Quale rapporto sussiste tra la Libera Muratoria settecentesca e la grande rivoluzione francese iniziata nel 1789? Fu questa il risultato di un complotto massonico, come sostenne allora e fino a ieri un certo tipo di pubblicistica cattolica e reazionaria? E, in caso negativo, fino a che punto la Libera Muratoria contribuì al moto rivoluzionario? quale fu la sua effettiva incidenza sugli avvenimenti di quegli anni?


Per rispondere a questi interrogativi occorre in primo luogo tenere presente quali fossero le finalità etiche e politiche che avevano informato la Libera Muratoria fino dal suo nascere e che, codificate nelle Costituzioni (1) del «Fratello» Anderson fino dal 1723, formano tuttora il testo fondamentale di ogni associazione massonica. Da queste costituzioni, dalle cosiddette Old Charges risulta con estrema chiarezza che le finalità della fratellanza erano: l'educazione e la elevazione spirituale dei «fratelli»; l'impegno degli associati all'esercizio della filantropia e soprattutto dell'aiuto reciproco tra «fratelli». Il tutto però attuato sotto l'impero di un profondo spirito cristiano.
In seguito, quando nei decenni successivi alla fondazione cominciarono a sorgere i cosiddetti alti gradi, questi impressero alla società un carattere più rigidamente iniziatico ed ermetico, avviando gli affiliati verso studi esoterici, di tipo alchemico, teosofico, teurgico, oppure alimentando l'aspirazione ad una religione superiore, che comprendesse - entro l'ambito di un cristianesimo più aperto - le varie chiese fondate sul Nuovo Testamento. (Claude de Saint Martin, Joseph de Maistre, J. B. Willermoz).

Ma sorsero fra gli alti gradi anche aspirazioni meno spirituali come quelle di ricuperare i segreti e le ricchezze degli antichi cavalieri templari, o quella di scoprire l'elisir di lunga vita e la panacea.
 

Vigeva comunque lo spirito degli antichi doveri: nihil contra regem, nihil contra religionem; il vero massone era un suddito fedele al suo sovrano e rispettoso della religione in cui era cresciuto. Ma sostanzialmente nella spiritualità massonica - e soprattutto nella Libera Muratoria inglese dei primi tre gradi - si faceva sentire quella particolare religiosità newtoniana, proclamante la supremazia della ragione, nonché la dignità dell'uomo liberato dalla paura e dalla superstizione.
Ma tutto ciò per la Chiesa cattolica era un'eresia, come era una eresia lo spirito di tolleranza e il concetto di uguaglianza reale fra tutte le chiese cristiane.
Da qui le scomuniche del 1738 (In Eminenti Apostolatus) e del 1751 (Providas Romanorum) e da qui l'inizio di una pubblicistica antimassonica, da parte della Chiesa di Roma, che - per accaparrarsi l'appoggio del braccio secolare - attribuiva alla Libera Muratoria anche un contenuto eversivo ed antistatale.


L'inizio di questa pubblicistica si può far risalire al 1745, allorché apparve anonimo il libro L'Ordre des des Francs Maçons trahi (2)..., che dovrebbe essere l'opera dell'ex frate benedettino Giovanni Gualberto Bottarelli.
Da allora, quanto più i sovrani si appoggiavano alla Libera Muratoria per trovare un sostegno nella lotta contro i privilegi ecclesiastici, tanto più il Vaticano proclamava ai quattro venti, con libri, opuscoli, prediche e pastorali, il carattere eversivo della fratellanza.
 

La scoperta, nel 1786, della prima documentazione riguardante la setta degli Illuminali di Baviera, - i quali, sotto la copertura di un simbolismo massonico, combattevano per l'affermazione di una società ugualitaria e libertaria, ispirata ai principi di J. J. Rousseau - sembrò dare ragione ai propagandisti ecclesiastici. Effettivamente si trattava di un gruppo selezionato di liberi pensatori, i quali, applicando il gradualismo massonico (nonché le tecniche della pedagogia gesuitica), miravano a propagandare una ideologia materialista che, col tempo, avrebbe dovuto approdare alla realizzazione di una società comunista ed anarchica.

Ma gli Illuminati di Baviera non possono essere identificati con i Liberi Muratori. Essi rappresentavano già il prototipo delle società segrete politiche, quali si verranno configurando nel periodo napoleonico e della Restaurazione. Difatti, fino dal loro primo apparire, i massoni ufficiali li hanno ripudiati e si sono sempre rifiutati di considerarli «fratelli» appunto per la loro ideologia materialista e per le aspirazioni politiche, in contrasto con il proprio spiritualismo cristiano, sia pure sorretto da un razionalismo sinceramente liberale. Ancora oggi i massoni considerano gli Illuminati di Weishaupt, come una Massoneria irregolare, come una deviazione politica dalla vera tradizione della fratellanza (3).

Tuttavia la pubblicazione dei documenti comprovanti l'estremismo politico degli Illuminati, avvenuta proprio nel 1787, alla vigilia della rivoluzione francese, portò acqua al mulino di quanti sostenevano l'esistenza di un complotto massonico.
Non soltanto questo. Giovò anche alla tesi del «complotto» l'arresto ed il processo di Cagliostro (dicembre 1789-aprile 1790), poiché il famoso avventuriero siciliano confessò, con dovizia di particolari romanzeschi e fantasiosi, di essere il capo degli Illuminati, i quali si proponevano niente meno che di rivoluzionare il mondo intero. La rivoluzione in atto a Parigi non ne era che l'inizio. Queste ed altre sue ammissioni non si sa come estorte furono raccolte a cura del Vaticano in un libro (4), che fu immediatamente tradotto e divulgato nei vari paesi d'Europa.
 

Ed ecco la tesi del complotto massonico bellamente esposta e confezionata dalle officine vaticane, fino dal 1791. Tesi che fu immediatamente ripresa nello stesso anno dall'eudista abate Lefranc (Le voile levé pour les curieux...), il quale tornò sull'argomento l'anno successivo con l'opuscolo: La conjuration contre la religion... (5).

Questi primi elementi della tesi sul complotto massonico furono ampiamente sviluppati da un altro abate, l'ex gesuita Augustin Barruel nella sua celebre opera Mémoires pour servir à l'histoire du Jacobinisme, pubblicata a Londra (con la falsa indicazione tipografica: Hambourg) negli anni 1798-1799. Barruel per altro, aveva largamente attinto al libro di John Robinson, pubblicato a Londra nel 1797 (5 bis).
I quattro volumoni del Barruel, insieme a qualche notizia vera, raccolgono un ammasso di menzogne e di sciocchezze. Non solo egli afferma che i clubs dei giacobini e dei cordiglieri erano, sic et simpliciter, le Logge massoniche, che passano in tal modo dalla clandestinità alla guerra aperta (dimenticando che i clubs più famosi nascono se mai nelle sedi di ex conventi, da cui traggono appunto il loro nome); ma addirittura che i massacri del settembre '92 e le esecuzioni del Terrore sarebbero stati da tempo programmati dai filosofi illuministi e dagli enciclopedisti, che avrebbero avuto il loro organo esecutivo nel Grande Oriente di Francia.
Nonostante l'enormità di queste affermazioni, l'opera di Barruel fu più volte ristampata in tutte le lingue e divenne il cavallo di battaglia della Chiesa nella sua lotta contro la Libera Muratoria: l'ultima edizione italiana risale al 1887 ed è curata dalla Propaganda Fide.
 

Sia pure con altro intendimento, con ben diversa intelligenza e con ancor più complesso ragionamento, la tesi di Barruel fu in parte ripresa dal sociologo conservatore Augustin Cochin (6).
In anni successivi, l'affermazione che la grande rivoluzione francese fosse promossa più o meno direttamente dalla Libera Muratoria solleticò la vanità anche di qualche storico e di qualche pubblicista massone, che accettò almeno in parte questa tesi reazionaria. e di essa in un certo senso si fece campione uno storico come il «fratello» Gaston Martin, il quale, pur non accettando la tesi del complotto, sostenne che con ]a rivoluzione francese si sarebbe realizzata la dottrina di riforma sociale elaborata dalla Libera Muratoria (7).

Viceversa un altro notevole storico massone, Albert Lantoine (8), non attribuendo molto peso ai motivi ideologici della rivoluzione ed a quelli sviluppati in seno alle Logge, nega nel modo più assoluto un'azione politica della Libera Muratoria nel senso prospettato da Gaston Martin.
Così pure negano, non solo la tesi del complotto massonico, ma anche una decisa influenza politica della Libera Muratoria sul moto rivoluzionario i più avvertiti ed i più recenti storici della rivoluzione, come Albert Mathiez, Georges Lefbvre, e Albert Soboul (9).
Anche a me sembra che non si possa dissentire da costoro. Difatti la tesi del complotto massonico non è suffragata dalla benché minima documentazione e non regge ad un'analisi appena approfondita.

 
Per esempio, prendiamo un momento in esame la tesi di Barruel, che la rivoluzione francese sarebbe stata il risultato di una trama ordita in seno alle logge illuminate di Baviera. Partendo dalla constatazione che il musicista J. Chr. Bode, aveva preso in mano quanto era rimasto ancora in piedi della organizzazione illuminata; che il detto Bode era amico di Nicolas de Bonnevile, il quale per primo con il periodico Bouche de Fer e con il Cercle Social auspicò una soluzione radicale repubblicana del moto rivoluzionario; che il detto Bode nell'estate del 1787 si recò a Parigi, constatando tutto questo, il Barruel ed i suoi seguaci stabiliscono il rapporto: Weishaupt, Bode, Bonneville e ne deducono la direzione «illuminata» impressa alla rivoluzione.


Orbene, esistono le fotocopie del diario segreto non destinato alla pubblicazione che Bode redasse durante il suo viaggio a Parigi (10). Ivi sono giorno per giorno annotati i vari massoni (per lo più spiritualisti) e non massoni che incontra; si parla della sua partecipazione all'ultima fase del convegno dei Filaleti; si parla della sua partecipazione ai lavori della R. Loggia degli «Amis Réunis»; ma non c'è il minimo accenno a contatti politici o ad abboccamenti con esponenti politici: Bonneville non è neppure rammentato. D'altronde questi eventuali contatti non trovano una conferma in alcun altra documentazione.


Del resto fino dal 1801 si ebbe una confutazione del libro di Barruel da fonte non sospetta, da parte di J. J. Mounier, monarchico costituzionale, presidente dell'assemblea nazionale, non massone ed in esilio fino dalla fine del 1789 (11).
Si è anche molto insistito, per dimostrare un rapporto diretto fra massoneria e rivoluzione francese, su una certa concordanza dei simboli. Ma anche in questo caso si tratta di affermazioni arbitrarie e superficiali. Ad esempio, il noto triangolo che racchiude l'occhio divino, che oltre ad essere un simbolo massonico (ed alchemico, secondo alcuni) si trova anche in vari documenti rivoluzionari, esisteva già nel simbolismo cattolico fino dal sec. XVII. Come pure viene affermato che il trinomio Liberté, Egalité, Fraternité, soprattutto nel'ultimo termine, sarebbe stato ripreso dal linguaggio muratorio. Ebbene, questo trinomio, appare come motto politico solo nel 1848. Negli anni della prima repubblica il motto era: Liberté, Egalité ou la mort (12).


Se mai, un caso davvero singolare è la «volta d'acciaio», formata con le spade dai cavalieri e dagli ufficiali, che accolsero Luigi XVI, quando, dopo la presa della Bastiglia, si recò all'Hotel de la Ville. «Honneur bizarre, emprunté aux usages maçonniques...» dice Michelet (13). Difatti si tratta di un rito che fu introdotto nelle Logge dopo il 1775, ma esso è presente anche in alcuni altri Ordini religiosi e cavallereschi, come l'Ordine di San Lazzaro e quello dei cavalieri di Malta. Forse questo rito, in quella occasione, voleva anche significare al re il suo passaggio sotto le forche caudine.
Ma non è con questo tipo di analisi parziali che si può stabilire il rapporto che intercorre tra Massoneria e Rivoluzione francese. È fuori dubbio, a mio avviso, che le Logge abbiano contribuito, se non altro in via indiretta, alla esplosione rivoluzionaria.

Certo esse non furono la sola componente ad operare in questo senso. Vi contribuirono di più i philosophes e gli enciclopedisti, che non furono massoni (14); vi contribuirono certamente in misura maggiore i caffé, le sale di lettura, i circoli, le società di pensiero, dove si dibattevano - senza gli inciampi dei rituali e delle cerimonie - argomenti di rilievo politico.


Alle Logge però spetta indubbiamente il merito di avere promosso e fomentato lo spirito e il gusto della discussione, che andava lentamente soppiantando il concetto di autorità. «Con l'ammettere nelle Logge uomini di diverse classi sociali e col fatto di costituire una società di libera discussione, essa costituì un elemento di dissoluzione dell'Ancien Regime» (15). Solo in questo senso la Libera Muratoria ha contribuito alla esplosione rivoluzionaria del 1789. Essa esercitò quindi una influenza indiretta sulla opinione pubblica e non fu certo una causa immediata, né organizzò né diresse il corso della rivoluzione, come vorrebbe la pubblicistica clericale, che ebbe il suo più grande campione nell'abate Barruel.
L'abito alla libera discussione, la capacità di dirigere un'assemblea, di sapersi comportare in un pubblico dibattito, insomma tutto ciò che caratterizza il costume democratico, tutto questo il libero muratore lo aveva già appreso in Loggia.
Da qui l'influenza che poterono esercitare i massoni nelle assemblee convocate per le elezioni primarie o per la redazione dei cahiers de doléance, ed il loro emergere nella Assemblea Nazionale.


Ma col radicalizzarsi della rivoluzione, con l'affermarsi dell'estremismo giacobino mediante i massacri ed il regime del Terrore, i liberi muratori scompaiono dalla scena politica. Cosa del tutto comprensibile se pensiamo alla composizione sociale delle Logge francesi sul finire del secolo XVIII.
Purtroppo, uno studio quantitativo in questo senso anche in Francia è appena agli inizi e in Italia non è stato ancora nemmeno programmato. Nondimeno disponiamo di alcuni dati illuminanti per iniziativa di alcuni storici professionali, che hanno consultati sia gli archivi del Grande Oriente e della Grande Loggia di Francia - oggi aperti anche allo studioso profano - sia quelli delle singole officine provinciali.

Così per il secolo XVIII abbiamo le ricerche analitiche sulle Logge della Savoia (16), dell'Orleanese (17), di Digione (18), del Maine (19) di Grenoble (20); abbiamo inoltre i formidabili repertori di Le Bihan con gli elenchi completi delle Logge e dei Capitoli con relative notizie storiche, nonché gli elenchi dei «fratelli» operanti nelle officine di Parigi, con relativa condizione sociale e qualifica professionale (21).


Da questo primo approccio quantitativo risulta in modo evidente che notevolissimo fu il ruolo giocato dalla nobiltà in seno alla Massoneria francese del sec. XVIII, cui segue - come numero di aderenti - il clero e infine l'alta borghesia commerciale, bancaria, industriale, con un seguito di professionisti, funzionari ed intellettuali. Scarsissima, e solo in certe località ed in certi periodi, la partecipazione della piccola borghesia artigiana.
Questi vari ceti sociali, anche se talvolta preferiscono riunirsi in Logge separate e socialmente uniformi, hanno però in comune un pensiero politico progressivo, che si può compendiare nelle primitive aspirazioni del Terzo Stato, vale a dire la realizzazione di una monarchia costituzionale di tipo inglese. Ne fanno fede gli appelli, che durante la prima fase della rivoluzione alcune Logge provinciali inviano all'Assemblea Costituente e che ora troviamo citati da Pierre Chevalier nella sua bella storia della Massoneria Francese (22). Ma, come abbiamo già osservato, col radicalizzarsi della rivoluzione, le Logge vengono chiuse d'autorità e la Massoneria scompare dalla vita politica, almeno come ente politico operante.

Quei «fratelli» che aderiscono, nonostante tutto, alla rivoluzione militano nei vari settori politici: alcuni li troviamo anche fra i convenzionali, ma per lo più nel partito dei Girondini, pochissimi fra i giacobini. Molti invece li troviamo nel campo avverso, fra gli emigrati di Coblenza, di Verona, di Londra, al seguito dei conti d'Artois e di Provenza. Molti anche fra i capi della chouannerie.
I capi giacobini, i membri dei Comitati di salute pubblica e di sicurezza generale, nella quasi totalità non sono massoni; come non sono massoni Robespierre, Saint Just, Hebert. Viceversa sono vittime della rivoluzione i grandi capi della Libera Muratoria francese: il Gran Maestro del Grande Oriente, Filippo d'Orléans, perde la vita sulla ghigliottina, e a nulla gli valse il soprannome di Egalité e l'apostasia dall'Ordine. Il capo effettivo della Massoneria francese, l'amministratore generale dell'Ordine, il duca Montmorency-Luxembourg, fu tra i primi a cercare rifugio nella emigrazione, il giorno successivo alla presa della Bastiglia. Mentre l'infelice principessa di Lamballe, la Grande Maestra delle Logge d'adozione, perse la vita durante i massacri di settembre. Ed infine non va dimenticato che lo stesso Roettiers de Montaleau, cui spetterà il vanto di avere ricostituito la Massoneria francese dopo il suo forzato sonno, scampò per miracolo dalle prigioni del Comitato di Sicurezza Generale.


La Libera Muratoria rinacque in Francia soltanto dopo Termidoro, dopo la morte di Robespierre, e ricominciò a prendere vigore sotto il Consolato e poi sotto l'impero napoleonico, in periodo cioè di relativa pace interna e all'ombra di un nuovo dispotismo illuminato.
Dobbiamo quindi concludere dicendo che, a parte l'influenza indiretta, mediante lo spirito democratico vigente nelle Logge, la Massoneria non esercitò un'influenza diretta sulla vicenda rivoluzionaria: a lei quindi non toccano né i meriti né gli orrori della rivoluzione. Non poteva essere diversamente, trattandosi, nei suoi aspetti migliori, di un'accademia iniziatica, di un'associazione di sapienti, che non poteva e non voleva promuovere rivolgimenti e sconvolgimenti di tale fatta.
 

A mio avviso, lo stesso discorso vale anche per gli Stati italiani. Anche qui, per forza maggiore, le Logge cessano ogni attività ed i patrioti, in quanto «fratelli» si mettono in sonno, mentre come uomini politici si trovano divisi nelle varie correnti politiche. Se mai,sono le Logge dissidenti che sfornano un maggior numero di cosiddetti «giacobini». Come, ad esempio, la Loggia illuminata o eclettica (23) fondata a Napoli da Friedrich Münter nel 1786, della quale, fra gli altri, facevano parte Mario Pagano, Giuseppe Albanese, Nicola Pacifico, Ugo Stile, future vittime della repubblica partenopea.

Come la Loggia dissidente di Milano guidata da Ambrogio Birago e da Gaetano Porro, esponenti radicali del giacobinismo cisalpino. Ma nella normalità dei casi i «fratelli» come tali si ritirano a vita privata oppure adottano le scelte politiche in base alla loro formazione culturale, al proprio ceto sociale e alla funzione che svolgono nella vita civile.
Così il maggiore esponente della Massoneria piemontese, il medico Sebastiano Giraud, con lo scoppio della rivoluzione si ritira a vita privata e riapparirà soltanto nella vita pubblica con l'affermarsi del dominio napoleonico. Così farà il suo collega veneto Marco Carburi; mentre il capo della Libera Muratoria lombarda, il conte Wilczek, assumerà tutte le sue responsabilità di altissimo funzionario dell'impero austriaco. Così farà anche il capo della Massoneria napoletana, don Diego Naselli, dei principi d'Aragona, che seguirà il suo sovrano nell'esilio di Palermo, per assumere poi il comando dell'esercito regio nella guerra contro le armate rivoluzionarie.


Anche da noi quindi va sfatata la leggenda, di origine barrueliana e vaticanesca, per cui nel Regno di Napoli le Logge si sarebbero trasformate in clubs, sotto l'impulso della Massoneria Scozzese che da Edimburgo avrebbe diretto tutte le rivoluzioni scoppiate in Europa. Secondo questa tesi ci sarebbero state due Massonerie: una buona a Londra e una malvagia a Edimburgo! Una ancor peggiore a Marsiglia, donde avrebbe tratto le idee rivoluzionarie l'abate Jerocades per trasferirle e propagandarle nella natia Calabria. Ma sarebbe bastato dare un'occhiata a Il Codice delle Leggi Massoniche ad uso delle Logge Focensi, che l'abate introdusse a Napoli nel 1785, per accorgersi, che il loro contenuto era tutt'altro che rivoluzionario. E poi basterebbe confrontare i piedilista delle Logge napoletane degli anni 1784, pubblicati da Pericle Maruzzi (24) con l'elenco, di dieci anni posteriore, dei perseguiti come giacobini e «masoni» (25), per accorgersi che non c'è alcuna affinità tra i due ambienti. Anche se nel piedilista massonico figurano nomi di qualche martire della repubblica partenopea, salta agli occhi la differenza sostanziale tra i due elenchi. Da una parte abbiamo un ambiente cosmopolita e di alta nobiltà locale; dall'altra un ambiente per lo più di piccola borghesia intellettuale, di artigiani e di popolani napoletani. Sono due generazioni, due ceti sociali del tutto diversi.


Le Logge napoletane, che già nel 1785 cominciavano a perdere di vigore ed a disperdersi, scomparvero definitivamente dopo l'editto del 3 novembre 1789. Quello che non scomparve fu il mito, che proprio in quell'anno - come abbiamo visto - il Vaticano cominciava a far circolare: tutto il male tutte le rivoluzioni sono il risultato dei miscredenti, dei liberi pensatori, dei nemici della Chiesa cioè dei Massoni!

In tempi non tanto lontani, la propaganda fascista definiva come «comunisti» tutti gli oppositori del regime.


Senza dubbio, questo mito antimassonico fu di per sé operante, ed i primi nuclei antiborbonici, i primi «giacobini» napoletani si ispirarono alla tecnica della segretezza e della clandestinità dei massoni, ma massoni non erano.
È sintomatico il fatto che, quando Carlo Lauberg (definito dagli inquisitori come «antico masone» senza che ciò risulti da alcuno dei piedilista reperiti) riunì alla fine del luglio 1793 i primi cospiratori nella nota cena a Posillipo, dei venti presenti nessuno era con certezza massone. Solo alcuni vengono definiti come «probabili massoni» da Michelangelo d'Ayala (26). Se mai, dagli atti processuali - accuratamente pubblicati da Tommaso Pedio - risulterebbe che questi primi patrioti pensassero di ricostruire su nuove basi la Libera Muratoria ormai defunta, di farne una specie di grado preparatorio e introduttivo alla società giacobina.

Ciò almeno risulta anche dal modo in cui avvenivano le affiliazioni a questa strana «società masonica», affiliazioni che non hanno nulla a che vedere con il tradizionale rituale della vera Libera Muratoria. Ne è perfettamente convinto uno dei cospiratori giacobini, Troiano Odazi, il quale «facendo il parallelo tra l'antica liturgia massonica e detta nuova forma di club, disse che la società massonica era una coglioneria, ed unicamente questa nuova forma meritava andare in pratica».


Possiamo quindi concludere per la Libera Muratoria italiana con lo stesso giudizio espresso per quella francese al momento della rivoluzione, La Massoneria napoletana - e potremmo dire la massoneria italiana in genere - associazione spiritualista e di pensiero, diffondendo tra gli adepti gli ideali di libertà e di uguaglianza, preparò il terreno per l'accoglimento delle idee espresse dalla rivoluzione. Ma, dato proprio il suo carattere di società iniziatica, al momento di operare nel campo politico, non essendo più questo il suo compito, essa scomparve, lasciando il posto a sette, a partiti, istrumenti più idonei alla lotta nel mondo profano.
Quando alcuni anni dopo, Pagano, Cirillo, Baffi, i Piatti, padre e figli, e tanti altri «fratelli» affronteranno l'ultimo sacrificio sulla piazza del Mercato a Napoli, essi non sono più gli esponenti della Libera Muratoria settecentesca, ma i rappresentanti di un moderno partito politico, verso il quale per altro erano stati avviati anche dal dibattito ideologico realizzato in Loggia.


 


 

1- Le Charte fondamentali della Universale Massoneria, Roma, Atanòr, 1960.

2 - L'Ordre des Francs-Maçons trahi et le secret des Mopses révélé, Amsterdam, 1745.

3 - Cfr. J. Baylot, La voie substituée, recherche sur la déviation de la Franc-Maçonnerie en France et en Europe, Liegi, 1968. La «via sostituita» è quella della politica.

4 - (G. Barberi) Compendio della vita e delle gesta di Giuseppe Balsamo denominato il conte di Cagliostro che si è estratto dal Processo contro di lui formato in Roma nel 1790 e che può servire di scorta per conoscere l'indole della Setta de' Liberi Muratori, Roma, 1791. Di quest'opera esiste ora un'ottima ristampa, ampiamente commentata, a cura di G. Quatriglio, editore Mursia, Milano, 1973.

5 - (Leafranc) Le voile levé pour les curieux ou le Secret de la Révolution révelé à l'aide de la franc-maçonenrie, (Parigi 1791); Conjuration contre la religion catholique et les Souverains, dont le projet conçu en France doit s'exécuter dans l'univers entier, (Parigi, 1792).

5 bis - J. Robison, Proofs of a conspiracy against all religions and governments of Europe, Londra, 1797.

6 - A. Cochin, La Révolution et la libre-pensée, Parigi, 1923. Di quest'opera esiste anche una recente traduzione italiana: Meccanica della Rivoluzione, Milano, Rusconi Editore, 1971.

7 - G. Martin, La franc-maçonnerie française et la préparation de la Révolution, Parigi, 1925.

8 - A. Lantoine, Histoire de la franc-maçonnerie française. La franc-maçonnerie dans l'Etat, Parigi, 1935.

9 - Per quest'ultimo punto e per i relativi richiami bibliografici è determinante l'art. di Albert Soboul, La Franc-Maçonnerie et la Révolution française, in «Annales Historiques de la Révolution française», 1974, gennaio-marzo, n. 215, pp. 76 e ss.

10 - J. J. Bode, Journal einer Reise von Weimar nach Frankreich, trovasi a Dresda, nella «Sachsische Landesbibliothek» fondo K. A. Bôttiger, segnatura: Mss. Dresd. h. 37, in folio 3.

11 - J. J. Mounier, De l'influence attribuée aux philosophes, aux francs-maçons et aux illuminés sur la Révolution de France, Tubinga, 1801.

12 - Cfr. D. Ligou, Structures et Symbolisme Maçonniques sous la Révolution, in «Annales Historiques...» cit. anno 1969, luglio-settembre, n. 197, pp. 511 e ss.

13 - J. Michelet, Histoire de la Révolution française, Parigi, La Pléiade, 1952, vlo. I, p. 174.

14 - Fanno eccezione per questi ultimi alcuni pochi collaboratori dell'opera, che per altro ebbe il suo primo ideatore nel «fratello» A. M. Ramsay. Cfr. in proposito il Dictionnaire Universel de la Franc-Maçonnerie, Parigi, 1974, vol. I, pp. 446-447; F. VENTURI, Le origini dell'Enciclopedia, Torino, Einaudi, 1964, pp. 16-26.

15 - A Soboul, Avant-Propos, in «Annales Historiques...», cit., p. 375.

16 - F. Vermale, La Franc-Maçonnerie savoisienne à l'époque révolutionnaire, Parigi, 1912.

17 - La franc-Maçonnerie Orléanaise au XVIII siècle, a cura della Loggia «Etienne Dolet», di Orléans, in «Annales Historiques...» cit., pp. 425 e ss.

18 - R. Robin, La Loge «La Concorde» à l'Orient de Dijon, ibidem, pp. 433 e ss.

19 - A. Bouton, Les francs-maçons maceaux et la Révolution française (1791-1815), Le Mans, 1958.

20 - P. Barral, Les Francs-Maçons grenoblois et la Révolution française, in «Annales Historiques...» cit., pp. 505 e ss.

21 - A. Le Bihan, Francs-Maçons parisiens du Grand Orient de France (Fin du XVIII siècle), Parigi, 1966; Loges et Chapitres de la Grande Loge et du Grand Orient de France ( Moitié du XVIII siècle), Paris, 1967; Francs-Maçons et ateliers parisiens de la Grande Loge de France au XVIII siècle, Parigi, 1973.

22 - P. Chevallier, Histoire de la Franc-Maçonnerie française, 3 voll., Parigi, Fayard, 1974. Agli effetti del nostro argomento è importantissimo tutto il cap. VI del 1 vol., intitolato: La tempête révolutionnaire et la deuxième profanation du Temple, pp. 291-391.

23 - Le notizie a suo tempo da me fornite sono state integrate da Ed Stolperx, La Massoneria settecentesca nel Regno di Napoli, sulla scorta di una documentazione conservata nella Biblioteca Klossiana dell'Aia.

24 - Cfr. M. P. Azzuri, Inizi e sviluppo della Libera Muratoria moderna in Europa, in «Lumen Vitae», 1959, pp. II ss.

25 - T. Pedio, Massoni e giacobini nel Regno di Napoli, Emmanuele de Deo e la congiura del 1794, Matera Montemuro editori, 1976 pp.231 ss.

26 - M. D'Ayala,  I Liberi Muratori di Napoli nel secolo XVIII, in «Archivio Storico  delle Provincie Napoletane», XXII-XXIII, anno 1899, p. 811.

 


 

Il documento è opera d'ingegno del Carissimo Fratello Carlo Francovich, ed è stato pubblicato su "Rivista Massonica" n.9 Febbraio 1978 Vol. LXIX - XIII° della nuova serie. Ogni diritto è riconosciuto. La circolazione in rete è subordinata alla citazione della Fonte (completa di Link) e dell'Autore.

 

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