"Roma gauden jubila"

        Anonimo francese secolo XIII

 

Signor Principe

“La Santa Sede manifesta la conoscenza che ha del pericolo che il Carbonarismo, alla testa del quale sarà ben presto posta l'Alta Vendita, fa correre alla società:
"Le cose non procedono bene in nessun luogo, ed io trovo, caro Principe, che noi ci crediamo troppo dispensati dalla più semplice precauzione. Qui, io mi trattengo ogni giorno cogli ambasciatori d'Europa sui futuri pericoli che le Società segrete preparano all'ordine di fresco costituito, e m'accorgo che mi si risponde colla più bella delle indifferenze. S'immaginano che la Santa Sede è troppo facile a spaventarsi, e si fanno le meraviglie degli avvisi che la prudenza ci suggerisce. È un errore manifesto che io sarei ben felice di non veder partecipato da V. Altezza. Essa ha troppa esperienza per non voler metter in pratica il consiglio che è meglio prevenire che reprimere; ora è venuto il momento di prevenire; bisogna approfittarne, per non ridursi poi a una repressione che non farà altro che aumentare il male. Gli elementi che compongono le Società segrete, quelli soprattutto che servono a formare l'anima del Carbonarismo, sono ancora dispersi, malamente fusi o in ovo: ma noi viviamo in un tempo sì propizio alle cospirazioni, sì ribelle al sentimento del dovere, che la più volgare circostanza può molto facilmente formare una formidabile aggregazione di questi conciliaboli sparsi qua e là. V. A. mi fa l'onore di dirmi, nella sua ultima lettera, che io mi inquieto forse troppo vivamente per qualche scossa ben naturale dopo una così violenta tempesta. Io vorrei che i miei presentimenti restassero allo stato di chimera: nondimeno non posso più a lungo cullarmi in una sì crudele speranza.


"Da tutto ciò che io raccolgo da varie parti, e da quanto congetturo per l'avvenire, io credo (Ella vedrà più tardi, se ho torto) che la Rivoluzione ha cambiato cammino e tattica.
Essa non attacca più ora, armata mano, i troni e gli altari, essa si contenterà di minarli con incessanti calunnie: seminerà l'odio e la diffidenza fra i governi e i governati; renderà odiosi gli uni, compiangendo gli altri. Un giorno poi le monarchie più secolari, abbandonate dai loro difensori, si troveranno alla discrezione di alcuni intriganti di bassa condizione ai quali nessuno degna accordare uno sguardo d'attenzione preventiva.
Essa sembra pensare, sig. Principe, che in questi timori da me manifestati (ma sempre per ordine verbale del Santo Padre) vi sia un sistema preconcetto e delle idee che non possono nascere che a Roma. Giuro a V. A. che scrivendo a Lei e rivolgendomi alle alte Potenze, io mi spoglio completamente di ogni interesse personale e guardo la questione da un punto molto più elevato. Non fermarsi a considerarla ora, perché essa non è ancor entrata, per così dire, nel dominio pubblico, è un condannarsi a tardivi pentimenti.
 

"Il governo di Sua Maestà I. R. Apostolica prende (io lo so e il Santo Padre lo ringrazia di tutto cuore) tutti i savii provvedimenti che esige la situazione: ma noi vorremmo che egli non si addormentasse, come il rimanente dell'Europa, sopra terribili eventualità. Il bisogno di cospirare è innato nel cuore degli Italiani: non bisogna permetter loro che si sviluppi questa cattiva tendenza: altrimenti, in pochi anni, i principi saranno costretti a incrudelire. Il sangue o la prigione stabilirà fra questi e i loro sudditi un muro di separazione. Così noi cammineremo verso un abisso, che con un po' di prudenza sarebbe assai facile evitare. Grazie agli eminenti servigi che V. A. rese all'Europa, essa ha meritato un posto privilegiato nel consiglio dei Re. Ella ha, caro Principe, acquistata e inspirata confidenza: aumenti ancora questa sua gloria sì universale, mettendo i cospiratori novizi nell'impossibilità di nuocere agli altri come a se stessi. In quest'arte di previdenza e di calcolo anticipato risplendono i grandi uomini di Stato; ella si guarderà bene dal mancare alla sua vocazione”.