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Nato a Parghelia (Vibo Valentia) il 1 settembre del 1738, Antonio Jerocades fu sacerdote, insigne letterato, convinto sostenitore della massoneria. Nel 1799 partecipò alla difesa della Repubblica Partenopea e, dopo qualche anno trascorso in esilio in Francia, stanco e ammalato, si ritirò nella Convento dei Redentoristi di Tropea, dove però, secondo la volontà del vicario diocesano Raffaele Paladini, fu incarcerato “nonostante l’indulto borbonico agli esiliati”.
Charles Didier, scrittore svizzero, paragonò la prigionia di Jerocades a quella di Silvio Pellico per le torture inflitte al carbonaro poeta, prigioniero sdraiato sulla paglia e nutrito di pane e acqua. Nella solitudine del carcere Jerocades ricevette la visita di Guglielmo Pepe, il quale inutilmente andò a trovarlo con la speranza di avere qualche aiuto per riprendere la rivolta.
Antonio Jerocades morì prigioniero il 18 novembre 1803.

C. S. C. S.

Questo libro non vi si offre per amor di ricompensa, e di applauso. La grandezza del cuore trova il premio nella stessa virtù, e la vereconda modestia non è bisognosa di lodi. Dopo molti ragionamenti dintorno a varj soggetti, si venne alla vita de' saggi Eroi. Questi a traverso alle tenebre, sparse sul timido volgo dal sacro errore, e dalla dominante ignoranza, hanno appena trovato la felicità, di cui sono capaci i mortali, nel lume delle scienze, e nel fuoco delle arti. Lasciando il fasto e la cura alla irrequieta ambizione, e alla indigente avarizia, negli antri e fra le ombre han goduta della libertà della vita. Il loro merito, senza farsi conoscere, si è conosciuto, e la fama ancora ne parla. Un giorno chiedeste, qual si era l'argomento, e l'apparato degli antichi Misteri? il vostro chiaro e sublime talento, interprete de' più celati pensieri, pervenne con l'opportuna doma [?] la risposta opportuna. Chi è versato nello studio della rimota antichità, e nella intelligenza degli inni, pote molte cose svelarvi, che agli stessi Eruditi si mostrano tra la confusione e l'orrore. Allora i nomi d'Iside, di Sibele, di Mitra, di Bacco, d'Alcide, di Orfeo non più vi parvero l'obbjetto della favola e del trastullo; e invidiaste alla sorte delle Bacche e de' Mirti. Pur non era il momento di aprirvi le porte, che sono dalle Grazie e dalle Furie guardate. E' si attendeva, che la raggione e il coraggio venissero a condurvi nel Tempio. L'ora è vicina; prendete il libro, e leggete. In questo specchio conoscete voi stessa. Che più si tarda? Ardite, e sperate. La verità vi guida; la virtù vi accompagna; e vi siegue la gloria, Avanti l'entrata, volgetevi; e fatta duce e maestra, chiamate le belle anime, eguali alla vostra; e allontanate, fra lo sdegno e la minaccia, i profani. Apollo non aspetta, a [?] gli Oracoli, che la Sacerdotessa di Delfo. Ma ché? Voi vi mutate: io vi veggo maggior di voi stessa: la fiamma, che vi circonda, vi arde i lumi, e vi erge la chioma. Voi tentate di scuoter dal petto il Dio, che v'ingombra? Si, parlate, o Dea: vi conosco piena del Nume. Ecco voi ricompensata de' vostri favori: ecco l'opra mia applaudita a bastanza.

 

Libro I.

Proemio

 

Niuna Società s'è mai potuta ideare, né fondar senza leggi. La legge è la volontà o di Dio e dell'Uomo. Quindi è, che la società naturale ha le sue leggi e la Società civile ha non meno le sue, le quali spesso sono riti e costumi. La Società de' Mas. ha formate ancor le sue leggi, e le ha raccolte in un Codice, confidato per l'esatta osservanza alla fedeltà de' Ministri.

Sì come l'oggetto di una Società ben ordinata s'è di constituire una Città, un Governo, e un Impero; così le leggi debbono sempre risguardar quest'oggetto. I Massoni, mossi dalla necessità, o dalla virtù, han meditato di formarsi una Loggia, un Governo, e un Impero; e perciò hanno a questo fine accomodate le loro leggi, e i loro costumi. Di più, queste leggi, e questi costumi, sono o universali e comuni a tutto l'Ordine, o particolari e propri di ciascuna Loggia. Secondo questa divisione noi andremo descrivendo la legislazione dell'Ordine dei Massoni. Preghiamo i nostri Fratelli, ovunque sieno, e comunque, di ascoltarne le voci e le frasi, e d'intenderne, per quanto ne sono capaci, lo spirito e la ragione, col fermo proponimento di non solo mandarle alla memoria, ma di osservarle ancora, di amarle, e di riporle nella mente e nel cuore; Ciò che non v'è più dubbio, che la felicità umana dipende dalla giustizia, e la giustizia non è, che la conoscenza del dritto, e l'esecuzione delle leggi.

Ogni Società o è dall'uomo, o è dalla legge regolata. Si come l'uomo spesso cangia, e si deprava; così il migliore governo è della legge, che non mai cangia né mai si corrompe; Perciò la legge è figurata e adorata qual Dea, tenente in una mano la bilancia, in un altra la spada, e si fa chiamare Nemesi, Temi, ed Astrea. Noi pure l'adoriam con tai nomi; se non che per non confonderci co' pagani, la chiamiamo col nome di ]ehova, il quale architettò, e fabbricò l'Universo. Col capo dunque scoperto, e in attenzione e silenzio, ascoltate, o Fratelli la Legge Massonica, la qual è la Legge di Dio.

 

PARTE PRIMA

Delle Leggi Politiche

 

Si avvisò il grande Aristotele, che quattro sono le parti di una somma e sovrana potestà, ciò è, la legge, il magistrato, il giudizio, e la guerra. Noi, tenendo dietro alla dottrina di questo greco e saggio Politico, seguiremo la stessa divisione, e prima parlerem della Legge.

 

Cap. I. Della Legge.

La Legge è la duce e maestra, la quale insegna e prescrive all'uomo ciò ch'e' debbe sapere, e ciò ch'e' debbe operare; o per dirlo con altre parole, ma con la stessa sostanza, la Legge è la direttrice de' doveri dell'uomo. Il primo dover dell'uomo è verso Dio, principio e fin delle cose; e questo dovere suol dirsi volgarmente Religione, o Pietà.

Oltre che la Religione è la base e il fondamento di ogni Società, non si può più dubitare che vi sia un Nume, facitore, e provveditore dell'Universo, chiamato Dio, o ente degli enti, cagione delle cagioni. Quindi il Massone, incomminciando i suoi doveri sempre dal Cielo, dee protestare, che v'è un Dio, e che questi è il vindice de' delitti, e delle virtù. Ma perché la Religione suole spesso dechinare dal suo puro principio, e il vero Dio o s'ignora, o si sprezza, il buon Massone non dee cader nella superstizione, e o negare la Divinità, o credere agli errori del volgo. Non dee dunque il Massone esser o ateo, o superstizioso; ma dee esser cultore ossequioso di un Numo sommo e sovrano e riputarlo come il principio, il mezzo, ed il fine della sua vita.

L'uomo dee sapere, e far cose degne di Dio. Dunque i suoi costumi debbono esser regolati secondo la legge naturale, e positiva, che lo stesso Dio, di sua bocca, o per quella de' suoi fedeli ministri, ha data agli associati mortali.

Oltre la legge di Dio, v'è la legge del Uomo. Dopo che dalla communione si passò alla division delle cose, gli uomini furono distinti in nazioni e popoli, e la terra fu in tante regioni, e città, separata e divisa. Quindi è nato il Diritto della gente, e il Diritto civile, poiché ogni popolo si formò la sua società, la società il suo principato, il principato la sua legge, e la legge i suoi costumi, e i suoi riti. L'anarchia e la poliarchia sono o mostri, o corruzion di Governi. Il Massone debbe astenersi da questi errori, e dee rispettare ed eseguire le leggi della sua patria, e le costumanze di quella.

Non è nostro consiglio l'interpretare qual sia de' Governi il migliore. Ma se vogliam misurare la bontà de' Governi dalla somiglianza, che hanno con quello di Dio, possiamo asserire, che il miglior Governo è quello di uno solo. Perciò dobbiam gloriarci di esser nati, e cresciuti, sotto il provvido reggimento di un Re, il qual fa la volontà delle leggi, e intende alla felicità del suo popolo. Con ciò non intendiamo di defraudar l'onore che si dee alle bene costituite ed ordinate Repubbliche, e spezialmente alla Repubblica Cristiana, detta altramenti la Chiesa, o il Regno de' Cieli. Insomma chi è giusto è felice, ed è giusto chi conosce e osserva le leggi.

Basta il dover dell'uomo verso di se. Non dee questo dovere a' Massoni inculcarsi, già che egli è obbligato di aspirare alla perfezione, la qual è riposta nella sapienza, e nella virtù. Sarebbe strana e infame cosa il vedere un Massone, che trascura di farsi saggio e perfetto; imperciocché non solo l'uomo, ma ogni animale è tratto dall'amor di se stesso, e questo amore spinge ogni ente alla sua felice e tranquilla esistenza.

Ogni Massone non dee tener cosa più cara, ne più sacra, ne più laudevole della Legge, allora specialmente, che l'ha ricevuta in forma di patto, e promesso, e giurato. Si ricordi pure et tenga per fermo, che chi non ha legge, non ha patria; chi non ha patria non ha Dio, ne Re; e che chi non ha né Dio, né Re, non ha né pace, né libertà, né speranza. Si avverta ancora che questa non è che la somma di tutte le leggi; ma che il dettaglio di quelle sarà descritto in tutti i Capitoli, dove son trattati gli altri argomenti. Ma la massima delle Leggi, che fa la sostanza, e la felicità del nostro governo, si è il silenzio e la fede.

 

Cap. II. Della Loggia.

La società de' Massoni, com'è detto poc'anzi, ha per oggetto delle sue leggi di piantare una Loggia, il formare un Governo, e il conferir un Impero. Di tutte e tre queste cose noi brevemente parleremo, e primo della Loggia. La Loggia non è che un'assemblea di uomini detti Massoni, perché chiamati ed eletti di rifabbricare il Tempio della virtù, ove ricoverata l'umanità ritrovi la giustizia e la pace.

Ella si divide in universale, nazionale, e provinziale. La universale è quella di Londra, ed è la madre di tutti. Ivi risiede il Capo dell'Ordine, si conserva la dottrina e la storia, e si custodisce il deposito della legge. A questa madre tutte le altre sono sottoposte, e debbono protestare riconoscenza ed omaggio. La nazionale è quella, che si pianta nella città capitale d'una natione, e regge e governa tutte le altre a se sottoposte. La stessa è la condizione della Loggia provinciale, con questa differenza; che il Capo della nazionale è della stessa nazione creato; ma il Capo della provinciale suole crearsi ed eleggersi dal G.M. di tutto l'Ordine.

In ognuna di queste Loggi madri si stabilisce il gran Consiglio dell'Ordine, che altrimente si dice Gran Loggia. In questo gran Consiglio risiede la somma e sovrana potestà delle leggi, e si amministra sovranamente la ragion politica, che debbe regolar le vicende dello Stato Massonico.

È da notarsi l'architettura material della Loggia. Ella è in forma di quadrato bislungo ed è rivolta alle quattro parti del Mondo, ciò è all'oriente, all'occidente, al settentrione, e al mezzogiorno, per indicarsi la sua vastità. Ma poiché non è in alcuni paesi permesso della civil potestà di fondarne il lavoro; elle ne mostra il disegno, attendendo il tempo e il loco opportuno da fabbricarsi nella sua perfetta e compita figura, Intanto ogni loco è opportuno a questo disegno. Ma il tempo esser debbe la notte, la quale con le sue tenebre cuopre e difende la maestà del Mistero.

Ciò che in Loggia si dice, e si fa, si chiama Mistero. Non è altra cosa un Mistero, se non che una Festa. Or la Festa non è, che una rappresentazione rituale di un fatto memorando, e interessante. I più notabili avvenimenti sono accaduti o nel dì della vita, o nel dì delle nozze, o nel dì della morte. Perciò son molti e vari i Misteri, e le Feste; ma la nostra Festa, e il nostro Mistero rappresenta solennemente la morte di un saggio Eroe, e non è in sostanza, che un sacro, e perpetuo funerale. Perciò il Mistero Massonico si dee celebrare nel pianto e nel lutto, da cui si attende e si spera il canto e la gioia. Ogni e qualunque Loggia è in varie parti divisa, secondo i vari gradi dell'Ordine; ma la costruzione di quelle dipende dall'architettura, la quale può rilevarsi dal catechismo, e dal rito. Si avverta que la Loggia debbe avere il suo nome, e il suo colore, come ha le sue leggi, le sue armi, il suo suggello, e il suo apparato festivo.

Quanto alla grandezza della Loggia e al numero dei Massoni si avverta ancora, che la virtù è la misura di questo numero, e che le mura di una città esser deggiono i petti de' cittadini. Dopo che si sarà sparso il lume della verità, e il foco della virtù; dopo che la sperienza dimostrera' la giustizia delle Legge Massoniche; i Massoni non si conteranno a decine, ma per nazioni e per popoli; e il vessillo ignoto e sprezzato sarà riverito e temuto ancor da' profani.

 

Cap. III. Del Governo.

Si è molto disputato sopra l'indole de' Governi. Si conviene oggi mai, che se la somma potestà è in mano di un Re, il Governo si chiama regno, o monarchia; s'è in man del Senato, si chiama repubblica degli ottimati, o aristocrazia; e s'è in man del Popolo, si chiama repubblica popolare, o democrazia. La corruzion del Governo si chiama tirannide, e può avere i suoi tiranni ogni Governo.

Il Governo de' Massoni è una composizione di tutti e tre questi Governi, la qual maniera di governare si è riputata da' saggi di esser d'ogn'altra è più giusta, e più bella. La potesta' è in mano di tutti, e questi si fanno le leggi, si eleggono i magistrati, decidono le contese, e hanno il dritto di guerra e di pace. I Grandi dell'Ordine prevalgono col consiglio, e colla virtù; e il Capo si mostra degno del dominio per l'osservanza degli statuti, e per l'esempio d'ogni valore. Questi convoca i Fratelli; apre, e chiude la Loggia; ordina il coro e la mensa; e con modestia, eguale alla giustizia, si rende altrui degno Padre e Signore.

Quanto al governo generale, è stabilito, che tutte le Loggie sieno fra esso lore sorelle, e che tutte sieno come figlie ubbidienti e dilette, confederate e congiunte alla madre. In somma si rifletta, che ove vive e regna la virtù, regna e vive la libertà della mente, e la pace del cuore.

 

Cap. IV. Dell'Imperio.

Dopo che si è piantata la Loggia, e fondato il Governo, si dee pensare a conferirne l'Impero. Questo Impero, che di sua natura è in poter di tutti, si conferisce per l'amministrazione a' più degni. Non si vuoI decidere, se l'uomo nasce padrone, o servo di sua natura; ma non resta più a lungo a dubitare, che son varj i talenti, e varie le forze dell'uomo. Chi può per intendimento, chi per coraggio; altri è prudente, altri ingegnoso. Vi è l'intollerante e il feroce, e vi è il paziente e il mansueto. Perciò tutti gli ufficj debbono distribuirsi secondo le forze, e secondo i talenti. Quando ciascuno ufficiale osserva l'imposto dovere, ne risulta la giustizia, come dalle varie voci ne risulta l'armonia dolce e suave. Si tenga a memoria questa sentenza: que' sa regnare, che sa occupar l'uomo; e l'uomo è allora giustamente occupato, quando al talento risponde il mestiere, e al mestiere l'onore.

Questo Impero si confida a' Massoni per elezione, e non per sorte, o per caso. La elezione si fà pe' suffragi, o voti communi, e questi sono il vero carattere della Massonica libertà. Sia lontana l'ambizione, e l'avarizia; e tutto ubidisca alla virtù. Gl'impieghi sono annuali, benché talvolta si suole prolungar il commando. Terminato l'anno dell'uffizio, il magistrato ritorna nello stato primi ero, e cosi si accostuma ad ogni fortuna.

Queste leggi dell'Impero si sogliono spesso cangiare, onde poi [nascere?] la mutazione dello stato. Con sommo condoglio si è veduto nelle Loggie introdursi, o per forza, o per frode, il mostro del dispotismo e della tirannide, e allora, perturbate tutte le cose, nell'asilo della libertà giacer sotto la mano della violenza sfrontata la dolente e misera servitù. In questi casi lacrimevoli l'assemblea degli oppressi Fratelli può richiamar i suoi dritti, e ripigliarsi quella potestà, che avea deposta in mano d'infedeli e depravati ministri.

 

PARTE II

Della Magistratura

 

Allora, diceva Solone, è felice una Repubblica, quando il popolo ubbedisce a' ministri, e i ministri alle leggi. Questa sentenza sembra dettata per noi. La nostra Società è dalla legge, e non dall'uomo, governata. Ma siccome le leggi sono le armi, che si muovono senza le mani; cosi è necessario, che vi sieno de' Ministri, i quali delle leggi e degli statuti sono i custodi, e forman l'esempio, regolator de' costumi.

Diverse sono della Loggia gli ufficj, e diversi sono i ministri. Dal più al meno posson dividersi in sette maggiori, ed altrettanti minori. I maggiori sono, il Maestro Reggente, il primo Sopravigilante, e il secondo, l'Oratore, il Segretario, il Tesoriere e l'Economo. I minori sono, il Tegoliere, l'Architetto, l'Introduttore, l'Esaminatore, il Terribile, il Ceremoniere, e il Serviente. Di tutti partitamente parleremo, e con la brevità, che conviene al nostro soggetto.

 

Cap. I. De' Magistrati maggiori.

Il primo Magistrato tra noi si chiama Maestro Reggente. Secondo le diverse Loggie diversi titoli, come di Venerabile nella Loggia di App. e Comp., di Rispettabilissimo in quella di Maestro, e cosi nelle altre. Egli debbe eleggersi a voti di tutta la Loggia, e creato e eletto prende il possesso col martello, che è il segno di sua potestà. Siede nel trono posto all'Oriente del Tempio sotto un cielo di drappo, e regge e governa la Loggia con la voce, e col martello alla mano.

Si come avvanza tutti nella dignità, dee tutti avvanzare nella virtù. Egli rappresenta la legge, e perciò debbe essere la viva immagine della giustizia e della pietà. Il suo portamento sia maestoso e modesto; il volto misto de severa ilarata e di dolce contegno; come il Sale spande la luce e il foco, egli dee illuminare le menti, e accendere gli animi de' Fratelli. Lungi da lui l'ingiuria e il disprezzo, la forza e la frode. Si guardi dall'ambizione oltraggiosa, e dal fasto superbo, e non cada in quell'errore, che e' giurò di punire.

La sua autorità è di convocare i Fratelli, e di tenere Loggia d'instruzione, o di travaglio. In questo caso egli apre la Loggia, e sicome il Sale chiama ogni animale alla fatica, cosi egli chiama ogni Fratello al travaglio. Il suo ministero non è che di un anno, dopo il quale egli nomina il suo successore. Se mai o per sua scusa, o per altrui accusa, o per morte, o per renuncia, accade di deporre l'impiego, la elezione ricade in man de' Fratelli.

 

Sopravigilanti

I Sopravigilanti son i custodi della Loggia e vegliano alla guardia del Tempio. Essi sono ancora eletti a voti communi, ed hanno in mano ancora il martello, come coloro, che sono partecipi del sovrano potere. Il Maestro Reggente nulla fa, né dice, senza costoro, i quali insieme con lui dan forma alla Loggia. La loro scienza, e la loro virtù dee farli degni di questo impiego, e non l'impegno e la briga. Essi riempiono il loco del Maestro Reggente, quando manca, o domanda di essere per poco da quel peso rilevato. Si recordino della lor vigilanza, e che hanno in mano le porte sacre del Tempio.

 

Oratore

Alla sinistra del Maestro che regge siede il fratello Oratore. Egli è la lingua, per dir così, della legge, e l'oracolo della L. Il suo verace impiego è il catechismo e l'omilia. Col primo spiega et commenta la legge; con l'altra ne inculca l'osservanza e il rispetto. Egli è ancora l'interprete, et l'avvocato tra il Maestro e i Fratelli, et tra i Fratelli e il Maestro. Ne' giudizi prende sempre le parti della giustizia, e accusa il reo, e insiste à procurarli la pena. La sua orazione è o sciolta, o legata. Perciò può far le parti ancor di Poeta, e rinnovando le antiche usanze, può far le veci del Legato, e del Duce. Ma si guardi, se parla, o scrive, della gonfiezza dello stile, e della immodestia delle sentenze. Si ricordi, che per la sua lingua parla la legge, si come per la legge si ascolta la voce di Dio.

 

Segretario

Il Segretario è colui, che conserva tutte le scritture dell'Ordine, e scrive, e registra tutte le carte. Presso di lui è l'archivio, in cui le dette scritture sono serbate. Per ordine del Maestro egli scrive e spedisce i biglietti di avviso, onde si congreghi la Loggia; e presso di lui è la tavola, o la lista di tutti i Fratelli. Di ogni Loggia scrive gli atti, e i decreti, i quali legge nella Loggia seguente. La sua fede esser dee somma, e il suo segreto inviolabile. Non abusi della confidenza del deposito delle leggi. Sarebbe ancora spediente, che tanto egli, quanto l'Oratore, parlassero le lingue communi, che sono la Latina, e la Francese. Quantunque la santità de' nostri statuti sia nemica delle maniere affettate di parlare e di scrivere; non di meno non si offende la semplicità dello stile, quando si usano le maniere terse, pure, caste, e pulite. Se si potesse posseder la grand'arte, ed antica, delle cifre e de' simboli, si farebbe tra noi il gran pregio dell'opera, rimanendo così salvi e coperti il silenzio e la fede, e le nostre voci sarebbero simiglianti alle idee.

 

Tesoriere

Il Tesoriere è colui, che raccoglie e conserva il tesoro. Questo si compone dalle mensuali contribuzioni di tutti i Fratelli, de' dritti delle recezioni e de' passaggi, e dell'elemosine giornaliere. La cassa de' poveri pur è serbata da lui, e ogn'altero tributo, che percepisca la Loggia. Si astenga dalla violenza, e dalla importunità nel riscuotere ciò che si dee; ma non lasci per trascuratezza, o riguardo, di procurare l'interesse di tutta la Loggia, la quale per mantenersi con decoro, ha bisogno di temporali sussidio, specialmente nel tempo, che nulla possede stabilmente o di denaro, o di roba.

 

Economo

Si chiama tra noi Economo colui, che del denaro somministrato dal Tesoriere fa le spese necessarie ed utili della Loggia. Tutti gli arredi e della mensa, e del coro, debbono esser provveduti da lui. Badi ad unire la modestia al decoro, e il decoro alla parsimonia. Nel coro si fugga la magnificenza fastuosa; e nella mensa si serbi la decenza, e la sobrietà. Spesso accade, che tra le cetre e le tazze sorga la furibonda letizia, e la baccante licenza. Si travagli senza stanchezza; e si restauri la forza del corpo, e la ilarità della mente, senze offesa ed insulto. Si ricordi un antico dittato che la parsimonia è la maggior rendita della famiglia, e che il lusso e l'avarizia sono sempre compagne.

 

Cap. II. De' Magistrati minori.

I Magistrati maggiori sono eletti dalla Loggia per voti communi; ma i minori Magistrati sono eletti dal Maestro Reggente. Questi sono sette, già che sette sono, dal più al meno, gli uffici minori. Il primo è il Tegoliere. Questi è l'osservator della Loggia. Al commando del Reggente va con la spada alla mano a vedere, se sono ben chiuse, e guardate le finestre, e le porte del Tempio. Quindi dispone per tutto le guardie, o sentinelle, e ritornando in Loggia, ne dà l'avviso al Maestro. Egli debbe esser armato più di fede, che di ferro, poiché al suo rapporto si affida il venerando mistero.

Il secondo è l'Architetto. All'annunzio del Maestro intorno all'apertura della Loggia, e del cominciamento de' travagli, e' prepara la Loggia, accende e dispone i lumi, spiana, o disegna il modello, in cui è descritta e ideata la Loggia; ne dà l'avviso, e ritorna al suo posto. Questo uffigio ha bisogno più di perizia, che di coraggio. Se alcuno sa l'arte del disegno, è atto a tal ministero. Nel fine della Loggia dee togliere tutte le figure, e i lumi ordinari, e dichiara, che può esser chiusa la Loggia.

Il terzo si chiama l'Introduttore. Questi introduce il profano nella camera dell'abisso. Ma prima il mena dal loco, ove quegli attende, alla prima porta del Tempio. Quivi gli benda gli occhi, e per le scale oblique, e per le stanze intricate il conduce alla camera del consiglio senza far motto di nulla. In questo loco, prima dall'Architetto ben preparato, il lascia seduto, e partendo gli dice, che al serrarsi la porta, si sbendi, e guardi, e rifletta. Dopo l'esame fatto di lui, l'introduttore ritorna; e il conduce verso la porta interiore del Tempio. Rifiutato dal Terribile, e ottenuta la licenza di entrarvi, il rimena nell'oscuro stanzino. Ivi lo spoglia, e il riveste della maniera decente, e rimenatolo alla porta, che si apre del Tempio, il consegna in mano de' vigilanti custodi, dicendo: Fratelli, io l'abbandono alla vostra fede. Non più rispondo né della sorte, né della vita di lui. Dopo la recezione di questo profano il rimena colà, dove sono le sue vesti, e gli rende ciò, che tolto gli avea. Quindi rientra in Loggia, e siede, e tace, e travaglia.

Il quarto è l'Esaminatore. Questi va nella camera, dove il profano siede fra le ombre e il silenzio. Domanda chi è, e che fà, ed esplora, se sia venuto a disturbare i sacri Misteri. Fatto certo della volontà di lui, gli presenta il codice delle leggi, e ne fa giurar l'osservanza. Sovra ogn'altra cosa l'avverte, che nell'ordine de' Massoni non si trattano i gravi e g[e]losi interessi né della Religione, né del Principato, né della Scuola. Che la Loggia non è un luogo di lite, né di contesa, e che senza virtù chi si riceve Massone si ritrova pentito; imperciocché mal convive una timida lepre infra gli arditi e generosi leoni.

Il quinto si chiama Terribile. Questi suol situarsi al di fuori della porta del Tempio. Quivi seduto si fa veder occupato nella lettura di un libro, e immerso nella meditazione di profondi consigli. Alla prima e seconda domanda del profano aspirante si conturba, si sdegna, e discaccia chi gli porge le più calde preghiere. Ma nell'alzarsi di sedia, vede l'aspirante, si placa, l'accoglie benignamente, e l'assicura, che gl'impetrerà dal Maestro del Tempio il perdono e l'entrata.

Il sesto è il Cerimoniere. Siccome il Mistero Massonico consiste nella dottrina, e nella storia, il tutto è descritto e spiegato per emblemi, e per riti. L'emblema spetta all'Architetto; ma il rito è del Cerimoniere, il quale suole in bella maniera ricordarlo a' Fratelli, se alcuno o il trascura, o l'oblia. Egli dunque debbe studiar attentamente la liturgia de' Massoni, e dee farla eseguire senza aggiungimento, e senza nulla cangiare, o detrarre. Chi conosce l'origine e la ragione de' riti, o non gl'ignora, o non gli disprezza.

Il settimo è il Serviente. Questi è un Fratello, che ha il solo grado di Apprendente. La sua cura è bassa, ma è molto gelosa. È porta a tutti i Fratelli i biglietti dell'avviso nella convocazion della Loggia. E’ vegghia in guardia delle prime porte del Tempio, e domanda a' Fratelli la parola di entrata. Nelle Loggie di travaglio consegna gli arredi, e ajuta gli altri a disporli. Nella Loggia di tavola dispone la mensa, e le sedie e tutta e quanta la cucina è in potere di lui. Nella fine della Loggia entra, e chiude il travaglio insieme con gli altri; e quando è tavola, entra, e beve, e assiste a' saluti. La sua fede esser dee molto provata; imperciocché a lui è confidata la vita, e la fama di molti. Se mai se gl'impone altro sublime servigio, misuri le sue forze, e il suo coraggio, e francamente ubbidisca, o si scusi.

 

Cap. III. De' Magistrati Supremi.

Nelle Città capitali, come è detto di sopra, suole stabilirse la gran Loggia, e questa è o universale, o della nazione, o della provincia. In questi i Magistrati sono i medesimi, che nelle Logge private; ma per la sovranità del impiego (poiché trattano gli affari del consiglio e del governo) sogliono portare il nome di Grandi. Quindi diconsi il gran Maestro, il grande Oratore, il gran Segretario, il gran Tesoriere, il grande Economo, il primo gran Sopravigilante, e il secondo gran Sopravigilante. A questi si aggiungono due gran Ministri del gran Maestro, il gran Deputato, o Cancelliere, ch'è il ministro delle leggi; e il gran Porta spada, ch'è il ministro delle armi. Degli ufficj minori qui non v'è punto bisogno; ma la gran Loggia si apre, e si chiude nella usata maniera. Siccome in questa grande Assemblea si sogliono discutere gli affari di Stato, tutte le Loggie della città mandano i loro Deputati. Questi sono il Venerabile, e i due Sopravigilanti, i quali rapportano a' loro rispettivi Fratelli tutto ciò, che si è nella gran Loggia discusso e concluso.

Quando si tiene assemblea di Scozzesi, e di Eletti, la Loggia si chiama Capitolo. Questo Capitolo si suol tenere per trattare esclusivamente, e indipendentemente gli affari de' Maestri Scozzesi, ed Eletti. I Magistrati sono gli stessi, ma gli affari sono diversi. Qui non han luogo affatto a' Magistrati minori, i quali non sono iniziati in questi gradi sublimi. Il regolamento del Capitolo dipende dalla loro Liturgia, e questa è al loro grado innestata. Lo stesso dee dirsi delle altre Assemblee, che per altri Gradi si tengono, secondo che si è convenuto in vigore di municipali Statuti.

 

Cap. IV. De' Visitatori.

Suole altre volte dalla gran Loggia spedirsi un Fratello, il quale vada a visitar le Loggie o del mondo, o della nazione, o della provincia, e vedere lo stato di loro, e come sono in osservanza le leggi e i costumi. Le cose umane sono sottoposte alle mutazioni e alle vicende. L'Uomo, per qualunque instituto, non cessa mai di essere uomo, e vale a dire, un complesso di virtù, e di errori. Perciò è spediente, che un Massone, dotato di scienza e valore, vada à restituire le Loggie al primo instituto, e a rimettere in piedi l'Ordine de' Massoni, se mai sia dal suo primo splendor dechinato.

A questo Magistrato deve ogni Loggia protestare rispetto ed omaggio, come se fosse la persona stessa del gran Maestro dell'Ordine. Ma il Visitatore non faccia abuso, come suole spesso accadere, della sua potestà, e si contenti di non dominare, e di non cangiare gli Statuti.

Oltre a ciò v'è un altra sorte di Visitatori, i quali vanno viaggiando o per bisogno, o per piacere, o per caso. Il più bel vincolo dell'umana amicizia s'è l'ospitalità. Gli antichi non han saputo ritrovare, né praticare legge più bella, né più necessaria. Dopo la fatale divisione delle cose, delle persone, delle genti, delle famiglie, l'umanità rimase in tante parti divisa, e tra il rigore de' confini ristretta. La legge tremenda che allora fu stabilita, fu questa: chi non è cittadino, sia riputato nemico; e al nemico si debbe dare la morte, o il servaggio. I Saggi dunque ne' primi tempi felici, mossi dalla giustizia insieme e della pietà, fondarono il dritto e la legge dell'ospizio, onde l'antichità si vanta a ragione.

Questa legge ospitale, siccome eran diverse le patrie costumanze, fu fondata sopra la Religione commune, la qual era il culto di un Ente sommo e sovrano, autore e reggitore dell'Universo, chiamato volgarmente Jehova, o Giove. Questa era religiosamènte osservata, e chi l'infrangeva, era reo di spergiuro e di perfidia, e ne dovea pagar la pena all'ira e alla vendetta del Nume e sdegnato.

Or nell'instituto Massonico v'è questa legge, e forma il maggior decoro e stabilimento dell'Ordine. Ma l'ospitalità suol.... (Mancano 4 pagine all'originale).

 

PARTE III

Del Giudizio

 

Cap. I. Dell'Ordine de' Giudici.

O si esamina la causa del giusto, o si discute quella del reo. Nel primo caso si decreta il premio alla virtù; nel secondo, la pena al delitto. Il Massone, che ha serbate le leggi, è degno di premio. Ma questo premio è nella stessa virtù. Il sentimento della giustizia e della onestà, ch'empie di dolcezza e soavità  l'alma del innocente; la forza e il coraggio, che si sente aumentar nel suo petto; l'aura, che respira, di libertà; e il piacere che gode dormendo e vegghiando in grembo alla pace; sono la mercede la più bella della virtù. Ma siccome l'uomo è naturalmente tratto dall'onore, o dal lucro; ove dalla nostra Repubblica si abbia a sbandire la cupidità del guadagno, non debbe negarsi a un cor valoroso la marca e la divisa di onore. Questo alletto e spinge gli animi alla virtù, la quale bene spesso si contenta di aver per sua ricompensa un inno di laude.

Non sieno però spessi e profusi gli onori. La rarità e la parsimonia ne fanno il pregio e la gloria. Una fascia, un nastro, una croce, una spada, un arco reale sono grandi ornamenti per una modesta virtù; e il nome di Cavaliere dell'Oriente, di Cavaliere de la Fede e del silenzio; il titolo di Perfetto, di Savio, di Eroe, son lodi che bastano a un'alma inamorata della stessa virtù. Ma non sia per altrui invidia fraudata di un tanto onore la vera virtù. E pur vero quel detto di Solone, che una Repubblica, la quale dà pene, e non premi, è come una donna zoppa di un piede.

Ma se mai si dee discutere la causa del reo, e' si suole procedere in questa maniera. S'incomincia dalla ricerca, o dall'accusa. La ricerca è del fisco; l'accusa di ogni Fratello. In ogni Repubblica ben regolata l'accusa, ben lungi dal disonorar l'accusante, il commenda, e l'applaude. I Fratelli son tutti parte della Sovranità, e perciò trattano il proprio interesse nella causa di un reo, se non per anima di vendetta, ma per difesa della santità delle leggi, e della salute comune, si dispongono a fare l'accusa d'ogni delitto. Egli sono gli accusatori, i testimoni, e i giudici di tutti; e tutti a vicenda sono gli accusatori, i testimoni, e i giudici di ciascuno.

Dopo l'accusa si forma il Processo da persone abili destinate a tal uopo. Quindi il reo si cita, e si appresenta. S'e' vuole perorar la sua causa, bene il può; altrimenti chiama un altro Avvocato, o dalla Loggia se gli destina. Dopo che l'Oratore accusa a nome della Loggia il reo, e con la sua orazione gli procura la pena; l'Avvocato del reo il difende, e gli procura la libertà. Il reo dee presentarsi in quell'abito, che richiede il suo stato. Quindi il giudizio s'instituisce nella Loggia conveniente al suo grado; ed egli il reo serba quelle divise, che nella sua iniziazione vestiva.

Se il delitto è leggiero, non si procede in tal forma; ma si accusa nella mensa, e nella mensa piacevolmente si assolve. Ma s'è grave, si procede nella forma solenne, affinché la pena rinfranchi ciò, che s'è per la colpa perduto. In tal modo spargendosi la verecondia, e il timore, ogni Fratello apprenda a rispettar quelle leggi, ch'egli stesso fece, e giurò.

 

Cap. II. De' delitti, e delle pene.

Chi crede mai, che il delitto e la pena, non meno che la virtù e la mercede, sono i conservatori delle Città? E pure l'attesta la Storia. Allora il cittadino può vantarsi della sua. sorte, quando si osserva la legge. Ma la legge non si osserva, se non quando la pena di un giudicato delitto sparge per tutto il timore.

La trasgression della legge si chiama misfatto, colpa, delitto. Dunque dove non è legge, ivi .non è delitto. Sembra dunque al primo aspetto, che chi fonda le leggi, fonda i delitti. Ma non è così, come pare che sia. La Legge è necessaria, perché non si può vivere senza la legge; ma non è necessario il delitto, e si può ben vivere nella innocenza.

Tanti, e tali sono i delitti, quante, e quali sono le leggi. Il buon Massone tanto è lontano dalla iniquità, ch'e' dalla sola giustizia ripete e spera il suo vivere felice e beato. Non è servo, dice Aristotile, chi vive secondo le leggi. Or la legge è naturale, o civile. Secondo queste dunque deono giudicarsi i delitti.

Il primo delitto è l'empietà. L'Ateismo, e il Politeismo fanno l'uomo e malvagio, e infelice. Di' questa colpa la pena è la morte, l'infamia e l'obblio; e Dio è il vendice di tal pena.

Il secondo è la ribellione, e la congiura. L'Anarchia, e la Poliarchia son due mostri, che ogni Società sovvertono, e danno alla ruina. Chi non ha Dio, non ha Re; chi non ha Re, non ha Patria; e chi non ha Patria, è un nemico dichiarato dello Stato - sociale e civile. La morte è ancora la pena di questo misfatto, ovvero la prigione, l'esilio, o il bando della Città.

Chi rompe la fede de' patti; chi è perfido, spergiuro, assassino; chi non serba la fede nuziale, e contamina l'altrui talamo; chi non vive del frutto o dell'industria, o della fatica; è reo di atroce delitto. In somma la violazione delle Leggi divine ed umane per noi son gravi ed atroci misfatti, i quali o chiudon la porta del Tempio al malvagio; o lo scacciano, qual indegno e contumace, dal Tempio della virtù.

Oltre gli accennati, sono i delitti Massonici, i quali anche essi sono la inosservanza e il disprezzo de' nostri Statuti, e deon punirsi a tenor delle leggi. Chi rompe il silenzio e la fede, disvelando in qualunque maniera i nostri sacri e venerandi misteri; chi non procura di acquistar la verità, la virtù, la bellezza, che sono le tre grazie de' Gradi; chi non eseguisce il suo ministero; chi non fa l'ornamento e il piacer della Loggia, riflettendo in altrui quella luce e quel fuoco, che dagli altri ritorna in se stesso; chi mena la sua virtù ne l'ozio, nel bagordo, nel trastullo, nel lusso; in somma chi non si rende e saggio, e forte, tra noi è reo di colpa, e degno di pena. E' dee pagare, o voglia, o non voglia, il fio a quella Temi, di cui ha disprezzato il culto e il potere. Ove si creda sicuro e salvo da nostro giudizio, non può scuoter dall'amico quel pavido e prezioso tormento, che gli da il sentimento di se. Se non altro, il suo nome è diffamato, e si obblìa.

Siccome i delitti son proporzionati alle legge; cosi le pene son proporzionate a' delitti. La pena maggior s'è la morte, la prigione, l'esilio, l'infamia, là degradatione, e lo scacciamento dall'Ordine. Quel ritornar profano, quell'esser mostro a dito qual reo, è una pena ben grave. Questa si dice propriamente censura. È da lodarsi la censura degli antichi Romani, la quale lungo tempo tra esso loro mantenne l'Imperio del merito, e della virtù.

Nel giudicar le cause criminali, il grande oggetto si è o la giustificazione del reo, o l'applauso del giusto. A fronte della pena si accresce l' onor della mercede, e l'orror del delitto ingrandisce e dilata la gloria e la fama della virtù. Ma regni la pietà del pari che la giustizia. Spesso la legge serva all'uomo, e non l'uomo alla legge. Il giudizio secondo la legge si chiama giustizia; ma quando si fa in rapporto dell'uomo si chiama equità. Il dar la morte al reo, è l'opra comune; ma il dargli a vita, è l'opra di Dio. Imitiamo l'Architetto, e il Fabbro dell'Universo: Egli non vuol la morte dell'esempio, ma che si converta e che viva.

L'Ordine de' Massoni, siccome sceglie il più bel fiore degli antichi Instituti, cosi ha ricevuta e praticata la confession del delitto, la qual è un voluntario giudizio. Rapporta Platone, che una volta l'anno si univano in una dieta generale i Re dell'Atlantide, e giudicavano, ed erano giudicati. Coloro che sentono vivamente la forza della fede, e della amicizia, non soffron la frode di celare, di negare, o di scusar lo delitto; ma inquieti e solleciti vanno a confessarlo nelle Logge frequenti, e impetrando il perdono, acquistano una gloria novella. Volesse il Cielo che si praticasse tra noi questo costume, il quale forma il decoro e il presidio della Cristiana Repubblica. Non potendosi né toglier del tutto, ne serbar interamente le leggi: il grande arcano è l'espiazione de' delitti.

Chiunque resta assoluto come innocente; o con la pena lava e purga la macchia della sua colpa; ritorna nello stato primiero giustificato ed eletto. A questo fine si usava da' Saggi antichi di serbar nel mistero l'uso dell'acqua di Mnemosine, e dell'acqua di Lete. Quella ricordava le virtù; e questa metteva in dimenticanza le colpe.

 

PARTE IV

Della Guerra.

 

Chi vuol la pace, diceva Epaminonda al Senato Tebano, faccia la guerra. Non è pensiero nostro di discettare, se lo stato umano sia di pace, o di guerra. Ma non è da dubitare, che l'uomo nasce bellicoso ed armato, e ch'è circondato di nemici al di dentro, e al di fuori di se. Oggi Loggia è nello stato di pace con le altre Loggie, ove sieno regolate et perfette. Ma si è nello stato perpetuo di guerra con tutti i Profani, e con tutti i malvagi. E perché la guerra è o esterna, o interna; la prima si muove al profano; e la seconda si dichiara al malvagio.

 

Cap. I. Della Guerra esterna.

Chi non è meco, è contro di me, disse il legislatore divino. Chi non è cittadino, è nemico, disse la legge Romana. Tra noi si osserva lo stesso Statuto. Ogni profano è in guerra col Massone, e il Massone è in guerra con ogni profano. Ma ciò s'intende detto per lo stato, in cui sono celebrati i Misteri. Allora i 10 Fratelli sono armati di coraggio e di forza, per allontanar tutti i profani. Una guardia, che vegghia con la nuda spada imbrandita alla porta del Tempio, va gridando ad alta voce: lungi, ah lungi ite, profani; e voi favorite con la lingua e col cuore.

Se mai accade per fortuna, che un profano temerario venga a perturbar la pace de' sacri e notturni misteri, o che un'armata potenza venga a sorprendere una Loggia aperta e coverta; che si dee far da Fratelli? Questo è un caso ben raro. I profani hanno finalmente conosciuta l'innocenza e il pregio de' nostri misteri, e lasciano in pace e riposo tutti i Massoni. Le potenze civili hanno ancor rilevato il valor e il fine di questo Instituto; e non solo non ne impediscono l'esercizio, ma dando loco alla umanità, si sono iniziati ne' gradi dell'Ordine, e l'hanno altamente e rigorosamente protetto. I Massoni, se son separati dal volgo ignaro, sono uniti a' Saggi e agli Eroi. I Massoni ne fuggono il chiaror del giorno, travagliano nella luce, e al cospetto del mondo. Essi si ascondono all'empio e al malvagio; ma si svelano al Saggio e al Eroe. I Massoni aman la Patria; san fedeli al Re; son servi delle leggi; e vanno a militare in difesa della giustizia, e in oppression del rubello. Nel resto si avvenga, ciò che Dio non voglia, alcun di que' casi ben rari; la Loggia saprà prender il più giusto, e il più onorato partito, che gli propone la prudenza e la forza, e saprà salvar l'uomo e la legge.

 

Cap. II. Della Guerra interna.

È un gran pericolo una guerra, che si prepari al di fuori del Tempio, e venga, qual vanto, a scuotere le porte e le mura. Ma è molto maggior pericolo una guerra, che nasca e ingigantisca in seno alla Loggia. Si sa, che le discordie civili distruggono le Città; e che Troja fu vinta da Troja, e Roma da Roma. Spesso i contumaci Fratelli sovverton le leggi; si ribellano dal loro ministro; spargon la diffidenza; nutriscon l'orgoglio; fanno sedizioni e partiti. Spesso s'introduce, come serpe nascosa, la depravazione de' costumi, e vanno a dominar sul trono della virtù la licenza, il libertinaggio, e l'errore. In questo caso amaro e deplorabile la Loggia resta oppressa e consummata dalle sue forze, se la raggione e il coraggio non ne appronta il riparo.

Come si dee reprimere questa discordia? La pena si versi su pochi; il timore si sparga sopra di molti; e la legge dell'amnesia ritorni lo stato delle cose al suo puro principio. Ma la discordia civile è sempre segno chiaro e distinto o della estinzione, o della mutazion degli Stati. Accade di rado, che dalla corruzione si ritorni alla generazion delle cose. Il maggior colpo dell'arte politica non è tanto il fondare, e il conservare, quanto il riparare, e il restituire le cose allo stato primiero. Il male della discordia serpeggia a poco a poco, e come favilla negletta eccita quell'incendio, che scoppiando al di sotto sovverte e inabissa gl'Imperi.

 

Epilogo.

Queste sono presso a poco le Leggi politiche dell'Ordine e della Società de' Massoni. La lettura di questo Codice si dee fare ogni volta, che si tiene la Loggia. Ma il miglior partito è, che si scriva e legga nel cuore. Il cuore è il libro de' nostri Statuti, in cui furono impressi colla punta del ferro. La mente ancora conosce, e il senso pratica le leggi giurate; quando il buon M. non oscura la luce del vero, non estingue il foco della virtù, e non deturpa la bellezza di sue maniere. Egli va dritto e sicuro per la via della vita, e gli sono e guide e compagni la Luna, il Sole, e la Stella.

 

Libro II

Delle Leggi Economiche.

Proemio

Fin ora si è scritta la legge delle menti, e si è il modo dichiarato, onde si pervenga alla felicità. Or si passa a dettar le leggi de' corpi, affinché sieno sani, vigorosi e robusti. L'Impero, diceva bene Sallustio, è dell'animo; ma al corpo spetta il servigio. Oltre a ciò qual è mai quella Società, la quale possa stabilirsi e sostenersi senza roba e senza denaro? Non è questo il fine, ma il mezzo; e senza questo mezzo non mai si viene a quel fine. Dal Cielo dunque alla terra.

 

Cap. I. Del Deposito.

Non ha la Società de' Massoni esterne facoltà, onde sossista. Il suo tesoro contiene i doni della natura, e questi non sempre son dati per la mano della fortuna. Lo spirito della conquista, del commercio, del latrocinio né pur è della virtù. La contribuzione degli stessi Fratelli è il fonte, onde trae e percepisce ciò, che bisogna. Il primo fonte è il deposito del profano, il quale aspira alla luce. Secondo il bisogno, e la varietà de' paesi, si fissa la quantità di questo deposito. Non ecceda il bisogno, né manchi. Nel primo caso la Loggia diventa mercenaria; nel secondo diventa mendica.

L'uso di questo denaro è necessario alla recezione del profano, e alla necessità della Loggia. Gli ornamenti di lui, la spesa per la cena, il decoro del Tempio, sono il primo uso, a cui serve questo denaro. Se mai resta qualcosa, si rende al Tesoriere, e questi la ripone nella cassa del Tesoro commune.

L'altro fonte delle nostre sostanze è la cassa de' poveri. In ogni assemblea dee intorno girare qual cassettino, in cui ciascun de' Fratelli dee riporre quanto può pe' comuni bisogni. I Fratelli visitatori soglia no specialmente complimentar la Loggia visitata con qualche largo sussidio. Come ciò si fa con segretezza, ed essi si mostran grati al beneficio, e la Loggia serba la sua verecondia. E non è vietata à un Fratello di presentare un dono alla Loggia. I primi Tempi de' Numi furono decorati, e arricchiti dalla pietà. Chi dona all' Altare, dona alla Patria; e chi dona alla Patria, rende a Dio ciò ch'è di Dio; e al Re ciò ch'è del Re. Le spoglie opime, i trofei, le primizie, i voti, le palme sono i più bei doni della Terra e del Cielo.

Sovente la multa è la pena della colpa: e ciò vale a convertire il malo in salute. Appresso a tutte le Nazioni si ritrova la pena pecuniaria, e ciò è, perché la giustizia, d'accordo con la pietà, permette la redenzion del delitto. Nella necessità si compra l'altrui vita, o la sua; e talora un uomo si valuta un agnello.

L'altro fonte delle nostre rendite si è la temperanza e la beneficenza. Chi sa far uso di sue ricchezze; chi fa moderar l'appetito, e astenersi dall'avarizia, e dal lusso; ha sempre molto da beneficar una Loggia. La parsimonia, dicevan gli antichi, è l'origine d'ogni ricchezza. Ma la parsimonia è ancora l'origine della beneficenza e della gratitudine.

Non si sgomentino i nostri Fratelli, se vi è tra loro la povertà. Questa è stata sempre la madre di ogni arte, e di ogni virtù; ed ha condotte le armate, per la strada del dolore e del pericolo, alla vittoria e all'impero. Si vive bene di poco, e di poco è la natura contenta. La mendicità, lo squallore, la sordidezza sieno sbandi te da noi; ma non la moderata decenza, che rende un'alma sufficiente a se stessa, e contenta di se.

 

Cap. II. Del Mensuale.

A simiglianza delle altre Società si è convenuto, che ogni Fratello paghi alla Loggia tanto, quanto è stabilito. Questo pagamento tra noi non si fa per Lustri, per anni, per giorni; e' si fa per mesi o nel principio, o nel fine, o nella metà. Non deggiono i Fratelli mancare a questo dovere, donde deriva la sussistenza, e la ilarità della Loggia.

Chi non paga a suo tempo, o non mai, è degno di riprensione, e di pena. Questo denaro, che si esige ogni mese, passa in mano del Tesoriere, ed egli ne farà quell'uso, che chiede o il bisogno o il piacere.

Chiunque non può soddisfare a questo dovere, ne sia da questa legge liberato a voti communi. Chi serva alla Loggia o per opra d'ingegno, o per opra di mano non sia soggetto a tal pagamento. Di più si avverta, che il Fratello Servi ente non è solo immune da questo peso, ma debbe avere di tempo in tempo il suo soldo.

 

Epilogo.

Intorno alle leggi Economiche pare, che siesi bastevolmente parlato. Il tempo, e l'essercizio sapranno scoprire altre verità le quali praticate si fanno statuti. Fin'ora il Fratello si contenta del pane, del vino, e dell'olio, che sono gli alimenti della necessità. Ma fidiamo all'Architetto dell'Universo, che non andrà lungi, e vedremo l'avventurato Massone fornito d'oro, d'argento, e di rame. Accresce la nostra fiducia quel detto di un Console, e di un Senatore Romano. Il primo diceva: la guerra si pasce di guerra. E l'altro: tutte le cose servono alla regnante virtù.

 

Libro III.

Delle Leggi Liturgiche

 

Proemio.

Al Sommo Sacerdote si apre solamente il Santo de' Santi. E' può fra il silenzio e il timore, quel Nome nominare, che comprende l'arcano del Tempio. Questa parte delle Leggi spetta nel vero a' Sacerdoti; ma si può per l'essercizio confidare a' Fratelli. Il freno della modestia dee contener ogni lingua dalle importune ricerche; e il cuor moderato ne attenda l'effetto senza indagar le cagioni. Nel silenzio e nella speranza sarà la nostra fortezza.

 

Cap. I. Del Mistero.

Ogni Mistero è una Festa, e ogni festa è la memoria di un fatto. A voler ridurre a sistema i fatti più memorandi, essi sono accaduti o nella vita, o nelle nozze, o nella morte d'un uomo. Il Tempio dunque rappresenta o la culla, o l'ara, o la tomba. Volgendo e rivolgendo la Storia, o vere, o finte, de' popoli, i riti de' loro misteri son conformati a celebrare alcuna di queste memorie; e il nome delle feste è o il natale di Pallade, o la morte di Adoni, o pure le nozze di Marte e di Venere. Il nostro Mistero, che ha tutto l'apparato d'una festa solenne, è una rappresentazione sensibile d'un fatto, che interessa l'Umanità, e questo in vero è la morte d'un giusto, e la morte d'un reo. Quello ch'è il più bel premio della virtù, ci desta in seno l'emulazione, il dolor, la pietà. E questa, ch'è la pena del vieto, ci desta nell'animo l'indignazione, il furor, la vendetta. Or la liturgia de' Massoni contiene ne' suoi simboli sacri, legati a sacre parole, la sostanza e l'argomento del loro Mistero.

 

Cap. II. Della Loggia.

Sotto il nome di Loggia s'intende o l'edifizio, o l'assemblea, o il trattato. Questi tre oggetti della liturgia deono essere particolarmente divisati, perché, tolta la confusione, si vegga quell'Ordine, ch'è l'anima della legge.

 

§ I. L'Edifizio.

L'Edifizio della Loggia è o modello, o lavoro. L'uno è il rappresentante dell'altro. Il Tempio, ch'è disegnato, o fabbricato nella figura d'un quadrato bislungo, ha quattro porte, rivolte alle quattro parti del mondo, e quattro finestre. Contiene molte camere, ed un giardino; ma si divide in due parti, che sono il coro, e la mensa. L'emblema del coro è la cetra; della mensa, la tazza. La prima azione si chiama travagliare; la seconda fabbricare. A questi due ufficj rispondono i simboli; a' simboli i riti, a' riti i fatti, a' fatti le ragioni, alle ragioni le leggi, alle leggi i costumi.

Si sa, che la sapienza umana comprende tre parti, la verità, la virtù, la bellezza. L'una è la grazia della mente, l'altra del cuore, la terza del senso. Il sapere, il potere, il piacere sono le tre parti, che constituiscono l'essenza dell'uomo perfetto, che si chiama il Saggio e l'Eroe, e tal è ancora l'indole del Massone. La Natura, seguendo i suoi segreti consigli, non sempre da tutto ad un solo, e serba gelosamente i limiti delle cose. Quindi è, che a fondare il regno di Dio si richiede la società dell'uomo di consiglio, dell’uomo di coraggio, e dell'uomo d'ingegno. Queste sono come le basi, le mura, e il tetto del Tempio, a cui sono impiegati il livello, la squadra, e il compasso; la luna, il sole e la stella.

La pratica di questa teorica è l'argomento della Liturgia, diviso tra il coro e la mensa. Questa sapienza nacque da' fatti; però s'insegna e si apprende co' riti. La lezione rituale si fa per Catechismi e per Omilie; l'uno e l'altro modo dipende dal costume, e il costume dall'uso. Qui non vogliono le parole, o al più, le parole non fanno, che l'uomo erudito e pedante. Questa parte della Legislazione debbe dunque spiegarsi allo stilo di Sparta, e ciò vale a dire, che questa legge è tutta costume, usanza, mistero, virtù.

 

§ II. L'Assemblea.

L'Assemblea de' Massoni è come un Parlamento, e un Senato. In quello o si opra, o si parla. La prima si chiama Assemblea di travaglio; la seconda, Assemblea di consiglio.

La recezione d'un Profano, e il passaggio dell'un grado all'altro, si chiama travaglio. Ogni travaglio è un rito, e ogni rito si apprende con l'uso. Chi non è Massone, è Profano. Così pur fra i Romani l'uomo era o cittadino, o nemico. Il fondatore della Chiesa pur disse: Chi non è con me, è contra di me. Ma il Massone, sì come è un uomo perfetto, non si fa, che per gradi. Intorno a' gradi vi è varietà di pareri. Dal più al meno possono ridursi a sette, e sono: l'Apprendente, il Compagno, il Maestro, il Reggente, l'Eletto, lo Scozzese, e il Cavaliere della Spada. Se bene s'intende il Mistero, i Gradi del Massone sono uno, in tre parti, o in sette diviso. Ma siccome è profondo il cuor dell'uomo, e senza occasione non si conosce virtù; perciò è da commendarsi la legge de' Gradi.

 

§ III. Il Trattato.

L'umana curiosità si volge sempre intorno a due ricerche, e sono: Che ci è? Che si fa? Queste sono ancora le domande, che si fanno da' profani a' Massoni, e da' Massoni a' Maestri. Se in queste due cose è riposto l'arcano, e' si perde quando si svela. Ma l'arcano è svelato, e cessa non la inquieta curiosità de' mortali. Gran cosa è l'uomo! Non mai presente a se stesso, nella cagione cerca l'effetto, nell'effetto vuoI vedere la cagione. I Massoni cercano la felicità per la strada della virtù. La vita loro è manifesta a' mortali. Amici dell'Uomo, della Patria, di Dio; fedeli al Re, allo Stato, alla Legge; contenti della lor sorte, tranquilli nelle avventure, eguali neIIe vicende; attenti a conquistare il sommo de' beni nella libertà delle leggi e de' riti. Questo è il trattato de' liberi Muratori; e questo il fine del gran Instituto. Se il sospetto cade su i mezzi, i mezzi sono la cetra, e la tazza. Ecco ciò che c'è, e ciò che si fa nella Loggia. Ma il silenzio! E' [delitto?] la maggiore delle virtù.

 

Cap. III. Dell'Armonia.

12 La felicità si dimostra nel suggello dell'innocenza; e la voce dell'innocenza è il canto de la gioia. Se il risultato delle leggi è la giustizia e la pace; queste figlie di Temi si fanno ascoltar da' mortali co' loro armoniosi concerti. Ma le sacre canzoni non sono solamente un ammasso ordinato di suoni: esse sono occupate di cantare i trionfi della virtù, riportati sopra l'ignoranza e l'errore, e la riparazione del Regno di Dio. L'eloquenza e la poesia, figlie dell'ingegno e dominatrici degli animi, restituite alla loro natural dignità nei Tempio d'Orfeo, sono impiegate a spiegare, e ad inspirare il vero spirito della religione, della Società, e della gentilezza negli animi inclinati e preparati al sentimento della felicità; e a deplorare l'impietà, la rivolta, e la barbarie, che fanno le umane sciagure. L'argomento delle prose e de versi è la gloria di Dio, l'amor della Patria, e la fede del Re. E non dee tacersi, per onor del vero, che la Società de' Massoni ha restituito il decoro alle belle arti, e il moto a' talenti. Di quante belle orazioni, e di quante più belle poesie sarebbe priva la Terra, se non si fosse instituito l'Ordine de' Massoni? Quanti lumi non si sono sparsi e diffusi al suon delle cetre? Senza tali lumi l'antichità sarebbe un Caos; e i più grandi Instituti dell'Antichità sono i Misteri.

 

Epilogo.

Intorno alla terza parte delle Leggi Massoniche altro non può fidarsi alla penna e alla stampa. Ne' Catechismi, nelle Omilie, e nelle Canzoni è contenuta la Liturgia della Loggia. Ma l'essercizio è contenuto nel rito, e il rito non è, che una rappresentazione del fatto. Felice, chi conosce i fatti dalle ragioni, e le ragioni da' fatti! Egli ha due destre, ed è veramente ex utroque Caesar,

Juro domasque dabam. Virg. III

 

Il fine.