Abbozzo di un esame giuridico della questione

 

L'enciclica Providas istituzionalizza un conflitto che avrebbe invece potuto essere bloccato, con evidente vantaggio della cultura e della presenza cattolica nel mondo nuovo che bussava ormai prepotentemente alle porte in fatto di sociologia, di politica, di diritto pubblico, di pastoralità. Mancò nella Chiesa la capacità di accogliere l'ipotesi della revisione del passo compiuto nel 1738 da un Pontefice apertamente invalido, in base a informazioni precarie e tendenziose, con finalità che non é ancora stato possibile acclarare fino in fondo, ma nelle quali non sembra manchino moventi politici, quand'anche non siano prevalenti.

Le fonti del documento benedettino sono quelle di Clemente XII nella sostanza; le consulenze di cui il Pontefice si servì furono ancora una volta mediocri e unidirezionali.

Tendevano unicamente a distruggere la Massoneria, senza porsi nessuna ipotesi diversa. Né si desideravano suggerimenti diversi, bensì unicamente giustificazioni a una linea di condotta precostituita e intransigente: in effetti fu impossibile non prendere visione anche dell'ipotesi dialogica, esistente nella Chiesa, ma essa venne scartata come indegna di cittadinanza. Come avverrà poi regolarmente nella letteratura pontificia ed episcopale, gli unici documenti che ottengono attenzione in rapporto alla realtà latomistica, sono quelli basati sulla sensazione a volte anche molto grossolana, mentre i soli documenti che dovrebbero essere presi in attenta considerazione, ed eventualmente messi in verifica sperimentale, vale a dire le Costituzioni, i Catechismi e i Rituali, pur studiati accuratamente, non ottengono nessun credito, appunto perché la condanna é già pianificata prima ancora di ascoltare il reo: é unilaterale.

Per quanto molta luce debba ancora farsi a proposito della mentalità e delle finalità non solo teologiche, ma pastorali, socio-politiche, economiche e soprattutto giuridiche di Benedetto XIV, forse non é azzardato eccessivamente il dire che i migliori alleati del Pontefice, nel rinnovamento dell'ecclesialità, sarebbero stati proprio i fermenti latomistici e quelli dei nuovi orientamenti riportabili all'enciclopedismo. Ma sarebbe stato ingenuo attendersi un accoglimento frettoloso di queste istanze tanto esplosive; ragionevole sarebbe stato però l'attendersi che il rigetto non fosse tanto incondizionato e definitivo.

Nel caso in questione la biografia iniziatica del Principe di San Severo va studiata con ogni attenzione, perché egli, nonostante tutte le possibili riserve da avanzare su taluni aspetti sconcertanti, é sotto ogni punto di vista l'uomo del futuro che valuta accuratamente ogni possibile soluzione, e si riserva di sperimentare di persona i pro e i contro della realtà latomistica, così come tende a fare per tutte le altre realtà dello scibile, nel visibile e nell'occulto.

Ma i fermenti innovatori, che da tempo erano già operanti anche nell'interno della Chiesa, furono rigettati. Obiettivamente parlando, si deve dire che trionfò il rigetto del rischio e della creatività, delle riforme e delle revisioni all'interno dell'ecclesialità e in relazione alla società civile. Questo non significa che al Pontefice mancassero motivi di diffidenza nei confronti dei nuovi tempi. Il fatto, poi, che nella Chiesa, a parte rare eccezioni, regnasse un clericalismo e un bigottismo generalizzato, non favoriva orientazioni diverse. Ancor meno favorivano tali orientazioni il modo con cui alcuni ecclesiastici più aperti diffondevano le loro opinioni, e la vita che molti di essi conducevano.

Già a proposito del rigetto totale ed acritico dei valori del liberalismo giudicato presente e funzionante sopratutto nel massonismo, che si verificò nel secolo XIX soprattutto attraverso Pio IX e Leone XIII, noi abbiamo notato che se tale rigetto fosse mancato, la caduta del Potere Temporale sarebbe stata impossibile. Sembra a noi che quel potere che nell'Ottocento assumeva soprattutto connotazioni politiche, nel secolo di Benedetto XIV era coagulato soprattutto su problemi culturali. Gli errori, le cecità, le inadempienze degli uomini di Chiesa, resero inevitabile il progressivo logorio della preminenza ecclesiale, sicché l'uomo e la società poterono emanciparsi. Com'é vero che una Chiesa politicamente impostata come lo era quella ottocentesca non poteva sopravvivere, così bisogna dire che non poteva sopravvivere una Chiesa culturalmente e civicamente impostata come lo era quella settecentesca. Solo la cecità dei dirigenti, in tutt'e due i casi, poteva garantirne l'uscita dalla storia.

 

Fu danno che tutto questo, nell'un caso e nell'altro, avvenisse polemicamente, lasciando duri strascichi ed eredità che ancor oggi pesano su di noi.

Per queste ragioni, é inevitabile notare che quella del rapporto Chiesa Massoneria, rappresenta una delle pagine più oscure del pontificato di Benedetto XIV. È una vera antinomia, il dover dire questo per un Pontefice non solo amabile e tollerante, ma dottissimo, forse, come molti giustamente ritengono, il più dotto che abbia occupato il Seggio di Pietro.

  

Disinformazione e pregiudizialità

Il tema massonico, nella storia, viene di lontano. Si rifà a diversi movimenti, alcuni dei quali chiaramente ereticali, altri cattolici ortodossi, che si pongono il tema della riforma della società. In molti casi é collegato con l'associazionismo segreto che affonda le sue radici nei «collegia fabrorum» romani, viene avanti con diverse associazioni medievali, coi Rosa-Croce, coi Maestri Comacini, e soprattutto con gli associati dell'Arte Reale, la Libera Muratoria che costella l'Europa di cattedrali, monasteri, Hotels de Ville e anche di castelli e palazzi laici.

Il tema presenta perciò una complessità non facilmente spiegabile. Si pensi che per una questione a prima vista tanto marginale, com'é quella massonica, s'é finora accumulata una bibliografia che conta 100.000 titoli. Non è possibile liquidare un fatto del genere in poche battute, ma non sarà fuori luogo notare che non é tanto il fatto della Massoneria a rivestire così grande importanza, quanto piuttosto la ragione che genera questo fatto e che è possibile descrivere così: di fronte alla disfunzione delle strutture sociali, politiche, religiose, queste ultime viste soprattutto nei loro riflessi sulle altre, gruppi di élites si colleghino per vederci chiaro nelle ragioni delle disfunzioni e per postularne la correzione.

Tenendo presente questo smembramento del problema, é possibile comprendere la posizione del Di Sangro, che da una parte difende l'onestà e la validità della Libera Muratoria, e dall'altra non ha pudore nell'evidenziarne le «nugae» e le leggende banalizzate in rituali e gesti teatrali. Su questa posizione si collocherà Federico il Grande di Prussia, il quale definì la Massoneria «un grand rien» e dall'altra ne tessé l'apologia, che pare ricalcata sull'apologia del Principe di S. Severo, nella famosa lettera ai Gesuiti tedeschi che l'attaccavano furibondi.

Nella Chiesa venne assolutizzata solo la protasi federiciana e non si andò oltre. Si videro soltanto gli aspetti negativi del fatto muratorio e delle ragioni che lo sospingevano, e soltanto i pericoli ch'esso poteva rappresentare alla purezza della fede, né si diede peso al perfetto conformismo socio-politico della Muratoria, la quale tendeva a fermentare l'assolutismo dal di dentro, in maniera che esso maturasse verso il pluralismo e la democrazia professata in Loggia. Non s'accettò l'ipotesi della verifica dei motivi eventuali del permanere della Muratoria e delle altre società affini.

La posizione di Benedetto XIV va conglobata con quella del suo predecessore Clemente XII, della quale egli assunse il tutto, «de verbo ad verbum» (Loc. cit., p. 7). Essa é di carattere giudiziario. Se nel primo caso ci troviamo di fronte a un personaggio che, al momento dell'inchiesta e della condanna é fuori della storia a causa delle sue malattie e della sua cecità, nel secondo ci troviamo di fronte al più illustre canonista del Settecento, che compie l'iter giudiziario nel pieno possesso delle sue facoltà biofisiche e mentali. Questo iter sfocia in una condanna di scomunica dichiaratamente priva d'appello e valida per l'eternità:

«... eandem Predecessoris nostri Constitutionem praesentibus, ut supra, de verbo ad verbum insertam, in forma specifica, quae omnium amplissima, et efficacissima habetur, et Apostolicae auctoritatis nostrae plenitudine, earundem praesentium Litterarum tenore in omnibus et per omnia, perinde ac si Nostris motu proprio, auctoritate, ac nomine primum edita fuisset, confirmamus, roboramus, et innovamus, ac perpetuam vim et efficaciam habere volumus, et decernimus» (Ivi, p. 7).

Questa posizione, passata in giudicato, fece testo fino al 19 luglio 1974 allorché per la prima volta con un documento pubblico la scomunica venne considerata abrogata; fu confermato da circa 450-500 documenti di ogni tenore e dimensione.

Le posizioni di Clemente XII e di Benedetto XIV sono tipiche della società cristiana monoconfessionale: in primo luogo, decretano i due Pontefici, il trovarsi insieme fra persone di diversa confessione religiosa, mette in pericolo la purezza della fede cattolica; in secondo luogo il chiudersi nel segreto, per di più sotto giuramento, autorizza il sospetto; inoltre il segreto nasconde sempre il male. L'addebito é così espresso in Clemente XII e riproposto in Benedetto XIV:

«Cujuscumque religionis et Sectae homines, affectata quadam contenti honestate naturalis specie, arcto aeque, ac impervio foedere, secundum Leges et Statuta sibi condita, invicem consociantur. Quaeque simul clan operantur, dum districto jurejurando ad Sacra Biblia interposito, tum gravium poenarum exaggeratione, inviolabili silentio obtegere adstringuntur.

«Verum, cum ea sit sceleris natura, ut se ipsum prodat, et clamorem edat, sui indicem. Hinc Societates, seu Conventicula praedicta vehementem adeo Fidelium mentibus suspiciones ingesserunt, ut iisdem Aggregationibus nomen dare, apud prudentes, et probos idem omnio sit, ac pravitatis, et perversionis notam incurrere» (Ivi, p. 4).

Per impedire i gravi danni che una società del genere arreca alla Chiesa e alla società civile, e «aliisque de justis, ac rationabilibus causis, Nobis notis» (p. 5), che in Benedetto XIV vengono espresse come segue:

«justis gravibusque id exigentibus causis» (Ivi, p. 3).

Il dispositivo di sentenza, dunque, a fatti chiaramente espressi aggiunge sospetti e cause che restano segrete e non vengono contestate; esse vengono giudicate valide unilateralmente: «ragionevoli» per Clemente XII, «giuste e gravi» per Benedetto XIV. Il giudizio viene dunque motivato su clausole segrete, le quali condannano il segreto come capo d'imputazione gravissimo. Non si dà convocazione dell'imputato, né gli si accorda difesa. Un barlume di attenuante é espresso da Clemente XII in quella certa «ostentata onestà naturale» e nel ricordo della Bibbia come garanzia di giuramento; quest'ultimo fatto è da un lato attenuante, dall'altro aggravante.

Per quanto attiene alla formulazione dei sei capi d'accusa di Benedetto XIV rimandiamo a quanto già s'é detto più sopra. Qui li richiamiamo sommariamente:

 

1) perniciose alla fede cattolica;

2) segreto delle riunioni e dei documenti costituzionali e rituali;

3) giuramento che sanziona il segreto;

4) associazionismo libero, escluso da tutte le legislazioni coerenti con quella del giudice, cioè assolutiste;

5) condanna già pronunciata contro la Libera Muratoria da diversi principi e regnanti;

6) cattiva fama che i LL. MM, godono presso le persone probe e rette.

 

Dal punto di vista formale, pur con le gravi inadempienze appena espresse, la sentenza condannatoria é corretta. Sembra a noi che il fulcro di questa legittimità é soprattutto nell'addebito n. 4, relativo all'associazionismo libero e privato.

Gli addebiti 3 e 4 sono comuni alla società condannata e a quella che condanna, così come lo sono per tutte le altre autorità dell'epoca, e, fatte le debite distinzioni e aggiornamenti, per tutte le società tout court.

Quanto all'addebito n. 5 si può notare che a pari, molti principi non hanno mai condannato la Libera Muratoria, com'é il caso, per esempio, dell'Inghilterra e della Prussia; e che in altri casi, dopo un primo atto di condanna, non solo le società iniziatiche sono state ammesse, ma re e principi ne sono stati i capi naturali.

Il punto più controvertibile é invece quello del n. 6 relativo alla cattiva fama che i LL.MM. godono presso la gente. I documenti che noi esibiamo, alcuni dei quali per la prima volta, sono stati attentamente esaminati dagli officiali di Curia che curarono l'iter giudiziario; nel casi di Benedetto XIV possiamo affermare con tutta certezza che egli li esaminò personalmente, tanto da domandare spiegazioni e chiarifiche specifiche per alcuni di essi, scrivendo a Carlo III delle Due Sicilie. Altri documenti analoghi, che non conosciamo dettagliatamente ma che senz'alcun dubbio non sono dissimili da questi, furono a loro volta studiati ed escussi in ordine al giudizio da emettere.

La loro lettura ci pone di fronte a un interrogativo addirittura molto spinoso: la duplice scomunica fu motivata solamente da disinformazione, oppure induce a chiamare in causa la buona fede? Si trattò di una maturazione obiettiva, o semplicemente di una costruzione tendente a giustificare un giudizio precostituito?

Il fatto merita di essere accuratamente studiato, né possiamo presumere di risolverlo in questa sede. Qui s'intende solo richiamarlo.

Ognuno vede, certamente, che la chiamata in causa della buona fede é di una gravità eccezionale, almeno se lo si pone in termini soggettivi e personali, riferito cioè a Benedetto XIV in persona. E questo é del tutto estraneo a ogni nostro più lontano intendimento. Ma è ben noto che gli atti pontifici hanno un iter molto lungo e molto complesso, nel quale intervengono componenti e considerazioni della più varia natura. In ogni caso esso resta allo stadio della pura ipotesi, e solo in riferimento alla molteplicità delle componenti che entrarono in questione, all'interno della Curia, e nel mondo circostante, che su Roma faceva riferimento e pressione.

Non si può invece escludere la motivazione del terrore di fronte all'istanza di una mutazione di impostazione del rapporto Chiesa Mondo e del rifiuto di accoglimento di qualsiasi ipotesi riformistica, in questo campo.

Dal punto di vista sostanziale é soprattutto questa considerazione che va tenuta presente. È indiscutibile che la posizione della Chiesa nei confronti della Libera Muratoria é dettata da considerazioni teologiche e pastorali. Bisogna per l'appunto portare l'attenzione più approfondita possibile per delineare le fonti, le caratteristiche, le finalità di queste scelte teologiche e pastorali; lo studio di esse deve passare per questa strada della Providas e degli altri documenti ad essa riportabili. Lo studio che siamo venuti facendo in questa sede attesta che la teologia e la pastorale che emergono nel caso, sono discipline rivolte unicamente all'indietro e alla conservazione.

La condanna clementino-benedettina va giudicata come un documento prigioniero dell'ordinaria amministrazione; impegnato a tenere in piedi valori barcollanti, che non hanno nessun avvenire dinanzi a sé. Questo gesto che vincolerà per oltre due secoli la storia del Popolo di Dio, inaugura una delle più pericolose involuzioni psicotiche della cattolicità: gettare addosso al settarismo, soprattutto quello massonico, ogni responsabilità relativa alle crisi o alle difficoltà che la Chiesa incontrerà sulla sua strada. È la politica del capro espiatorio, che impedisce la visione del reale stato delle cose, e di conseguenza la capacità di conversione e di aggiornamento. La libertà di visione sarà conquistata con incredibile ritardo e a caro prezzo.

Indice

Le circostanze della condanna Il carteggio con Carlo III La Massoneria Napoletana

Un esame giuridico della condanna Bibliografia

 

Chiesa e Massoneria