"Axe phebus aureo"

Carmina Burana secolo XIII

 

Il 21.04.1884, pochi giorni dopo l'Enciclica "Humanum Genus", il Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia

Giuseppe Petroni inviava la circolare che segue a tutti Fratelli.

 

 

Illustri, Egregi e Venerati Fratelli,

Se noi ci crediamo in obbligo di dirigervi la parola, segnalandovi il documento, che, col nome di Enciclica, il Papa Leone XIII ha diretto a tutto il Mondo Cattolico, non è, certamente, perché reputiamo, che, in tutto quel lungo accatastamento di frasi, più o meno elaborate, si trovi una sola asserzione, che meriti di essere seriamente confutata e discussa.

La nostra antica e gloriosa Istituzione è abituata a simili violente diatribe dei Pontefici della Chiesa di Roma, ed era inutile che Leone XIII ci facesse l'enumerazione di quelle sciagurate Bolle ed Encicliche, che invocavano contro la Massoneria, oltre che i castighi di Dio punitore, il braccio secolare dei Principi e la tortura ed il capestro del carnefice. E tutto ciò perché la nostra Istituzione, umanitaria e veramente moralizzatrice e civile, combatteva, con l'energia dei suoi onesti sentimenti e con la forza della ragione e della scienza, quelle superstizioni pericolose e immorali, che avevano ritardato il fatale cammino della Umanità sulla eccelsa via del progresso. Però fomite ai maggiori odii contro di noi era il vederci banditori e sostenitori sinceri, quanto convinti, di quei sacrosanti princìpi di tolleranza, di fratellanza e di amore, che il Divino Institutore del Cristianesimo aveva predicati, e il suo Vangelo consacrava, e che a Chiesa di Roma aveva, rinnegato, e dei quali avrebbe voluto, potendolo, soffocare persin la memoria. All'intolleranza del Clero di Roma pareva enormità, che nei Templi della Libera Muratoria si ammettessero tutti gli uomini onesti, che onoravano il grande Ideale umano della Divinità in tutte le forme e in tutti i modi della preghiera con le opere caritatevoli e sante ed anche con la stessa negazione scientifica. Però, ora avremmo creduto che anche la Chiesa di Roma, quantunque si faccia bella della sua immobilità in mezzo allo incessante progredire delle cose umane, avesse dai tempi e dalle vicissitudini qualcosa imparato, e credevamo anzi che, dopo l'Enciclica Quanta cura, emanata, con infelice esito, dal predecessore dell'attuale Pontefice, Leone XIII, che ha pure fama di dotto e di sapiente, non avrebbe mai fatto seguire questa dell'Humanum Genus, più insipiente e più inqualificabile, per le sue asserzioni gratuite e per le sue insinuazioni calunniose.

Il documento, o Egregi e Carissimi Fratelli, vi è noto, e non abbiamo quindi bisogno di segnalarvene i passi più fieramente avversi alla nostra Istituzione. Voi li avrete a quest'ora già giudicati e stigmatizzati con la vostra sapiente disapprovazione. «Libero alla Chiesa di Roma di querelarsi a sua posta sul toltole potere temporale; libero di ricalcitrare contro la stessa Provvidenza, che ne ha determinato inesorabilmente la fine; libero di vaneggiare sul suo ideale dell'abbassamento e dell'annichilimento della dignità umana, fino a rimpiangere i secoli barbari e santificare, in Giuseppe Labre, l'esempio del cinismo e dell'abbrutimento morale !

Ciò si comprende; come si comprende il tardo ed intempestivo appello al braccio secolare dei Principi per distruggere quella Sètta, alla quale si addebita tutto il progresso dell'incivilimento umano, e si infligge la responsabilità anche di quelle aberrazioni, che, in ogni grande elaborazione, di principii e nella esplicazione delle più giuste riforme, sogliono sempre, più o meno, infiltrarsi.

Queste cose erano da aspettarsi, da parte di una Istituzione, che si vede crollare sotto i piedi il presente e che certamente e giustamente diffida del proprio avvenire. Ma la Massoneria, forte com'è, sotto l'usbergo della coscienza pura, individuale e collettiva dei suoi aderenti, non avrebbe ad occuparsene, lasciando ai ciechi di negare il sole, lasciando agli uomini ed alle istituzioni, destinati a perire, la libertà degli ultimi aneliti. Tolleranti ed amorevoli, come sempre, noi ci saremmo accontentati di sorridere di compassione, di guardare e di passare avanti nel nostro cammino.

Ma quando vediamo, in un documento, destinato ad essere letto e commentato in tutto il Mondo civile, segnalarsi al sospetto, al disprezzo ed agli odii feroci delle classi più inintelligenti, una classe di cittadini, soltanto perché si chiamano Massoni, allora noi dobbiamo pensare, se non sia il caso di legittima difesa, e se non si debba, pur troppo, ricordare, che, nella seconda metà di questo secolo, e pochi anni or sono, da questa stessa Roma, ancora dominata dal Potere Teocratico, partivano assoldati e benedetti i briganti che insanguinavano le nostre Provincie Meridionali.

Ricordate, o Egregi e Dilettissimi Fratelli, quante lagrime e quanto sangue, in altri paesi, e proprio in questi ultimi anni, abbiano costato alcune imprudenti e poco cristiane insinuazioni contro la operosa e innocente razza Semitica; e pensate che, non invano, una parola, anche insipiente, è detta in così alto luogo, e che, se non si provveda in tempo ai riparo, potremmo, davvero, rimpiangere la nostra indifferenza e quella noncuranza, che sarebbe legittima e sublime, se non potesse riuscire pericolosa e fatale.

Illustri, Egregi e Venerati Fratelli, La Massoneria Italiana, giovane di anni, ma ardente di fede e di coraggio, sta alla vostra avanguardia. A Voi, però, la parola d'ordine, per assegnarci il posto di battaglia e per dirigerci con mosse sapienti, a quella vittoria, che non può mancare, a chi combatte per la verità e per la giustizia.

Gradite, Illustri e Venerati Fratelli, il mio fraterno saluto.

 

Dato dalla Sede del Grande Oriente d'Italia nella Valle del Tevere all'Oriente di Roma il giorno 21 del mese II dell'Anno di V.·. L.·. 000884 e dell'E.·. V.·. il 21 aprile 1884.

 

Il Gran Maestro GIUSEPPE PETRONI

Chiesa e Massoneria