertà. Il sogno unitario di quel tratto di tempo della storia patria che ognuno porta nel cuore, ha eredi concreti: sono i veri italiani. Tra essi vi sono i Liberi Muratori: gli uomini del dubbio, liberi e senza dogmi, per i quali l'unica strada è la ricerca infinita. Gli eretici che non stanno a bocca aperta in faccia al sole.
L'attenzione а questo specifico bagaglio valoriale non è peraltro un'invenzione recente, anche se più moderne sono le forme di interrelazione con l'esterno adottate dal Grande Oriente negli ultimi anni. Tale predisposizione risale all'origine della sua storia, soprattutto nei paesi latini e in particolare in Italia. La Massoneria più antica, anche quando perseguitata, non ha, infatti, mai perseguito la segretezza come suo fine, perché al contrario i suoi scopi e i suoi valori erano chiari e miravano sempre ad emergere, a farsi parola comune, koinè morale. Il confronto si fa all'aria e con la luce. Quando la Massoneria praticava forme di riservatezza o di segretezza particolari, ciò era dovuto soprattutto al contesto storico, ovvero alle minacce portate da Stati totalitari o illiberali. Oggi tali moduli operativi sarebbero del tutto inappropriati e per di più da noi espressamente vietati. Bisogna, comunque, tener presente che anche in situazioni difficili la Massoneria non ha mai scelto la strada della dissimulazione e del nascondimento. I patrioti che guidarono il processo unitario erano in moltissimi casi massoni e tutti lo sapevano. Tra i mille di Garibaldi si farebbe prima a indicare chi non fosse massone rispetto a coloro che lo furono, e così anche tra gli ufficiali ed i generali di Vittorio Emanuele II. Ciò non toglie che poi al suo interno, ovvero nelle istituzioni massoniche del periodo pre-unitario e tra gli stressi fratelli, non vi fossero diversità anche importanti. Essere massoni non ha mai significato celarsi nell'ombra ed avere un pensiero unico: è esattamente il contrario e ciò è dovuto a una radice profonda che non può gelare: la libertà. I Massoni erano sempre più in prima linea ed allo scoperto. La dignità di un popolo, il suo sentirsi unito, le sue aspirazioni ad un'emancipazione morale, spirituale, culturale ed economico-sociale furono poi colti pienamente dai liberi muratori del tempo.
Dalla storia alle sfide dell'oggi. Il nostro compito è quello di sempre: costruire sulle rovine e far luce ai crocicchi delle scelte. Svegliare i maestri, perché al nostro Paese servono esempi e testimoni di umanità concreta. Vogliamo vivere con la schiena dritta, all'aperto del confronto e in dialogo con la società. Non siamo gli anarchici del nulla, ma gli operai della speranza.
Al nostro Paese serve forza di volontà contro delegittimazioni continue, messe all'incanto dai mercanti delle parole. Ma per intervenire in un contesto, bisogna anzitutto comprenderlo; occorre leggere i segni dei tempi e lottare per compiere il proprio dovere. La rivoluzione è personale e la direzione è una sola: andare oltre la paura, prendere la parola. Stare nell'agorà invece di darsi alla fuga. I massoni sono ribelli di libertà che fanno doni di vita agli altri che si incontrano sul sentiero. Cercano risposte alle grandi questioni, anzitutto insegnando il metodo della tolleranza, della laicità positiva, della costruzione paziente e della decisione necessaria. Metodo viene da due parole greche, metà e odòs, che significano: stando sulla strada. I massoni sono gli uomini del viaggio continuo, segno di contraddizione rispetto all'inerzia dell'immobilismo e della rinuncia. Non stanno rinchiusi nelle loro torri d'avorio, ma sono mediatori che aprono l'accesso alle fonti e indicano nuovi, possibili, sentieri.
Il compito che abbiamo dinanzi non è semplice. Non vogliamo portare in piazza le nostre memorie né mostrare il medagliere, pur gonfio di meriti. Vogliamo guardare negli occhi la realtà e lavorare per superare l'incompiuto, facendo strada a un nuovo Risorgimento della Ragione contro odio e intolleranza. Senza torcicollo, gli Argonauti del dubbio lavorano alla rivoluzione della speranza. In questo percorso non siamo soli: vi sono migliaia di laici e coscienze libere che sono anche massoni, pur senza averne la tessera, perché ogni giorno lottano per la libertà. Per loro e per noi ogni luogo è Tempio, ogni volto è occasione di crescita, terreno perché l'io diventi noi.
Il mondo cambia in fretta. Nuova storia bussa alle porte dell'Italia e dei nostri Templi. Occorre aprire la finestra e cogliere le rivoluzioni dei popoli, il grido di riscatto del Sud, sognare una rivolta morale che rimetta il lavoratore al centro dell'agenda politica ed economica. Il nostro vero segreto è la fratellanza: è questo sentimento che vogliamo portare nel vissuto del paese. Vogliamo essere testimoni di unità contro le catene delle divisioni. Nessuna gabbia può chiudere il pensiero libero, nessun rogo o filo spinato spegnerà mai una storia di libertà.
Andare oltre le polemiche da recinto significa comprendere che l'Unità d'Italia non è un'anticaglia sentimentale ma una storia diffusa, tessuta nel corpo della Nazione. E la Nazione è un organismo vivente le cui parti vanno armonizzate, esplorando ogni possibilità di partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Il Risorgimento non è stato un'epopea dello stato sabaudo: è stato soprattutto la capacità di cogliere un momento storico per realizzare un ideale e un programma, una certa idea di unità dell'Italia. Una visione precisa di intendere il mondo e la storia. La Massoneria, erede degli ideali risorgimentali, illuministici e rivoluzionari, intende perciò partecipare con rinnovata energia alla costruzione del senso nazionale. Abbiamo davanti le strade della speranza possibile: lavorare perché si affermi la tolleranza, la laicità, l'emancipazione, il progresso, la rigenerazione, la giustizia. Dal Risorgimento alla modernità, le grandi sorgenti massoniche hanno ancora molta acqua da portare alle coscienze. Ecco perché chiedersi come celebrare i 150 anni dell'Unità d'Italia significa anzitutto cominciare a sentirci più italiani e più europei. Le identità chiamano a nuove sintesi. Senza dimenticare, però, che a volte perché tutto rinasca c'è bisogno che tutto ritorni.
C'è chi ha pensato che il Mezzogiorno al tempo dell'Unità sia stato "un Paradiso abitato da diavoli" (Benedetto Croce) e altri ancora per i quali il nostro Sud è stato "un inferno abitato da angeli" (Giorgio Bocca). Tutti i pensieri hanno diritto di cittadinanza, come ha diritto di spazio ogni fede e appartenenza. Ma noi pensiamo che Nord e Sud debbano stare insieme, oggi come 150 anni fa, con un vero federalismo che significhi solidarietà e opportunità e non sia ratifica di egoismi e interessi di parte. Guardiamo avanti: oltre ogni polemica, nell'unico interesse che difendiamo, quello degli italiani tutti.
Per fortuna che dinanzi a tanti discorsi deliranti, carichi d'odio e di révanche, in sostanza volti a minare la pace sociale e l'unità del paese, la Chiesa Cattolica abbia preso posizioni certamente degne di approfondita considerazione a sostegno del grande progetto unitario dell'Italia. Noi non possiamo che compiacerci di tale svolta storica, invero compiuta già da diversi anni, perché essa indica come le posizioni e le valutazioni cambino con il tempo. Il nostro 'relativismo' appartiene così anche ad altri, e lo diciamo senza polemiche. Auspicheremmo però che tanti pregiudizi, che colpiscono in maniera anacronistica i Liberi Muratori fossero superati alla luce del Concilio Vaticano II e del suo messaggio di primavera nella chiesa. Allo stesso modo ci stringiamo al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che con grande vigore e senso della storia comune sta dando un esempio alto e straordinario nella valorizzazione propositiva e costruttiva di questa eccezionale ricorrenza. In lui i Liberi Muratori riconoscono una testimonianza vivente di fedeltà allo Stato, alla sua Costituzione ed ai valori di tolleranza e di rispetto che sono stati costruiti nel corso degli anni a prezzo di grandissimi sacrifici che non possono essere sviliti con qualche affermazione scomposta e sguaiata.
Ma ci sono anche nodi storici che invitano a dare un nome alle cose, senza nascondersi.
Prima di essere una Patria, l'Italia è una lezione che racconta civiltà e dialogo nel Mediterraneo dei popoli. In quel mare antico e nostro, sempre più destino, che ci porta altre sfide di umanità da guardare negli occhi. Anche su questo una parola chiara va detta: chi ama la libertà del proprio popolo rispetta anche la libertà degli altri e si impegna per difenderla. Tra i dittatori sanguinari e il popolo che lotta a mani nude per la libertà, i Liberi Muratori stanno dalla seconda parte. Stanno con la speranza contro la morte, stanno con il pensiero contro ogni regime.
I 150 anni della storia unitaria sono anche un'occasione per riappropriarsi della consapevolezza che c'è stata e c'è un'Italia di cui essere fieri. Un'Italia fatta di uomini e donne che hanno lottato per i diritti di tutti; è questa l'Italia che ha vinto e vince ancora oggi contro i furbetti e i prepotenti. É l'Italia magari minoritaria, all'inizio derisa, ma sempre vincente che fa strada alla rivoluzione dell'impegno, all'identità, a una virtù civile che è religione dell'umano e necessario legame tra diritti e doveri. "Non vi è patria dove l'uniformità di quel diritto è violata dall'esistenza di caste, di privilegi, dì ineguaglianze", sosteneva Mazzini augurandosi che il Sole della Repubblica splenda per tutti. Sembra scritto ieri, e invece è un'altra lezione di attualità del Risorgimento.
Per noi Patria è casa comune, è avere nel petto non il chiodo della disperazione ma il fuoco della speranza e dell'essere fratelli sotto il tricolore. Significa custodire ed essere fieri di luoghi, di memorie e lingua. Di mille comuni fatti di pietre e parole, di giovani e anziani che si ritrovano su un'unica piazza per ridere o piangere, per vivere sempre insieme le avventure della differenza. Ecco perché non servono i 'patrioti della compassione', quelli che ricordano i 150 anni con retorica e sterile nostalgia, ma abbiamo bisogno invece dei 'patrioti del coraggio', di quelli che vogliono difendere una storia dalla decadenza, dei liberali contro gli omologati, di chi è capace di pensiero o di rischio rispetto e di contro a chi se ne sta rintanato ad aspettare che crolli il tetto. Il patriottismo della Costituzione su cui giura ogni libero muratore è anche richiamo a una cittadinanza aperta, a nuove avventure culturali, a una passione civile che può essere il vero volano di crescita del Paese tanto nei nostri confini quanto all'estero.
Nello spaesamento che la nostra società vive, sotto i colpi di una crisi etica oltre che economica, proponiamo un viaggio alle fondamenta dell'unità nazionale. É la strada del senso, quella da imboccare. A tutti gli italiani ricordiamo che si può crescere nei rami, ma anche nelle radici. Nei Notturni di Bonaventura, si legge: "Con te, vecchio alchimista, vorrei mettermi in cammino… Non devi mendicare per ottenere il cielo. Non mendicare, espugnalo piuttosto, se hai la forza". Noi vogliamo questo: vogliamo vivere il destino nell'intreccio degli incontri, vogliamo salutare il ritorno delle grandi idee contro i piccoli cabotaggi, di un pensiero che non proceda solo per episodi e non insegua una politica che veste i panni della fiction. Sono anche nostre le parole di Pablo Neruda, quando scrive: "La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle".

Nel tempo delle nuove povertà, i profeti di umanità non hanno smesso di essere necessari. Insieme a tutte le forze sane della società civile, vogliamo interpretare il cambiamento, intercettare la domanda, dissolvere i dogmatismi. L'ospite inquieto dell'Italia e dell'Occidente non è più il nichilismo, ma la mancanza di progetti, l'apparire che rischia di passare per realtà. Si racconta che Grigorij Potëmkin, ministro dell'imperatrice di Russia Caterina la Grande, in occasione di una sua visita in Crimea fece costruire una serie di finte facciate di villaggi per farle credere che le condizioni di vita nella regione conquistata fossero ottime. Anche oggi tanti cartelloni piantati sulle nostre strade o alzati in video, millantano soluzioni che non hanno aderenza alla realtà e non potranno soddisfare i bisogni e le giuste richieste di diritti e di lavoro ma solo creare altre attese e vicoli ciechi. Le domande serie hanno bisogno di risposte vere.
Ecco perché per noi l'etica della responsabilità non può rimanere sul piano dell'omiletica: o si fa prassi e cambia l'esistente oppure diventa parola al vento. Vogliamo andare oltre il frammento di un'Italia di parte, dove la parola si è spezzata o è precipitata nell'afasia. Tendere a una verità è il sentiero, a 'una' possibile verità. E poi l'avventura più bella: vegliare sul senso delle cose, ritrovare il pathos del pensiero, correre la sfida dell'infinita ricerca. É nel nostro Dna, non potremmo vivere senza questa febbre che ci rende sempre inquieti cercatori di sogni possibili, mai disincarnati.
C'è chi ci ha fatto strada, chi ha saputo immaginare destini in questi 150 anni. É da queste tracce che occorre ripartire, disegnando una cartografia altra rispetto a quella che porta sulle mappe quotidiane solo i luoghi comuni, le resistenze al dialogo, le lamentele che non sono accompagnate da uno scatto di reni oggi necessario come il pane. Vogliamo essere segno di una impazienza e conoscenza che è propria di chi abita i confini e sa di dover spostare le proprie tende, “lungo il passaggio che non prendemmo, verso la porta che mai aprimmo” (Eliot). Il Grande Oriente d'Italia da Torino a Palermo, e in ogni regione della nostra amata Italia, rinnova l'impegno a costruire una società più libera e giusta. É per questo per l'intera notte del 17 marzo, in tutte le Logge del Grande Oriente, abbiamo acceso le Tre Luci della Bellezza, della Forza e della Sapienza. Noi accendiamo luci di speranza, invece di maledire l'oscurità.
Orgogliosi della nostra storia unitaria, i Fratelli Liberi Muratori fanno strada alla gioia di sentirsi italiani. Dopo 150 anni, per restare insieme e costruire il futuro. Ma per avere un'Italia diversa e più giusta, bisogna ricominciare a sperare, aprire domande là dove vi sono risposte penultime e sterili 'ricette' qualunquistiche. Basta coi pensieri corti: abbiamo bisogno di lògos, non di fabula. Abbiamo sete di verità e non ci interessa il Gioco dell'Oca di personaggi che vendono le idee di una sola stagione.
Siamo uomini tra i tempi. In questi spazi interstiziali, la scommessa è puntare sul risveglio delle coscienze, sulla possibilità di dire e fare altro dall'esistente: in ultima istanza di decidere una storia diversa. Siamo in un cantiere aperto, dove la pietra di costruzione è la responsabilità del pensiero nei confronti della polis e il punto di arrivo è ritornare fieri di essere italiani, non essere costretti a trovare oltreoceano, come spesso accade, spazi e possibilità per la propria intelligenza e capacità di ricerca. La valorizzazione della Cultura è una delle strade miliari per le quali passa il nuovo patto di crescita degli italiani.
Nonostante tutto le parole sono una trincea. Resta un viaggio da fare. Sempre un altro. E poi – lo dico con forza – bisogna saper ascoltare: i giovani, soprattutto. E i più deboli. Perché ci sono sempre scorci di umanità oltre il destino di necessità che incatena tante storie. Costruire aperture è il compito dei Liberi Muratori, insieme allo sforzo di abolire i limiti. Essere attraversati da una paticità, come ci ha insegnato Aldo Masullo, significa aver cura del vissuto, ritrovarsi da capo presso una soglia, per sentire la Vita e l'altro. Ecco perché Mazzini e Garibaldi non sono per noi 'santini laici' o generi letterari da spendere sul mercato delle chiacchiere: sono invece esempi di uomini che hanno fatto strada a un'idea di Paese unito e solidale. Altro che circo di nani e ballerine rubacuori: torni l'Italia delle arti e dei mestieri, delle eccellenze e dei primati in ogni campo, l'Italia delle mille lotte di libertà che ci rendono unici in Europa. Torni il racconto di un'identità che ci è carne e destino.
La libertà è anche dare risposte non sbiadite, è coscienza di azione. Significa aiutare nuovi pensieri a venire al mondo, sentirsi esortati alla storia, consapevoli che c'è bisogno di maggiore comunicazione, a tutti i livelli, per non ritrovarsi come il re di Corinto che spinge il macigno verso la collina. Il Grande Oriente insegna che dove vi è linguaggio unitario vi è un mondo possibile di relazioni più profonde, non disseminato dalle infinite croci di chi pensa solo ai propri interessi. Richiamiamo dall'esilio i valori del vivere insieme e costruiamo quell'utopia razionale che si chiama Patria: una realtà che non è conclusione ma inizio di una nuova unità, quella che potrà essere realizzata per riappropriarci delle ragioni che hanno cementato, pietra su pietra, la costruzione dello Stato per rilanciare la scuola pubblica, la giustizia sociale, per dare a ognuno la possibilità di scegliere come vivere e morire. Questa è la nostra storia e vogliamo viverla con passione e ragione.
Gli italiani veri non devono aver paura di questa sfida. Senza revisionismi né polemiche, né coi Savoia né coi Borbone: i Fratelli del Grande Oriente sono con gli Italiani che ieri lottarono e si unirono per appartenere a un'unica Patria e oggi vogliono rinnovare e vivere il patto di fratellanza che costruisce un destino comune e un bisogno profondo di verità.
Avanti, allora, con umiltà e pensiero. Ma soprattutto decisi a mettere in circolo la speranza che abbiamo nel cuore. Non importa se saremo in pochi o in molti, se viaggeremo da soli o in cordata: importa solo la direzione che avremo dato al nostro cammino. Libertà e passione civile sono la forza dell'Italia unita. Indietro non si torna. Pur sapendo che tutto perisce, dobbiamo costruire nel granito le nostre dimore, fossero anche quelle di una notte.
Il Grande Oriente vuole, invece, fare memoriale di questi centocinquanta anni di storia secondo un punto di vista ben preciso: rileggere il passato per indirizzare le prospettive future. Cogliere gli aspetti incompleti, manchevoli, addirittura ingiusti della nostra storia, nella speranza di contribuire a creare le condizioni per sanare conflitti, ripristinare diritti, equilibrare squilibri inaccettabili. Esercitare la ragione e il sentimento per migliorare, tutti e insieme, mai per distruggere e dividere.
Se guardiamo all'Italia come ad un cantiere in costruzione, essa ci apparirà come una struttura ben strana: per molti aspetti incompleta, per altri futurista e innovativa. Noi siamo Muratori. I cantieri dovrebbero essere la nostra casa. Il lavoro è certamente molto, ma possiamo collaborare a renderlo più efficace, più utile per il bene comune, della Patria, dei suoi cittadini, ma anche degli altri europei e di tutti coloro che, carichi di buona volontà, offrano il loro sapere, pratico o intellettuale. Non ci interessa di quale religione siano o di quale colore sia la loro pelle. Ci sta a cuore che siano pronti ad accettare i valori fondativi della modernità: la laicità della società civile e dello Stato; la parità dei diritti e dei doveri tra uomini e donne; l'inapplicabilità di norme proprie dei diritti confessionali a dispetto delle leggi dello Stato. Paradossalmente si tratta delle medesime norme che regolano, in principio, la stessa sociabilità massonica. Ma anche di alcuni dei principi valoriali per cui, in tutto il mondo e nel corso della sua storia secolare, la Libera Muratoria è stata frequentemente attaccata. Come mai?
Se facciamo più attenzione, vedremo che il principio dell'eguaglianza reale, della piena libertà etico-morale e politico-filosofica del cittadino, della sua autonomia di coscienza rispetto alla o alle religioni, l'idea dell'emancipazione dei proletari, dell'educazione di massa, della scuola obbligatoria, dell'uguaglianza tra uomini e donne, la critica della violenza e della guerra, appartengono a quella costellazione di valori propri dell'illuminismo radicale, che però sono stati travasati (almeno in parte o in formato germinale) nei principi costitutivi delle costituzioni politiche degli Stati più moderni d'Europa, e che poi, sulla scorta della Rivoluzione Francese e della Massoneria d'oltralpe si sono diffusi anche in Italia e costituiscono uno dei filoni principali della Muratoria italiana. Non dimentichiamo, infatti, che se l'Italia festeggia 150 anni di unità, noi ne abbiamo da poco festeggiati già 200.
In questo periodo i Massoni, ove è stato possibile, si sono distinti come uomini capaci di costruire grandi progetti, di realizzare sogni, di scrivere leggi e riforme che, ad esempio in Italia con Coppino e Zanardelli, Meucci, Ruini, Giovanni Conti e Randolfo Pacciardi portarono emancipazione e sviluppo. Più che al coraggio dei combattenti sul campo di battaglia, dobbiamo così rivolgerci ora agli artefici della modernità. Il loro esempio, che ritroviamo tra i liberi muratori, numerosissimi, che contribuirono alla redazione della nostra Carta Costituzionale, è quello che deve ispirarci. Non basta, infatti, sventolare un tricolore per rendere migliore questo paese. C'è stata un'epoca in cui tale gesto veniva ripetuto costantemente, tra sbattere di tacchi e mani romanamente levate. Ci trovammo con le leggi razziali ed una guerra devastante. Non la retorica del gesto, ma la coscienza del suo valore, la pregnanza del suo declinarsi futuro per via delle implicazioni che reca. Non il rito del tifoso, che può trasformarsi in hooligan, ma la costanza meditata di una responsabilità. Etica, morale e civile.
Se noi Liberi Muratori vogliamo veramente onorare i nostri predecessori, ai quali dobbiamo la costruzione delle fondamenta di questa casa in cui abitiamo, non dobbiamo perdere il senso della Religione Civile della Patria e dello Stato. Non certamente la celebrazione di uno Stato Etico, con tutte le sue implicazioni intolleranti, ma quella di uno spazio di libertà, di garanzie, di diritti e di doveri volti a lasciare pieno e libero sviluppo al lavoro, all'industria, al sapere, all'arte, alla felicità.
Una testimonianza di un tratto e di un comportamento esemplari anche nella vita civile, nelle istituzioni ove operiamo, nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro: una testimonianza quotidiana che insegni ad apprezzare la Religio Civile. Una Religione che è ligamen, che accolga tutti, nelle loro diversità, e che veda tutti uniti sotto una serie di simboli e di valori condivisi, al di là delle distinzioni di sesso, religione, razza, età, cultura e censo, così come recitano alcuni articoli fondativi delle nostra Carta Costituzionale.
Noi guardiamo, quindi, al futuro. Un futuro in cui le grandi istituzioni che strutturano la nazione siano sempre più prestigiose ed efficienti. In questo senso non si può festeggiare troppo, se la Scuola italiana soffre o se i giovani non trovano sbocchi adeguati nel quadro delle prospettive di ricerca alla pari con gli altri paesi. Non vogliamo fare alcun riferimento a riforme recenti o altro, ma solo sottolineare che l'Italia è stata grande anche e soprattutto attraverso i suoi scienziati, i suoi letterati, gli economisti, i matematici (senza peraltro dimenticare che Melchiorre Gioia, il fondatore della Statistica, è stato un nostro fratello). Se queste prospettive di legittima grandezza, coltivate attraverso le arti, le lettere, le scienze e le libere professioni, non trovano un respiro ampio ma si ripiegano su se stesse, o con una generale sfiduciа o attraverso la fuga dei cervelli, il Paese è destinato a invecchiare nello spirito. Noi vogliamo contribuire аd un nuovo Risorgimento dello spirito, alla promozione di un senso di fiducia nelle prospettive future, indicando nell'attenzione ai giovani uno dei punti chiave del rinnovamento. Allo stesso tempo è necessaria maggiore sensibilità ai temi civili, che le nuove scoperte scientifiche aprono, in particolare sui grandi problemi della bioetica, che nuovamente soffrono di troppo ambiguità se non di un'aperta subordinazione al punto di vista proprio di una sola teologia. Noi non combattiamo le dottrine religiose, ma rivendichiamo la libertà di coscienza di fronte a tutti quei grandi interrogativi sui quali solo i singoli e il sacrario del proprio cuore possono dare le dovute risposte.
É nostra speranza che, di fronte agli scenari di guerra che infuocano il Mediterraneo ed il Nord Africa, l'Europa ritrovi la necessaria coesione per superare gli egoismi di parte che la dimensione comunitaria avrebbe dovuto stemperare e che, quindi, più adeguate risposte pacificatorie e gravide di soluzioni umanitarie aprano una nuova fase della storia contemporanea senza ricadere in un nuovo, deleterio quanto impossibile, neocolonialismo.
Lavoriamo così alla costruzione di quella Religione Civile che può garantire la libertà di coscienza di ciascuno, che può fondare nuove basi per un mondo sempre più travagliato, in modo da sanare gli errori del passato e permettere veramente, dopo 150 anni di storia, a noi e ai nostri figli, di dirci, senza indugi, senza se e senza ma, pur nel contesto di una più grande patria europea:
Fratelli e Sorelle d'Italia. É questa la nostra scommessa, è questa la nostra vita.

Rimini, Palacongressi, 03 aprile 2011