Tommaso di Torquemada, primo inquisitore generale di Spagna, morì il 16 settembre del 1498. L'abuso da lui fatto della illimitata autorità che gli si era accordata avrebbe dovuto far deporre il pensiero di dargli un successore, ed invece far pensare all'abolizione di un tribunale di sangue così contrario alla dolcezza del Vangelo; e la quantità delle vittime sagrificate in diciotto anni avrebbe abbondantemente giustificata tale misura. Eccone il calcolo.
Lasciando da banda il calcolo dedotto dai quattro auto-da-fè che dovevano celebrarsi ogni anno da tutte le Inquisizioni, prenderemo un altro metodo di approssimazione.
Il Mariana pretende, sulla testimonianza di antichi manoscritti, che nel primo anno dell'inquisizione: si bruciassero in Siviglia duemila persone ed altrettante in effigie, e che diciassettemila subissero la pubblica penitenza. Potrei sostenere, senza tema di esagerazione, che gli altri tribunali condannarono altrettante persone nel primo anno del loro stabilimento; pure ridurrò questo numero alla decima parte, perché le denuncie furono a Siviglia assai più vive che altrove.
Andrea Bernaldez, storico contemporaneo, dice che dal 1482 fino al 1489 si diedero in Siviglia alle fiamme più di settecento persone e se ne condannarono alla pubblica penitenza più di cinquemila, senza contare le giustiziate in effigie: supporrò che il numero degli ultimi fosse la metà soltanto dell'altro, sebbene talvolta non fosse minore ed anche più.
Stando a quest'ipotesi, v'ebbero un anno per l'altro dell'indicato periodo novantotto condannati alle fiamme, quarantaquattro bruciati in effigie e seicentoventicinque puniti con una pubblica penitenza nella sola città di Siviglia, lo che porta a settecento cinquantasette il totale delle vittime di questa Inquisizione.
Credo che ve n'abbiano avute altrettante il secondo anno e ne'susseguenti in tutte le altre inquisizioni, fondando la mia opinione sulla considerazione, che nulla mi può essere addotto in contrario: tuttavia voglio ridurne il numero alla metà.
Nel 1524 fu posta all'Inquisizione di Siviglia un'iscrizione portante che dall'epoca dell'espulsione degli ebrei eseguitasi nel 1492 fino al 1524, erano state bruciate circa mille persone e più di ventimila penitenziale.
Mi limiterò a supporre che siansi bruciate soltanto mille persone e cinquecento solamente giustiziate in effigie; e questo calcolo porta trentadue persone bruciate ogni anno personalmente, sedici in effigie, e seicentoventicinque punite con una pubblica penitenza, cioè in tutto seicentosessantatré individui colpiti dall'Inquisizione. Riduco questo numero alla metà per ciaschedun'altra Inquisizione, onde non mi vengano contestati i miei risultati, malgrado le ragioni che avrei di crederne il numero quasi eguale alle vittime di Siviglia.
Potrebbe supporsi per i tre anni 1490 e 91 e 92 che passarono tra il racconto di Bernaldez e l'iscrizione di Siviglia lo stesso sistema che per gli otto anni di questo storico; pure, per allontanare ogni sospetto di esagerazione, mi atterrò al numero portato dall'iscrizione, perché più moderato. Su tale fondamento mi accingo a dare il conto delle vittime immolate da Torquemada, primo inquisitore generale, ne'diciotto anni della sua crudele amministrazione.
Nel 1481 si bruciarono sotto gli occhi dell'Inquisizione di Siviglia duemila persone, duemila in effigie, e diciassettemila furono condannate a varie pene, lo che dà un risultato di ventunmila condannati. Per quest'anno non conto verun individuo nelle altre provincie dove non esisteva la nuova Inquisizione.
L'anno 1482 offre nella stessa città novantotto individui effettivamente bruciati, quarantaquattro in effigie, e seicentoventicinque penitenziati; totale settecento cinquantasette. Io non parlo ancora delle altre Inquisizioni.
Nel 1483 v'ebbe in Siviglia un egual numero di vittime: ed in quest'anno entrarono in esercizio i tribunali dell'Inquisizione di Cordova di Jaen e quello di Toledo, ch'era in allora stabilito a Ciudad-real. Partendo dall'ipotesi stabilita, daremo ad ognuno de'nuovi tribunali duemila e cento condannati, cioè seimilatrecento fra tutti e tre, che uniti a quelli di Siviglia sono settemila cinquantasette.
Nel 1484 le cose si passarono in Siviglia come nel precedente anno. A Cordova, Jaen e Toledo contiamo ottantaquattro vittime bruciate in persona, ventidue in effigie e trecentododici penitenziate; in tutto punite millequattrocento novantuno.
Nel 1485 le Inquisizioni di Siviglia, Cordova, Jaen e Toledo non si scostarono dal praticato nel precedente anno. I tribunali che in quest'anno medesimo furono eretti nell'Estremadura, a Valladolid, Calahorra, Murcia, Cuença, Saragozza e Valenza, ci danno per cadauno dugento condannati di prima specie, dugento della seconda e millesettecento della terza; totale sedicimila cinquecento e più condannati.
Siviglia, Cordova, Jaen e Toledo danno ancora il medesimo risultato nel 1486, ed i sei altri tribunali quattromilacinquecento sette condannati d'ogni specie.
E così proseguendo d'anno in anno, apparisce che Torquemada nei diciotto anni del suo ministero inquisitoriale fece perire tra le fiamme diecimiladugentoventi vittime, bruciare in effigie seimilaottocentosessanta, e novantasettemilatrecento ventuno condannò alla pena dell'infamia, della confisca dei beni, della prigione perpetua, della esclusione dagli impieghi pubblici ed onorifici. Il prospetto generale di queste barbare esecuzioni ammonta a centoquattordicimilaquattro centouno il numero delle famiglie per sempre perdute; non comprendendo in questo numero le persone che per le loro relazioni di parentela coi condannati venivano ad essere più o meno partecipi della loro sventura.
Se il calcolo da me fatto sembrasse esagerato in alcuni auto-da-fè dell'Inquisizione di Toledo per gli anni 1485, 86, 87, 88, 90, 92 e 94, si troverà che furono in quella città condannate ne'sette indicati anni seimilatrecentoquarantuno individui; lo che ci presenta per adequato novecentosei individui all'anno. Si moltiplichi questo numero per tredici, che é quello dei tribunali d'Inquisizione, e si avrà per ogni anno undicimilasettecento settantotto individui, ossia dugentododicimila e quattro individui in questi diciotto anni.
Se avessi per gli altri tribunali dell'Inquisizione portato il calcolo così alto come quello di Siviglia, avrei avuto quattrocento e più mila persone punite dal Sant'Ufficio in così breve periodo.
Si aggiunga ch'io non feci entrare in questa somma i condannati in Sardegna, sebbene sia cosa certa che Torquemada v'immolò delle vittime.
Non feci neppure parola dell'Inquisizione di Galizia né di quella dell'isole Canarie e del Nuovo Mondo né di quella della Sicilia, perché, malgrado gli sforzi fatti per istabilirvi il nuovo sistema inquisitoriale, vi durava tuttavia l'antico; lo che dimostra chiaramente che il rigore del nuovo sistema inquisitoriale era più temuto perché lasciava minori mezzi di difesa. Se noi risguardiamo come vittime di Torquemada tutti gl'individui che furono giudicati dopo la di lui morte nelle Inquisizioni fondate dai suoi successori, chi potrebbe calcolarne il numero?

L'ardente zelo di Torquemada non limitavasi alla persecuzione delle persone, stendevasi anche ai libri. Nel 1490 fece bruciare molte biblie ebraiche, ed in appresso più di seimila volumi in un auto-da-fè ch'ebbe luogo a Salamanca sulla piazza di Santo Stefano, sotto pretesto che fossero infetti degli errori del giudaismo, o pieni di sortilegi, di magia, di stregonerie e di altre superstiziose pratiche. Quante riputate opere non perirono in questa circostanza come pericolose, sebbene non avessero che il solo difetto di non essere intese!

Circa quarant'anni prima un altro domenicano, chiamato Lope de Barrientos, confessore del re di Castiglia Giovanni II, aveva condannata alle fiamme la biblioteca di don Enrico d'Aragona, marchese di Villena, principe del real sangue d'Aragona, senza avere verun riguardo alla sua parentela col re. Questo impetuoso ecclesiastico, per prezzo dell'insulto fatto al cugino del suo principe e dello zelo fanatico che aveva dimostrato, venne nominato vescovo di Cuenca.
Di già gli antichi inquisitori di Aragona avevano condannate al fuoco varie opere, ma non avevano ardito di farlo che in virtù d'una commissione apostolica, che non poteva avere effetto in Castiglia. Nel 1490 Torquemada diede l'esempio di una somigliante esecuzione in forza di un ordine ricevuto dal re Ferdinando.
Pure è cosa tanto avverata che l'autorità dell'Inquisizione non si estendeva fin là che un'ordinanza di Ferdinando e d'Isabella del 1502 incaricava i presidenti delle cancellerie di Valladodid e gli arcivescovi di Toledo, Salamanca, Siviglia, ecc., di tutto ciò che risguardava l'esame, la censura, la stampa, l'introduzione e la vendita dei Libri. Ma in appresso, e specialmente sotto Carlo V, osò all'ultimo di pretendere che la censura dei libri fosse un diritto primitivo e naturale del tribunale, che gl'inquisitori chiamavano il tribunale della fede.

Perciò nell'età nostra si è veduta riclamare quando sotto Carlo III si volle far cessare quest'abuso, ordinando l'esecuzione della costituzione di Benedetto XIV e vietando la pubblicazione di veruna proibizione di libri prima di averne ottenuto la sanzione del re per canale del ministero di stato. Ma io potei da me stesso convincermi, in seno allo stesso tribunale, fino a qual segno il governo sia stato su questo particolare ingannato.
Gl'inquisitori abusano del segreto che nasconde le loro deliberazioni e trovano sempre il modo di censurare que'libri la cui dottrina venne loro denunciata come in tutto o in parte sospetta. La notizia che davasi al sovrano di tali giudizi degenerò ben tosto in semplice formalità, giacché stampavasi l'editto di proibizione prima di avere soddisfatto a tale atto e senza far sapere al sovrano se gli autori de'libri condannati erano stati sentiti o no, né per quali motivi avevano i censori qualificata la loro dottrina.

Tante sventure ed altre non poche che io non accenno furono la conseguenza del sistema adottato da Torquemada e da lui raccomandato, morendo, ai suoi successori. Giustificano queste l'odio generale che lo accompagnò fino al sepolcro e ch'egli aveva così vivamente eccitato nel corso di diciott'anni, onde aveva dovuto adottare alcune precauzioni per porre in sicuro la propria vita. Ferdinando ed Isabella gli permisero di farsi scortare ne'suoi viaggi da cinquanta famigliari dell'Inquisizione a cavallo e da dugento a piedi. Ciò poteva salvarlo dall'aperta violenza de'suoi nemici; ma altre misure adottò per prevenire i segreti insidiatori. Torquemada teneva sempre sul suo tavolo un corno di lioncorno, cui supponevasi la virtù di far scoprire e di neutralizzare i veleni. Non farà maraviglia che molti cospirassero contro la sua vita, se si rammenti l'estrema crudeltà della sua amministrazione. Lo stesso Papa fu atterrito da tanta crudeltà dietro le lagnanze che gli venivano ogni dì presentate; di modo che Torquemada fu costretto di spedire tre volte a Roma il suo collega Alfonso Badaja colla commissione di difenderlo innanzi al Papa contro le accuse de'suoi nemici.
Finalmente Alessandro VI, vedendo spinte le cose all'ultimo estremo fu in sul punto di spogliarlo dell'autorità di cui lo aveva rivestito, e non desistette che per stime politiche e per non offendere la corte di Spagna. Si limitò adunque a spedire il 23 di giugno del 1494 un breve nel quale diceva che, essendo Torquemada giunto alla decrepitezza, aveva nominati inquisitori generali per l'andamento degli affari dell'Inquisizione e come suoi coadiutori rivestiti di poteri eguali ai suoi don Martino Ponce de Leon, arcivescovo di Messina in Sicilia, che dimorava in Spagna; don Ignazio Manrique, vescovo di Cordova; don Francesco Sanchez de la Tuente, vescovo d'Avila, e don Alfonso Suarez ed Tuentelsaz, vescovo di Mondognedo. Ognun di loro era dal Papa autorizzato a fare da sé solo tutto quanto troverebbe conveniente di fare ed a terminare gli affari cominciati da un altro.

I familiari del Sant'Ufficio, che supplivano le incombenze di guardie del corpo del primo inquisitore generale Torquemada, erano successori de'familiari dell'antica Inquisizione. Dovevano tener di vista gli eretici ed i sospetti d'eresia, somministrare soccorso per imprigionarli ai sergenti ed agli sgherri del tribunale, e fare tutto quanto sarebbe loro ordinato dall'inquisizione per la punizione degli accusati.

 



l brano è opera d'ingegno di Pietro Tamburini ed è tratto da: "Storia Generale della Inquisizione" 1862, a cui si rimanda per gli approfondimenti.

Indice

La "Santa Inquisizione" L'Inquisizione in Spagna Tribunali e Giudizi Dies irae, dies illiae Tommaso Torquemada

Il Malleus Maleficarum Un olocausto sconosciuto Liberi Pensatori arsi a Roma Pomponio Algerio

 


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