In verità i papi non furono i primi a condannare la massoneria perché già tre anni prima della prima enciclica, l’Olanda aveva preso misure contro l’attività delle logge e in Francia, il 14 settembre 1737, venne proibita dal primo ministro, il Card. Fleury, ogni adunanza dell’associazione dei frey-maçons. Analoghi provvedimenti vennero in seguito adottati da altri paesi.
Questi precedenti repressivi furono approvati nella condanna di Clemente XII che ricordava come già molti stati avessero proibito le riunioni dei framassoni e rinnovava l’esortazione «che nessuno, per nessun pretesto o titolo colorato, osi o presuma di iscriversi alle dette società dei Liberi Muratori o Francs-Maçons o altrimenti nominate».
La bolla In Eminenti condannava la massoneria per una serie di motivi sia di carattere politico che religioso di cui i principali erano: la massoneria raccoglieva uomini di ogni fede religiosa che «si legano reciprocamente con un patto tanto stretto quanto impenetrabile, secondo leggi e statuti da essi stabiliti, e si obbligano con giuramento prestato sulla Bibbia e sanzionato da gravi pene, a occultare con un silenzio inviolabile tutto ciò che fanno nell’oscurità del segreto»; attentava la pace e la stabilità degli stati perché «da queste associazioni derivano grandi mali alla tranquillità degli stati temporali e non possono conciliarsi con le leggi civili» e infine perché ostacolava la salvezza delle anime. Per questi motivi e «per altri giusti e ragionevoli motivi a Noi noti» chi avesse aderito o in qualche modo «presuma propagarle, aiutarle, accoglierle nella propria casa o altrove, occultarle, esservi iscritto o aggregato, parteciparvi, dare il permesso o facilitare la loro convocazione in qualche luogo, prestar loro qualunque appoggio, oppure consigliarle, aiutarle o favorirle in qualunque modo, in occulto o apertamente, direttamente o indirettamente, di persona o per mezzo di altri; esortare, indurre, spingere o persuadere altri ad iscriversi» incorreva nella scomunica ipso facto.


Sicuramente il comune denominatore che legava le misure repressive dei governi europei e la scomunica clementina era la clandestinità delle riunioni e il giuramento di segretezza sui lavori svolti. Questi due elementi furono all’origine delle misure adottate contro la libera-muratoria negli stati europei e nell’Impero ottomano prima e dopo la scomunica di Clemente XII.
Vararono provvedimenti antimassonici nel 1737 il Governo di Luigi XV di Francia e il principe elettore di Mannheim nel Palatinato; nel 1738 i magistrati della Città di Amburgo ed il re Federico I di Svezia; nel 1743 l'Imperatrice Maria Teresa d'Austria; nel 1744 le autorità di Avignone, Parigi e Ginevra; nel 1745 il Consiglio del Cantone di Berna, il Concistoro della Città di Hannover e il Capo della Polizia di Parigi; nel 1748 il gran sultano di Costantinopoli; nel 1751 il re Carlo VII di Napoli (futuro Carlo III di Spagna) e suo fratello Fernando VI di Spagna; nel 1755 gli Stati Generali d'Olanda; nel 1756 il Cantone di Ginevra; nel 1763 i Magistrati di Danzica; nel 1770 il governatore dell'Isola di Madeira e il Governo di Berna e Ginevra; nel 1784 il principe di Monaco e l'Elettore di Baviera Carlo Teodoro; nel 1785 il Gran Duca del Baden e l'Imperatore d'Austria Giuseppe II; nel 1794 l'Imperatore di Germania Francesco II, il Re di Sardegna Vittorio Amedeo e l'Imperatore russo Paolo I.


Il concetto venne ribadito nell’editto promulgato nel 1739 dal Segretario di Stato vaticano, Card. Firrao, che di fatto applicava operativamente la condanna. L’editto bollava la massoneria come sospetta d’eresia e nemica della religione cattolica affermando che «poiché tali aggregazioni, adunanze e conventicole non solo sono sospette di occulta eresia, ma inoltre sono pericolose alla pubblica quiete e alla sicurezza dello Stato della Chiesa, giacché se non contenessero materie contrarie alla fede ortodossa e alla stabilità e quiete della cosa pubblica, non userebbero tanti vincoli di segretezza» e chi avesse partecipato alle sue riunioni sarebbe stato condannato alla pena di morte e alla confisca dei beni da «incorrersi irrimediabilmente e senza speranza di grazia». Chi avesse trasgredito avrebbe attirato su di se oltre le pene temporali «l’ira di Dio e dei santi apostoli Pietro e Paolo».

La prima ricaduta repressiva della condanna pontificia avvenne non a caso nella terra natale di Lorenzo Corsini, in quella Firenze dove fin dal 1731 era stata fondata una loggia ad opera di alcuni inglesi. Tra i personaggi più in vista la loggia fiorentina annoverava gli italiani Antonio Cocchi, Antonio Niccolini e Tommaso Crudeli. E proprio sul poeta Tommaso Crudeli che l’inquisizione diresse le sue accuse per condannare la massoneria nel Granducato. Dopo un processo farsa Crudeli venne condannato al carcere e in seguito esiliato a Poppi e a Pontedera. Poté far ritorno a Firenze nel 1745 dove poco dopo morì a seguito dei maltrattamenti patiti.


Il 18 maggio 1751 venne emessa la seconda condanna per opera del famoso Card. Prospero Lambertini, elevato al trono di S. Pietro con il nome di Benedetto XIV (1740-1758).
Il successore di Clemente XII, conosciuto universalmente come uomo di rara cultura e umanità, ribadì nella Bolla Providas Romanorum Pontificum quanto espresso nella precedente condanna.

Due furono i motivi che spinsero Benedetto XIV a reiterare la scomunica 13 anni dopo la prima condanna: la diffusione, soprattutto nell’Italia meridionale, di logge massoniche e la smentita categorica delle voci ricorrenti di una sua simpatia verso l’istituzione libero-muratoria. Oltre alla denuncia del segreto rituale suggellato da un giuramento dei lavori compiuti in loggia, Prospero Lambertini si appellava ai governi europei perché applicassero le costituzioni ecclesiastiche per difendere sia l’integrità della fede che l’autorità delle istituzioni civili. La grande novità della bolla benedettina consistette nel ribadire le disposizioni del diritto romano contro i collegia illicita, disposizioni che proibivano le associazioni formate senza il consenso della pubblica autorità. Qui è importante far notare che la illiceità, dal punto di vista giuridico, di tale associazione, influì a farla considerare e a ritenerla illecita anche sotto quello morale.

Si ebbe così una chiara trasposizione e petizione di principio, in tale motivazione. Accadde allora che nelle nazioni a sistema confessionale i massoni furono perseguitati non come tali, bensì per offesa alla religione cattolica e che il delitto di massoneria si basava sulla lesione dell'ordinamento religioso cattolico. Poiché questo era considerato come base della costituzione degli Stati cattolici, il delitto ecclesiastico automaticamente passava ad essere concepito e castigato come delitto politico.
Il primo ad accogliere le direttive del Papa fu il re di Napoli, Carlo VII, che ricevette in anteprima il testo della bolla papale scritta soprattutto per contrastare il rifiorire di logge nel suo regno.

La bolla venne consegnata dal gesuita Francesco Maria Pepe, famoso predicatore dei lazzeri e acceso antisemita, e Carlo di Borbone rispose immediatamente inviando la minuta del suo Editto che venne pubblicato il 2 luglio 1752. In questa pronta ed entusiastica risposta Benedetto XIV ravvisò con soddisfazione che la sua tesi della stretta alleanza tra trono e altare per combattere la massoneria era condivisa proprio da quel Re che solo sei anni prima aveva tolto ai vescovi ogni autorità in materia civile creando un grave contrasto tra il regno borbonico e la Santa Sede.
Contemporaneamente alla pubblicazione dell’editto, Napoli venne messa a soqquadro dalla massa dei lazzeri, che istigati da padre Pepe, si scagliarono contro la massoneria accusata tra l’altro di essere la causa del mancato miracolo di San Gennaro nel 1751. Il capro espiatorio di questa rivolta popolare fu il Gran Maestro della massoneria napoletana, il principe Raimondo Di Sangro, indicato per le sue ricerche chimiche e le invenzioni bizzarre come un mago e un eretico. Il principe di Sangro, con un’abile politica fatta di ritrattazioni e difesa dell’ordine libero-muratorio partenopeo, riuscì a convincere le autorità che la «conventicola dei franç-masons» non era pericolosa e di conseguenza rese mite la repressione. Infatti Carlo VII si limitò a sequestrare le carte delle logge e infliggere agli appartenenti una solenne ammonizione dopo che questi avessero sconfessato i principi della setta davanti a un giudice competente per ogni ceto.


Peggior sorte toccò invece negli Stati Pontifici al famoso ed enigmatico Giuseppe Balsamo detto Conte di Cagliostro. Dopo aver attraversato in lungo e in largo l’Europa dei Lumi, lasciandosi dietro una fama di mago e guaritore, Cagliostro venne arrestato nel 1789 e processato dal Santo Uffizio con l’accusa di essere un mago, eretico e libero muratore. Agli occhi della chiesa la colpa più grave era che Cagliostro avesse fondato una obbedienza denominata Massoneria Egiziana di Alta Scienza, di cui si proclamava Gran Maestro o «Grande Cofto». Ma non solo. Cagliostro tentò, tramite la mediazione del Cardinale di Rohan e del vescovo di Trento, Conte di Thum, di ottenere il riconoscimento del suo rito da parte di Pio VI.
Questo tentativo scatenò la reazione della componente più antimassonica e conservatrice della Curia romana che ordinò l’arresto di Cagliostro e chiese la condanna a morte per essere stato il «ristoratore e propugnatore in una gran parte del mondo della massoneria egiziana, e che questa stessa aveva esercitato in Roma». Il processo venne accompagnato da un rogo purificatore dei libri e degli arredi della loggia di Cagliostro in piazza Santa Maria sopra Minerva non distante da Campo de’ Fiori, famosa per un altro rogo dove perse la vita Giordano Bruno.
Dopo che la condanna a morte venne tramutata in carcere a vita Giuseppe Balsamo venne rinchiuso nella fortezza di San Leo il 22 aprile 1791 e quattro anni dopo morì per le torture e le vessazioni subite.
Il processo contro Cagliostro servì alla Chiesa cattolica per avvalorare la tesi della pericolosità politica e sociale, sostenuta da Benedetto XIV, della «nefanda setta massonica» alla vista dei fatti rivoluzionari che stavano sconvolgendo la Francia e di cui si sospettava l’esistenza di un complotto internazionale.


La prima condanna pronunciata dalla Santa Sede contro la Massoneria data dal 28 aprile 1738, quando
Clemente XII promulgò la bolla In eminenti. Il Papa interdiva a tutti i fedeli di far parte delle
«società, assemblee o associazioni sparse sotto il nome di liberi muratori o frammassoni, o sotto altro nome secondo la lingua del paese»; colpiva i contravventori con la pena della scomunica. Tentava di giustificare la misura che prendeva: «Queste associazioni, diceva, sono state giudicate nello stessa modo dagli altri, come da noi, visto che le autorità di differenti paesi le hanno condannate, da lungo tempo, come dannose per la sicurezza degli Stati e se ne sono prudentemente sbarazzate». Il 14 luglio 1739, una dichiarazione del Cardinale Segretario di Stato fece conoscere che la bolla doveva essere interpretata nel senso che era proibito ai massoni di riunirsi, dove si sia, sotto pena di morte. In alcuni paesi cattolici la bolla fu pubblicata col consenso del potere civile. In altri paesi, essa non ottenne il placet; e fu il caso specialmente della Francia, dove non fu mai considerata come obbligatoria.

Il 18 maggio 1751, Benedetto XIV rinnovò la condanna nella bolla Providas. A sua volta, tentava di dare i motivi della decisione. Egli si basava sul fatto che le riunioni dei massoni comprendevano persone di differenti religioni; insisteva sul fatto che l'associazione stabiliva un legame stretto, e, notando ch'essa era segreta, concludeva dicendo che l'istituzione doveva essere ritenuta criminosa – «Il principe ed i magistrati, diceva, hanno il diritto di conoscere quello che fanno i sudditi, in qualsiasi assemblea, e d'impedire il male ch'essi potrebbero commettere». Come ha fatto osservare un autore massonico, rimproverando ai massoni il segreto di cui si circondavano, la Santa Sede dimenticava che il cristianesimo nascente aveva avuto i suoi misteri e le sue iniziazioni e che i pagani consideravano ciò un delitto. Come la bolla In eminenti, anche la bolla Providas non fu pubblicata in Francia.

Quasi tutti i successori di Clemente XII e di Benedetto XIV hanno creduto dover rinnovare le proibizioni emanate da questi due; così fecero Pio VII, Leone XII, Pio VIII, Gregorio XVI, Pio IX e Leone XIII.

 

In questa sezione sono riportate tutte le Encicliche, Bolle e i documenti che  raccontano di questa antinomia Massoneria - Chiesa ingenerata dalla condizione laica della Massoneria che da sempre ha contestato alla gerarchia ecclesiastica ogni diritto alla direzione della umanità.

Da dire che non tutte le Encicliche e le Bolle Papali presentate riguardano direttamente la Massoneria, in ogni caso vi si riferiscono trattando di «Società Segrete».

Chiesa e Massoneria