"Bacche bene venie"

Carmina Burana secolo XIII

Tributo alle vittime dell'Inquisizione (Fabrizio De Andrè)

Crediti: lo scritto che segue è quanto Domenico Orano ha redatto a mo' di introduzione al suo lavoro di indagine sui documenti delle annotazioni di giustizie della Confraternita di San Giovanni Decollato, a cui era affidato l'ufficio, tenuto fino al 1870, di accompagnare al patibolo i condannati dell'Inquisizione. Un lavoro, quello di Orano, testimoniato nel testo: "Liberi Pensatori bruciati in Roma" dal XVI al XVIII secolo. Il testo è stato riedito dalla Bastogi nel 1980.

 

 

Nel raccogliere le annotazioni che pubblico della Confraternita di San Giovanni Decollato, ho inteso togliere dall'oblio immeritato uomini che sacrificarono la vita per le loro idee e documentare una volta di più di quali pagine sanguinose si sia macchiato il cattolicesimo con la istituzione del Tribunale del Santo Officio.

Lo spirito ribelle in fatto di religione che s'era manifestato in Italia dopo il primo ventennio del secolo XVI, aveva spaventato la Chiesa, la quale temeva che la Riforma distruggesse completamente la compagine cattolica.

Ecco perché la Chiesa dopo avere spinto nel 1530 i domenicani a mostrarsi energici inquisitori delegati, stimò necessaria l'istituzione della Santa Inquisizione (21 luglio 1542), freno all'impetuoso avanzarsi del libero esame.

Né l'inquisizione primitiva diocesana, né quella vescovile ordinaria, né quella delegata da Roma, né quella di Stato, né quella stessa di Spagna ebbero autorità sì grande come il Santo Officio romano. [L’Inquisizione romana, confiscava a proprio vantaggio i beni dei liberi pensatori che mandava al supplizio fossero essi penitenti o impenitenti]

Il Tribunale della Inquisizione una volta istituito funzionò sempre, raggiungendo negli anni che corsero dal 1562 al 1600 periodi di attività febbrile.

Improba fatica compirono coloro che raccolsero notizie intorno a questo o a quell'eretico, per la mancanza della fonte principale a cui attingere il materiale prezioso. L'Archivio del Santo Officio è tuttora segreto e pure è la dentro che giacciono dimenticati i nomi di migliaia e migliaia di eretici. Vi furono è vero dei papi che sin dal secolo XVI permisero di trarre da quell'Archivio copia di qualche documento: così Paolo III inviava a Filippo II l'estratto del processo contro il cardinale Polo, e Paolo IV a Caterina dei Medici quello contro il Carnesecchi.

Ma furono casi isolati. In realtà la Chiesa non ha mai voluto la luce.

Senza il breve rivolgimento del 1848, nemmeno il processo Carnesecchi sarebbe stato pubblicato. Sono noti i dinieghi fatti a Domenico Berti pei documenti del Bruno; è nota la malafede usata nella concessione fatta ad un colto sacerdote di pubblicare la sentenza contro lo stesso Bruno. Ancora oggi non è permesso allo studioso di entrare nell'Archivio e, se qualcuno riesce ad ottenere una copia di qualche documento, questo è trascritto d'ufficio da un impiegato, in modo che ne è falsato interamente il contenuto. Luigi Amabile ebbe prova documentata dei disonesti metodi del Vaticano.

Alla grande lacuna dell'Archivio del Santo Officio suppliscono in minima parte: la Raccolta della Biblioteca del Trinity Collegium di Dublino, contenente quattordici volumi di atti giudiziali in materia di fede, dal 1564 al 1659, l'Archivio del Governatore di Roma, gli Archivi di Stato di Bologna, di Mantova, di Ferrara, di Venezia, di Napoli, i carteggi degli ambasciatori veneti, da cui trassero i loro lavori l'Amabile, il Corvisieri, il Berti, il Fontana, il Manzoni e il De Blasiis, ma più d'ogni altro i libri del Provveditore della Confraternita di San Giovanni Decollato.

La "Venerabile Arciconfraternita di San Giovanni Decollato detta della Misericordia della nazione fiorentina in Roma" aveva l'ufficio, conservato sino al 1870, di accompagnare all'estremo supplizio i condannati.

Generalmente, la sera avanti della esecuzione capitale la Compagnia era avvisata dall'autorità giudiziaria di recarsi nelle carceri a prendere in consegna il condannato che aveva il dovere di confortare sino all'ultimo momento.

Dagli atti della Confraternita risulta che al povero paziente non veniva data pace se non quando mostrasse di ravvedersi, ciò che equivaleva alla volontà di morire nel seno della Santa Chiesa cattolica.

L'utilità grande dell'Archivio di San Giovanni Decollato apparve quando si volle documentare il bruciamento del Bruno, il di cui atto di morte è contenuto nel volume 15, alla carta 87.

La Chiesa negò sempre che il Bruno fosse stato bruciato e ancora nel 1885 uno scrittore cattolico, il Desdouits, parlava della "Légende tragique de Jordano Bruno, comment elle a été formée, son origine suspecte, son invraisemblance".

Fu solo quando vide la luce l'atto di morte registrato nei libri della Confraternita, che la Chiesa tacque. Ma quando non poté più negare il bruciamento del Bruno, continuò ad affermare che quel bruciamento fosse stato l'unico e il solo e che non fosse stata essa Chiesa a bruciare, ma il famoso "braccio secolare".

Ingenua obbiezione sol che si pensi che la Chiesa ben sapeva quale morte spettasse a colui che essa consegnava al "braccio secolare".

L'Archivio della Confraternita dimostra luminosamente quanta fosse l'autorità del Papa e del Santo Offizio, i quali potevano liberare il condannato anche appiedi del rogo. Che del resto i bruciamenti degli eretici fossero avvenimenti ordinari i documenti ch'io pubblico, di cui alcuni furono di già resi noti dall'Amabile, lo dimostrano.

La Chiesa, anche quando non poté più, per timore degli Stati, bruciare gli uomini solo perché non professavano la fede cattolica, non per questo cessò dal perseguitarli. Supplizi terribili essa adottò per coloro che si permisero di giudicare l'opera della Chiesa e del Papato.

Alcune persecuzioni come quelle contro i gazzettieri o menanti prima e i liberi muratori poi son note. Al rogo era sostituita la tortura lenta che uccideva nel carcere, l'impiccamento o la decapitazione. Né si perdonava all'eretico morto. [Forma della sentenza condannatoria contro un eretico già morto in Sacro Arsenale, ouero pratica dell’Officio della Santa Inquisizione di nouo corretto et ampliato. Genova 1653].

Ricordo fra le esecuzioni più importanti per delitti politici o religiosi, la decapitazione di Giacinto Centini (1635) per sentenza del Santo Offizio "Pro crimine lesæ majestatis divinæ et humanæ", quella di Vincenzo Scatolari giustiziato a Ponte "per foglietti" il 2 agosto 1685, dei fratelli Missori decapitati a Ponte S. Angelo il 15 gennaio 1585, di Antonio Bevilacqua e Carlo Maria Campana minori conventuali, decapitati il 26 marzo 1695 nelle Carceri Nuove, di Filippo Rivarola condannato al taglio della testa il 4 agosto 1708 "per aver ritenuto Pasquinate contro il Papa, sparlato del medesimo e per aver avuto commercio cogli eretici", di Domenico Spallaccini da Orvieto, impiccato e bruciato a Campo di Fiori il 28 luglio 1711 "per essersi spacciato per prete e aver detto messa", di Gaetano Volpini, decapitato a Campo Vaccino il 3 febbraio 1720 "per aver scritto libelli contro il Papa e la sua corte", di Enrico Trivelli, decapitato a Ponte S. Angelo il 23 febbraio 1737 "per composizioni di scritture malediche e sediziose contro il Papa".

Nell'accompagnare il condannato i confortatori si munivano di certe tavolette ove erano dipinte immagini e queste tavolette consegnavano nelle mani del condannato e, se questo non le voleva, gliele tenevano sotto gli occhi nel confortatorio lungo tutto il tragitto, sino sul palco. L'insistenza diveniva un vero fanatismo se il morituro era un eretico. E spesso se il paziente respingeva imperterrito quelle immagini, il provveditore nel trascrivere la giustizia eseguita si lasciava sfuggire nei suoi libri parole più o meno violente contro di lui.

La Compagnia della Misericordia teneva nota in appositi libri o giornali delle esecuzioni alle quali aveva preso parte sia perché esse rappresentavano un'entrata ed un'uscita che andavano registrate, sia perché vi conservavano i testamenti dei giustiziandi. Quello di raccogliere l'ultima volontà dei condannati era un privilegio di cui essa godeva. Come privilegio del pari era quello di seppellirne i corpi nelle tombe del chiostro che le era stato concesso da Papa Cibo.

Sono quelle annotazioni che costituiscono dei veri atti di morte dei giustiziati e che suppliscono alla fonte mancante. É vero che pensatore o delinquente volgare è per la Compagnia tutta una cosa e che il segretario si dilunga di più, ad esempio, per la esecuzione di certo Stampino ladro che per quella di Pomponio Algeri. Anzi, qualche volta in caso di eretico impenitente l'estensore se la cava con poche parole, lieto di togliersi quella noia senza dover trascrivere il testamento del giustiziando, al quale in questo caso non si riconosceva il diritto di testare.

Non vi sono norme fisse sulle annotazioni delle giustizie. Generalmente v'è il nome, il cognome, la paternità, il luogo di nascita del condannato; v'è indicata la carcere dove è stato tolto, il luogo dove è stato giustiziato, il delitto che ha commesso. Ma spesso mancano ora l'uno ora l'altro di questi dati, e quando è taciuto il cognome o il delitto diventa un problema l'identificazione della persona.

V'era invece un formulario per testamento. [Modula per il Provveditore circa le interrogazioni. Per il testamento. Domanda: I° Voi vi chiamate? 2° Vi ritrovate in età? 3° Avete voi parenti? 4° Volete che dopo la vostra morte si scriva ai vostri parenti e gli si faccia sapere qualche cosa? 5° Avete voi denari o altra robba? 6° Avete voi da restituire qualche cosa ad alcuno? ed avete alcun debito? 7° Vi ricordate di dovere restituire il buon nome al vostro prossimo, per averlo falsamente aggravato in qualche occasione? 8° A chi volete voi lasciare la vostra roba? 9° Vi protestate di morire da buon cristiano rassegnato alla volontà del Signore? 10° Perdonate al vostro prossimo qualunque offesa che ne abbiate ricevuta, come desiderate che il Signore perdoni a voi i vostri peccati? Archivio di Stato. Confraternita di San Giovanni Decollato, busta 32, carte diverse (1525-1868).]

I libri delle giustizie della Confraternita di San Giovanni Decollato, che si trovano ora nell'Archivio di Stato e formano un fondo speciale, hanno importanza grande sia per la topografia di Roma e in particolar modo per le sue carceri, i suoi luoghi di giustizia, sia infine per la storia della reazione cattolica in Roma.

Ho voluto pubblicare solo le annotazioni di giustizie di eretici posteriori al 21 luglio 1542, non perché prima di quell'epoca la Chiesa non bruciasse o perché i Libri della Confraternita non registrino prima supplizi di eretici ma per limitare la pubblicazione alle vittime del Santo Offizio romano. Da quel Basilio bruciato al tempo di Gregorio Magno, ad Arnaldo da Brescia e al «Hieronimo francioso luterano» appiccato e bruciato, ricordato dal Bertolotti, la Chiesa non cessò mai dal perseguitare col fuoco il pensatore ribelle e torrenti di sangue e altissime nubi di fumo ricordarono nei secoli ai Romani l'intolleranza religiosa dei vicarii di Gesù. Il bruciamento non fu l'unica pena a cui sottostava l'eretico e se si ebbero liberi pensatori arsi vivi o decapitati sulle pubbliche piazze ve ne furono anche strangolati in carcere. Il bruciamento era anche usato contro i falsificatori di monete, di bolle papali, e i colpevoli di "vizio nefando. ["Jeronimo de Coglioni da Bergamo, Alessandra Fiorentina, Monna Caterina fiorentina" appiccati e bruciati a Ponte il 22 dicembre 1557 per sodomia].

Il Papato conservò il bruciamento ai rei di delitti comuni sino agli albori del secolo XIX.

Io dirò qui con la medesima forza e la stessa commozione ciò che ho detto altra volta, studiando questa sacra epopea del libero pensiero innovatore dinnanzi alla resistenza del cattolicesimo. A me, nel trarre fuori dall'Archivio della confraternita di San Giovanni Decollato il nome sconosciuto di tanti martiri del pensiero, vampava nel sangue l'anima grande e libera degli ignoti eroi che io voglio oggi tolti dal mistero dell'Archivio di Stato e consacrati alla gloria e alla venerazione del mondo civile.

E sono storie singole di anime che valgono la storia di un impero.

Meno rarissime eccezioni, nessuna storia, nessuna cronaca ricorda quelle morti gloriose. Nessun cronista, nessuno storico osò sfidare le ire tenaci della Chiesa, le terribili procedure della Santa Inquisizione. Del resto, che cosa rappresentarono nel secolo XVI quegli uomini dall'anima fremente di libertà, bruciati vivi? Nulla. Tante vittime di più nella immensa ecatombe che i Papi hanno immolato al rigido ideale cattolico.

Di molti di quei martiri non è altro ricordo che nelle brevi e disadorne parole del segretario dell'Arciconfraternita di San Giovanni Decollato. Ebbene, quelle parole confuse fra i conti e le spese della corporazione, bastano per documentare che coloro morirono con la visione potente della libertà nel cuore, col nome adorato della libertà sulle labbra.

Giordano Bruno, Pietro Carnesecchi, Aonio Paleario, morirono saldi nelle loro idee, ma essi sapevano che la loro morte non avrebbe distrutto le loro opere; essi sapevano che al sacrificio del presente s'accompagnava nell'avvenire la gloria, la rivendicazione, l'eternità. Ma quei modesti sacerdoti, quei semplici cittadini che nessuna opera avevano composta, ma che per un lampo di fede nuova, gettata la tonaca alle ortiche o abbandonata la famiglia, gli averi, la patria, si davano a predicare dal pulpito o dalle cattedre delle città che raminghi attraversavano, sapevano bene che, scomparsa la generazione entusiasmata dalla loro parola ideale, nulla sarebbe rimasto di loro e il fuoco sacerdotale che bruciava crepitando il loro corpo e disperdeva al vento le ceneri argentee dei loro tessuti, avrebbe disperso nei posteri la memoria, il ricordo della loro esistenza! Eppure morirono da eroi!

La Chiesa credeva di distruggere l'idea distruggendo l'uomo. Essa non comprendeva allora come non comprese dipoi, che il prestigio di una religione non può che riposare unicamente sulla fede e che la fede deve essere lasciata libera come ogni altra forma di pensiero. Si crede perché si è persuasi e non perché si è costretti; e la libertà di pensiero è così legittima come quella della parola, dello scrivere, del camminare, del vivere.

Ma la Chiesa cattolica invece innalzò i roghi per i pensatori, bandì gli interdetti contro le città, scagliò le scomuniche contro gli Stati. E allora i pensatori, le città, gli Stati ribelli si moltiplicarono all'infinito e la Chiesa si trovò impotente a compiere l'opera sua demolitrice. Poteva essa dunque bruciare l'umanità intera?

A suggello di così sublime storia sin oggi ignorata, a compensare l'oblio lungo e profondo, io m'auguro, a educazione del popolo, che nella terza Roma un monumento ricordi il nome di tutti coloro che morirono marcati dal ferro sacerdotale per aver liberamente pensato.

Roma, 20 settembre 1904.

DOMENICO ORANO

 

 

Chiesa e Massoneria