"In Taberna"

Carmina Burana secolo XIII

 

Ripercorriamo un sentiero consumato ed usato male e sebbene nella nostra Loggia è fatto divieto, secondo gli antichi ed accettati regolamenti, parlare di politica e di religione, la necessità di non sottrarsi ad una doverosa risposta ad una domanda di un nostro visitatore, (Federico S. di Milano, [ vedi F.A.Q.]) ci consente di informare attingendo dal testo:

 Luce sul Grande Oriente 

 

di Massimo della Campa Editori Sperling & Kupfer, riprendendo al capitolo VI.   

Il Web Maestro

 

 

La catena iniziatica La copertura Massoni «a vista»  Una loggia segreta a Napoli Considerazioni sulla «copertura» Origine della P2 I fratelli coperti  I «coperti»: diarchia  Tentativo di «ristrutturare» la P2  Sconfitta di Salvini: carta bianca a Gelli Licio Gelli entra nella P2 Situazione dei coperti nel 1978 Lo scandalo P2 Perquisizioni e sequestri  Inchieste governative e parlamentari L'indagine giudiziaria La P2 è assolta Le conclusioni dell'inchiesta parlamentare Gelli radiato dal Grande Oriente Responsabilità del Grande Oriente

 

 

La catena iniziatica

La maestranza di Giordano Gamberini (19611970) - come già si è osservato - ha inciso notevolmente sulle vicende del GOI. Fu allora che si cominciò a dare un diverso assetto alla «massoneria coperta», fenomeno del tutto anomalo anche dal punto di vista massonico, al quale è il caso di dedicare attenzione anche per l'uso, non soltanto giornalistico, di accomunarlo a quello della cosiddetta «massoneria deviata»: altra espressione adoperata quasi sempre a sproposito.

Anche l'odierna pubblicistica italiana ha parlato abitualmente di massoneria deviata (o di «settori deviati» della libera muratoria). La terminologia è impropria. Anche se i nomi non sono «protetti» (perché non «depositabili» o «brevettabili»), non è consentibile parlare a sproposito di massoneria e di massoni. E libero muratore soltanto chi sia stato regolarmente «iniziato» secondo «Tradizione» da un altro iniziato, proseguendo una «catena iniziatica» che va indietro nel tempo, ininterrottamente, ben oltre l'anno 1717, data di nascita della (moderna) massoneria. Non si può quindi parlare di deviazioni a proposito di logge «spurie» (la terminologia americana è più incisiva ed efficace: «clandestine») o di personaggi, più o meno equivoci, autonominatisi «massoni» (ma che massoni non sono né possono essere considerati). E fondato, viceversa, parlare di deviazioni in presenza di fenomeni quali il «piduismo» o la mancata osservanza, in loggia, delle tradizionali norme rituali, giacché si è in presenza di fatti, infrazioni e via dicendo, pur sempre riconducibili all'interno della massoneria.

Esempio illustre: la «scomunica» che fulminò nel 1877 il Grande Oriente di Francia anche per aver soppresso l'obbligo, per le logge, di lavorare «alla Gloria del Grande Architetto dell'Universo». Orbene, nessuno può negare la qualità di «massone» agli appartenenti a quella, per tanti versi gloriosa, fratellanza. Così come tale qualità non può essere negata a due fratellanze «uscite» dal Grande Oriente d'Italia: nel 1908 (la massoneria cosiddetta di Piazza del Gesù di Saverio Fera) e nel 1993 (Gran Loggia «regolare» d'Italia di Giuliano Di Bernardo). Scissionisti, forse scismatici, ma liberi muratori. Duole dire che massoneria «deviata» fu certamente quella praticata dal Grande Oriente d'Italia quando si occupò di politica (da Garibaldi a Lemmi, da Ferrari a Torrigiani) e quando ha consentito la P2.

Gli esempi di massoneria «deviata» per allontanamento dalla tradizione rituale sono molti. In testa, fra i «poco osservanti», Giuseppe Garibaldi. Nel campo politico primeggia il caso di Adriano Lemmi. Egli propugnò ed accentuò la penetrazione dei massoni nel mondo «profano» testualmente disponendo di «scendere in campo e apertamente lavorare per il più rapido conseguimento dei nostri ideali». Tale indirizzo, non certo ortodosso, accentuò l'eterno conflitto fra l'osservanza della tradizione muratoria e il desiderio (che, in verità, era talvolta necessità) di occuparsi fattivamente di cose concrete. Furono così favorite le accuse - non sempre pienamente infondate – di una massoneria italiana quanto meno immischiata in fatti politici, e vennero creati i presupposti di una sempre minore influenza nella vita italiana a partire dal 1908.

 

La copertura

La massoneria è un'istituzione «iniziatica» riservata a chi vi è «iniziato». Ne sono quindi esclusi i «profani»: etimologicamente coloro che sono (e devono restare) «fuori dal Tempio». La «Tradizione» (sempre scritta con la maiuscola) – il complesso degli insegnamenti e degli usi – esige che il «lavoro» del massone (la ricerca della verità, l'interiore miglioramento) debba svolgersi nel Tempio. «Al coperto»: lontano cioè da (occhi) profani. Tutto ciò è simbolico. Il tempio, infatti, è un luogo ideale. Per poterlo costruire basta delimitarne simbolicamente i muri percorrendo i lati di un immaginario quadrilatero.

Così «squadrato il Tempio», esso è «coperto»: al riparo dai profani che potrebbero contaminarne la purezza. Ed è coperto poiché, costruiti con una deambulazione i quattro muri simbolici, sarà la stessa volta stellata celeste a «coprirlo» (di «tegole», altrettanto simboliche). Questa, iniziaticamente, è la «copertura del Tempio», operazione che da secoli si svolge in tutto il mondo all'inizio delle riunioni di loggia (i lavori»).

Possono essere considerati massoni, come già si è detto, solo coloro che siano stati iniziati in una catena ininterrotta che va indietro nel tempo ben oltre il 24 giugno 1717, data di inizio della massoneria moderna. Solo chi sia stato così iniziato e poi eletto ed insediato venerabile di una loggia ha il potere, a sua volta, di iniziare profani con procedure rituali ed «in presenza di [sette e] più fratelli». E questa l'ininterrotta «catena iniziatica» che sola legittima (e rende «legittime») le varie obbedienze (o fratellanze) massoniche sparse nel mondo col nome di Grandi Logge o Grandi Orienti. Quindi solo massoni, iniziati secondo detta regola, possono dare vita a fenomeni di «massoneria deviata» (è il caso anche di Licio Gelli). Quelli posti in essere da persone o organizzazioni sedicenti massoniche (perché non possono risalire ai padri fondatori del 1717) tutto possono essere definite o considerate tranne che «massoneria». Non bastano le denominazioni e le etichette. In questi casi più che mai conta la sostanza delle cose: l'abito non fa il monaco.

 

Massoni «a vista»

In molte obbedienze era potere e prerogativa del gran maestro in carica «ordinare», «creare», «costituire», iniziare massoni «a vista» non sempre «in presenza di una Loggia regolarmente costituita». La Gran Loggia Unita d'Inghilterra non ha mai fatto uso di quello che negli Stati Uniti è definito «power of making a Mason on sight». Secondo l'uso italiano, il gran maestro (che è tradizionalmente il venerabile dei venerabili) poteva «iniziare sulla spada» profani, persino elevandoli al grado di maestro. Tale potere – tradizionale in Italia – era previsto dalle costituzioni ed è stato esercitato da quasi tutti i gran maestri, da quel che risulta, con saggezza e moderazione. A cominciare da Giuseppe Garibaldi, che ne fece largo e documentato uso nel travagliato periodo in cui in Italia apparivano le libertà.

La pratica dell'iniziazione sulla spada (at sight) è così stata motivata da Ferrer Benimeli: ragioni personali (necessità per talune persone in determinati momenti); condizioni locali (mancanza di logge); circostanze politiche (proibizioni).

Esempio della seconda ipotesi: il 3 luglio 1839 il gran maestro del Grande Oriente Brasiliano iniziò per comunicazione Tomaz Ferreira Valle. Il 20 giugno 1881 un dignitario del Grande Oriente di Spagna iniziò sette persone in forza dell'articolo 10 di quella costituzione. Si dice – mancano però riscontri documentali – che negli Stati Uniti vennero così iniziati il Presidente Taft, il generale Douglas McArthur e Milton S. Eisenhower, fratello del famoso generale, Presidente degli Usa.

Il neofita iniziato «a vista» poteva poi «scoprirsi» in una loggia regolare o rimanere «all'orecchio del gran maestro» (che, cessando dalla carica, ne doveva trasmettere il nominativo «alla memoria» del successore). Venne così a crearsi, in Italia, una vera e propria «massoneria coperta». Nella quale il termine «copertura» assumeva significato ben diverso da quello (nobile e significativo) originario. Non più «copertura» riguardo ai «profani» (estranei ai lavori) – nel (e del) tempio –, bensì copertura per esigenze meramente «profane».

La pratica dell'iniziazione «a vista» trova peraltro più di una giustificazione. Non sempre, in passato, era agevole radunare un numero sufficiente di fratelli per poter procedere secondo le (rigide) regole tradizionali. Non a caso siffatta facoltà – vera e propria prerogativa sovrana – era riconosciuta ai grandi maestri degli stati della frontiera nordamericana. Ne fanno fede i landmarks di grandi logge Usa, senza apparenti restrizioni per il Nevada (1872), ma in Tennessee e Florida, «da esercitarsi in una Loggia regolare e col consenso di questa». Per quanto riguarda l'Italia era pur necessario tutelare la «riservatezza» di coloro che, pur desiderando affiliarsi, non potevano, per ragioni di carica o addirittura di lavoro, «esporsi». Essi rimanevano «all'orecchio» e non potevano frequentare regolarmente una loggia se non «scoprendosi». Di fatto molti «coperti» entravano poi, una volta cessati i motivi di riservatezza, nelle logge regolari con il semplice procedimento di presentarsi al venerabile di una loggia.

Costui lo «tegolava» (ne accertava cioè l'idoneità massonica e poteva persino negargliela) prima di ammetterlo ai lavori di loggia e, quindi, così «scoprirlo».

Un tale procedimento rafforza l'opinione – invero ben fondata – di puristi che ritenevano l'iniziazione «sulla spada» una specie di opreiniziazione», una sorta di «manifestazione d'intenti» (o di «prenotazione») che consentiva al «coperto»di raggiungere in seguito la pienezza dello «status» di fratello massone. I «(fratelli) coperti», non a torto, non erano considerati veri e propri massoni. Non v'è qui posto per un'indagine sulla necessità (vera o presunta) di una massoneria coperta in Italia. Meglio: di tenere «coperti» alcuni nominativi. Significativo a tal riguardo è tuttavia quanto accadde a Napoli nella primavera del 1944, quando ritornava la libertà.

 

Una loggia segreta a Napoli

Il 27 aprile 1944 – un anno prima della liberazione del Nord: Roma era ancora in mano tedesca – nella casa massonica di Napoli (presso il circolo Carlo Darwin in «Galleria») venne deliberata la costituzione di una «loggia segreta» denominata Roma. Dal minuzioso verbale della seduta risulta che la decisione accoglieva il desiderio «dei Fratelli socialisti e comunisti» di non essere posti di fronte all'alternativa fra la scelta politica (l'appartenenza ad un partito) e la fedeltà agli ideali muratori. Ipotesi concreta sia per il divieto (statutario) del partito comunista e sia per il «principio d'incompatibilità» proclamato nel 1913 dai socialisti. La discussione fu confusa: qualcuno fece anche presente l'importanza delle logge segrete «come quelle più idonee a raccogliere elementi, come i socialisti e i comunisti, che potrebbero in tal modo spiegare efficacemente opera massonica» anche perché, venne notato, «la Massoneria non è un partito politico» ed «è sancito dai suoi concetti anzi detti che ove si manifesti una precisa incompatibilità, occorre lasciar liberi i fratelli di agire secondo la loro coscienza». Sottolineato in tal modo che «i socialisti e i comunisti possano far parte della Massoneria», si decise l'immissione nelle logge segrete anche «per i profani socialisti e comunisti che bussassero alle nostre porte».

Non consta l'esistenza di altre analoghe logge. Certo è che numerosi furono i comunisti ed i socialisti «a piedilista» delle logge regolari, frequentate soltanto per ragioni ideali, poiché nessuno di loro ne ricavò vantaggi materiali e quasi nessuno ebbe vantaggi politici. Permane nei non più giovani il ricordo degli accesi diverbi – nella «Sala dei Passi perduti» (altra locuzione massonica, passata poi nell'uso politico, che indica i locali non adibiti né a «templi» né ad uffici) – fra sostenitori ed avversari del Patto atlantico.

 

Considerazioni sulla «copertura»

La fratellanza universale dei liberi muratori è, da sempre, caratterizzata da alcuni principi e valori, ritenuti permanenti ed universali. La libertà (meglio, le libertà), la tolleranza, la giustizia, la fratellanza, l'uguaglianza, la solidarietà fra e per tutti gli esseri umani; la stretta osservanza e difesa dei diritti umani; la lotta contro dogmatismo, povertà ed, infine, tirannide. Il perseguimento e la coerente realizzazione di tali principi si sono peraltro – nelle varie epoche storiche e nei diversi paesi – spesso scontrati con le realtà sociali, economiche, politiche e sono stati da esse (a volte duramente) condizionati. Non consta infatti una decisa azione dei massoni inglesi contro la discriminazione legalizzata dei cattolici, considerati «papisti» e (quindi) nemici dello stato. Esempio, alla rovescia, del divieto di far politica. Né può certo entusiasmare la mentalità di certi massoni americani, in special modo negli stati (ex) confederati: non si ritenevano degni dell'iniziazione massonica – perché nati non «liberi» – gli ex schiavi e, a volte, persino i loro discendenti. Tuttavia tali comportamenti non hanno posto in dubbio il generale, e sincero, sentire dei massoni nel mondo: il loro comportamento e le loro azioni si sono atteggiati in maniera diversa soltanto per i metodi e le procedure, senza che venissero meno le comuni ragioni di fondo.

La Gran Bretagna si liberò presto di quasi tutti gli ostacoli che impedissero non solo l'esercizio dei diritti fondamentali ma anche il loro graduale rafforzamento ed allargamento a strati sempre più ampi. La massoneria inglese divenne inoltre essa stessa parte integrante – come lo è, forse, ancora – del potere posto che nella monarchia confluiscono stato, religione (di stato) e la stessa massoneria. Non dissimili condizioni quelle degli Stati Uniti, il cui affrancamento fu visibilmente favorito, e persino condizionato, dalla forte presenza massonica. La costituzione degli Usa, principalmente ad opera del massone Thomas Jefferson, ne è eloquente conferma.

Diverse le condizioni in Europa, in particolare nei paesi cattolici, nei quali – in un assetto pressoché elitario e di privilegiati – continuavano ad aver peso rilevante l'influenza di una Chiesa (quella del «sillabo»: progresso, liberalismo, massoneria accomunati nel medesimo mucchio) che manteneva un (quasi) monopolio dell'istruzione e dell'assistenza. Inevitabile quindi lo scontro, che presentò fasi asperrime (ed eccessi non sempre giustificabili) specialmente in Francia ed in Italia, sul tema della pubblica istruzione. Del resto, alcune condizioni (di esistenza di poteri illiberali) ancora permangono in paesi americani. Né infine, poteva valere il «divieto di fare politica e religione» per i massoni italiani e tedeschi, perseguitati dai governi – fascista e nazista – che erano pervenuti «legittimamente» al potere. E per tanti altri, vittime delle tirannidi, non ultime quelle dei paesi (ex) comunisti o del Cile di Pinochet.

Appaiono quindi consistenti le giustificazioni, non solo sul piano storico, del comportamento delle massonerie non anglosassoni, coerenti con i caratteri (e le stesse esigenze) del mondo nel quale operavano e che quasi le costringeva ad una sorta di «legittima difesa».

 

Origine della P2 

Nella seduta del 6 giugno 1875 del Consiglio dell'Ordine (importante organo deliberativo del GOI), gran maestro Giuseppe Mazzoni, Ulisse Bacci ed il gran segretario Luigi Castellazzo proposero di «formare una categoria speciale di Fratelli che sono costretti per la lor professione a non avere domicilio fisso». Infatti, venne sostenuto, «alcune volte, per ragioni facili ad immaginarsi, certi Fratelli non entrerebbero mai in certe Logge». Al termine di una «indagine conoscitiva», il 26 marzo 1877 la giunta del Grande Oriente d'Italia emise, peraltro senza motivarla, la «bolla» di fondazione di una loggia con la denominazione Propaganda Massonica con sede («all'Oriente di») Roma. Non contraddistinta, da nessun numero secondo l'usanza italiana del tempo. Nel secondo dopoguerra, anche le logge del Grande Oriente d'Italia vennero contraddistinte da un numero. Il n. 1 venne assegnato alla Santorre di Santarosa di Alessandria, di tradizioni antichissime e ritenuta la prima loggia d'Italia anche per anzianità. Il n. 2 toccò alla Propaganda Massonica la cui sigla, «P2», era destinata a triste notorietà.

Rinvigorita e rivitalizzata da Adriano Lemmi, tale loggia «speciale» ebbe tra i suoi membri Aurelio Saffi, Giosuè Carducci, Francesco Crispi, Agostino Bertani, Giuseppe Zanardelli, Giovanni Bovio, Quirico Filopanti, Eugenio Chiesa (che vi fu iniziato il 30 maggio 1913) e Ulisse Bacci (direttore della rivista della massoneria italiana che esplicitamente scrisse che la nuova loggia serviva a «dare un'affiliazione regolare a quei Fratelli massoni che per la loro profana posizione non possono mai frequentare i lavori delle officine»). In essa venivano, di regola, trasferiti, anche di autorità, fratelli di cui andava tutelata la riservatezza (si sa, l'Italia è anche il paese delle raccomandazioni). V'erano, poi, gli «iniziati sulla spada» – cioè senza (tutto) il rituale procedimento – in forza di una tradizionale prerogativa «sovrana» del gran maestro che ne riteneva i nomi «all'orecchio» (senza passarli all'anagrafe massonica) per trasmetterli «alla memoria» del successore. A tutelarne la riservatezza non valeva per essi quel «diritto di visita» (tradizionale in Italia; ma altrove le cose non stanno così) che consente a tutti i fratelli maestri la partecipazione con pieno diritto ai lavori delle altre logge. Essa era quindi, e non a torto, ritenuta una loggia «coperta» giacché non solo, come s'è detto, ai suoi «lavori» non si ammettevano fratelli visitatori ma, anche e soprattutto, perché i suoi adepti non potevano frequentare le altre logge. Se così avessero fatto, si sarebbero «scoperti».

 

I fratelli coperti

Si parlò così di fratelli «coperti» o «alla memoria» o «all'orecchio», ma che li si potesse considerare veri e propri massoni – non certo per colpa degli (ignari) iniziati – è cosa dubbia. Tanto che un gran maestro (Gamberini) ebbe a dichiarare che siffatte iniziazioni si perfezionavano soltanto al momento in cui questi adepti si «scoprivano» (cioè «passavano» ad una loggia regolare) vuoi per loro decisione, vuoi perché erano cessati i motivi del riserbo. Fatto tutt'altro che raro: è documentato che i «passaggi» dalla P2 ad altra loggia seguivano il normale iter burocratico, stessa prassi, stessi moduli.

Fino al 1971, gli appartenenti alla loggia Propaganda Massonica n. 2 ricevettero una tessera uguale a quella degli altri. Il che, in teoria, consentiva loro di esercitare il «diritto di visita» frequentando come «visitatori» le altre logge e partecipando ai lavori con pieni diritti. In parole povere, essi in un certo qual modo potevano «scoprirsi» pur mantenendo l'affiliazione alla loggia «segreta». Successivamente, dal 1971, tale facoltà venne di fatto revocata poiché venne loro distribuita una tessera diversa da quelle normali, che non consentiva più la loro «ammissione» ai normali «lavori» di loggia. La chiusura fra «regolari» e «coperti» diveniva ermetica.

Qui cade a proposito una precisazione. Si è appena accennato al «diritto di visita» che consente ai fratelli maestri di frequentare altre logge. A differenza dei paesi britannici – dove la visita è concessa su espressa, preventiva, richiesta – tale diritto in Italia non è limitato, consentendo quindi abusi. Nella pratica la – non più consentita – copertura aveva avuto funzione protettiva verso l'interno e non già di segreto riguardo ai profani.

 

I «coperti»: diarchia

Qualche mese dopo la sua elezione (22 marzo 1970), Lino Salvini, con provvedimento del 19 giugno, adottato nella sua espressa «funzione di maestro venerabile della Propaganda n. 2», delegò Licio Gelli a rappresentarlo, fra l'altro, «presso i Fratelli che Ti ho affidato e [...] coordinare i loro lavori». Una vera e propria investitura, non soltanto ad organizzare i lavori della «loggia» (coperta, ma sin allora, sempre e tradizionalmente, governata direttamente dal gran maestro), ma a sostituirlo di fatto in tutto e per tutto (comprese le «iniziazioni»). I motivi di tanta sollecitudine non appaiono spiegabili.

A meno che non si fosse in presenza di «obbligazioni» contratte durante il (non facile) periodo - segnato da una vivace «campagna» - anteriore all'elezione di Salvini. Il dubbio - legittimo - è rafforzato dalla semplice lettura del (singolare ed inaudito) provvedimento di «delega». Innanzi tutto, lo stile non è quello di Salvini, usualmente più tecnico e raffinato. Vi si parla di «funzione di M.V.» (cioè maestro venerabile) della loggia; si dà una, forse comprensibile, delega ai contatti ed all'esazione della quota; ma si dà delega, nientemeno, a rappresentare il gran maestro «presso i Fratelli» (coperti) e, per finire, si dà ad un semplice maestro la potestà, addirittura, di «iniziare i profani». Orbene, Lino Salvini - che s'intendeva, e non poco, di massoneria - non poteva ignorare oltre tutto che solo un maestro venerabile, «eletto ed insediato», può iniziare profani.

Difficile immaginare che Salvini, dotato di forte personalità e non incline a cedere poteri, anzi portato ad ampliarli e ad acquisirne altri, potesse cedere una così importante prerogativa, per giunta tradizionalmente «sovrana», se non costretto sin dall'inizio. Certo è che Salvini non si adattò facilmente ad una simile situazione. I tentativi, tutti infruttuosi, di riprendere terreno (almeno in parte) iniziarono subito.

Pochi mesi dopo la «delega» di (tutti) i poteri, il 6 gennaio 1971 venne emesso un decreto di cui vale la pena di trascrivere l'inizio: «Noi, Lino Salvini, gran maestro del Grande Oriente d'Italia, per i poteri che ci sono conferiti e per la Tradizione non sembrandoci saggio il passaggio all'orecchio da Gran Maestro dei fratelli occulti [...] deliberiamo: di costituire una Loggia [...] Propaganda numero 1 [...] segreta» (corsivo aggiunto). Come a dire: i coperti sono miei, la loro organizzazione compete a me, costituisco a tal fine una loggia «segreta» (e non già coperta) e che contraddistinguo con lo stesso nome dell'altra (ma con il «numero uno»), così facendo scadere di rango la numero due, il cui destino rimaneva peraltro incerto: assorbimento, (lenta) estinzione, coesistenza con la loggia numero uno. L' iniziativa - caratterizzata da insipienza, non adeguata valutazione delle forze, scarsa visione d'insieme - abortì. Pare certo che Salvini abbia «consegnato» a Gelli, nello stesso anno 1971, alcune centinaia di «coperti».

Sta di fatto che fino al 1971 a tutti i «coperti» veniva data annualmente la normale tessera massonica (che li abilitava alla frequenza di tutte le logge, italiane e straniere). Il sistema mutò: vennero revocate «tutte le deleghe ad oggi a tal fine accordate» (quali? ed a chi? Evidentemente ai grandi maestri aggiunti o ad altri dignitari) facendosi contemporaneamente divieto ai fratelli della P2 di frequentare i «lavori di altre Logge della Comunione». La circolare, del 25 novembre 1971, è a firma del gran segretario; tuttavia il suo numero (36) è seguito dalla sigla L:.S:. inequivocabilmente le iniziali di Lino Salvini.

Il primo periodo del magistero di Salvini resta quindi connotato da una (apparente piuttosto che sostanziale) «diarchia» per quanto riguarda i «coperti». Esistono solo illazioni, rimaste sfornite di ogni riscontro, su attività dei «coperti» in quanto tali, e notizie di qualche riunione, caratterizzata da discorsi velleitari e privi d'ogni concretezza. Si sa di una sola riunione di quaranta «piduisti» «fuori dalla solita trita «filosofia» massonica» allo scopo di «affrontare solo argomenti solidi e concreti che interessano tutta la vita nazionale» (da una lettera di Gelli del 15 luglio 1971). Licio Gelli «amministrava» i «coperti» già «a piedilista». Ai quali aggiungeva quanti reclutava ed «iniziava» di sua iniziativa, non sempre comunicandone i nominativi al gran maestro (è anzi da ritenere, fondatamente, che non vi fossero segnalazioni al riguardo). Sicché proprio non è dato capire come siffatti «iniziati» potessero «restare all'orecchio del gran maestro» tenuto poi a comunicare i nomi al suo successore.

Anche Salvini iniziava, o faceva iniziare, dai gran maestri aggiunti (uno per il Nord ed uno per il Sud) «sulla spada» altri «personaggi» (in verità, non sempre tali). Ai quali si aggiungevano poi quei fratelli che, per avere fatto carriera, o per altri motivi, venivano «coperti» mediante il passaggio dalla loggia d'origine alla loggia Propaganda n. 2. (E anche da ritenere che Salvini «rendesse la cortesia» a Gelli non comunicando tutti i nominativi di tali nuovi «coperti».)

 

Tentativo di «ristrutturare» la P2

Dopo quattro anni ricchi di successi Salvini si sentiva rinforzato. Così, il 14 dicembre 1974, a Napoli una Gran Loggia (straordinaria) dette via libera a Salvini. In attuazione di tali deliberati veniva, letteralmente, «abolito lo status» della P2 poiché «si erano modificate [...] le specifiche ragioni che avevano consigliato fino ad allora il mantenimento della Risp. Loggia Propaganda denominata P2 alla diretta obbedienza del gran maestro» (corsivo non nel testo). E si disponeva che detta officina «conserverà la sua tradizionale denominazione ma [...] dal giugno 1975 funzionerà come tutte le altre della Comunione».

Nei primi giorni di gennaio dell'anno 1975, tutte le logge ricevettero gli «atti del Grande Oriente n. 87 – 1974». Vale la pena di trascrivere la circolare n. 107LS «Ristrutturazione Loggia P2» in essa contenuto.

E una lettura che non ha bisogno di commenti. Ne sono stati sottolineati solo alcuni passi che dimostrano che Lino Salvini – sicuramente estensore del documento – aveva acuta coscienza della gravità del problema. Era sulla via giusta; ma non ebbe la forza per risolverlo.

Ecco il testo (privo, in originale, dei corsivi).

 

«Premesso:

  • che le specifiche ragioni e situazioni che hanno consigliato fino ad oggi il mantenimento della Risp. Loggia Propaganda denominata P2 alla diretta obbedienza del Gran Maestro, si sono modificate nel tempo,

  • che la necessità di copertura di parecchi Fratelli ad essa affiliati sta sempre più perdendo di significato,

  • che le disposizioni che governano il nostro Ordine devono sempre più uniformarsi a quelle di tutte le altre Comunioni del Mondo,

  • che il continuo maturarsi della coscienza massonica in tutti i Fratelli rende sempre più raro l'indiscriminato e non autorizzato ricorso diretto di Fratelli verso altri Fratelli per richieste di solidarietà,

  • che l'istituzione ed il comportamento massonico si acquistano essenzialmente frequentando i normali lavori nelle Officine in totale rispetto della Tradizione, della costituzione e dei regolamenti,

  • che molti Fratelli ora appartenenti alla Loggia P2 desiderano e chiedono di perfezionare le proprie conoscenze massoniche operando nelle Logge conformemente alle nostre tradizioni ed ai nostri rituali,

  • che la copertura può essere consentita dal Gran Maestro solo se necessità dell'Ordine lo consiglino e solo in via temporanea,

  • che il Governo e l'Amministrazione della R. Loggia P2 così come ora strutturato malgrado i numerosi e volenterosi accorgimenti ed i tentativi fatti dal Gran Magistero e dagli altri Fratelli delegati, ha presentato sempre notevoli difficoltà di funzionamento;

 

Considerato:

  • Che il sussistere di una formazione necessariamente non sempre rispondente a tutte le esigenze della norma costituzionale e regolamentare, anche se ormai acquisita alla tradizione della Comunione Italiana, può portare, anche indirettamente, turbamento al normale svolgimento dei lavori muratori;

Sentito il parere:

  • della Gran Loggia del 14 Dicembre 1974 che, quasi all'unanimità, si è pronunciata favorevolmente per l'abolizione o per la ristrutturazione della P2;

·         della Giunta Esecutiva che nella riunione del 14 Dicembre 1974 ha prospettato possibili soluzioni

 

l'Ill.mo e Ven.mo Gran Maestro nell'esercizio dei propri poteri tradizionali ha stabilito:

 

  1. i regolamenti particolari governanti attualmente la Risp. Loggia P2 e le deleghe e norme organizzative ed amministrative da essi derivanti, sono abrogate a partire da oggi;

  2. la posizione dei singoli Fratelli facenti parte del piedilista della Risp. Loggia P2 sarà riesaminata allo scopo di stabilire:

 

  • quali di essi resteranno «coperti» e passeranno «alla memoria» del Gran Maestro il quale per essi eserciterà la sua tradizionale ed irrinunciabile prerogativa non solo di creare a vista i Massoni, ma anche di non comunicare l'appartenenza alla Famiglia qualora le esigenze della Famiglia stessa temporaneamente lo impedissero;

  • quali di essi resteranno nella Risp. Loggia P2 che conserverà la sua tradizionale denominazione, ma che dal Giugno 1975 funzionerà come tutte le altre Rispettabili Logge della Comunione anche se potrà essere retta, in un primo periodo, da speciale regolamento interno predisposto ed approvato dalla Giunta Esecutiva;

  • quali di essi saranno trasferiti, nel rispetto delle norme costituzionali, alle altre Risp. Logge della Comunione tenendo conto delle preferenze espresse dai Fratelli stessi e delle esigenze delle singole Officine. [...] L'Ill.mo e Ven. Gran Maestro rivolge un particolare ringraziamento al Fratello Licio Gelli che lascia la carica di Segretario organizzativo che ha ricoperto negli ultimi anni con dedizione ed abnegazione».

 

Sconfitta di Salvini: carta bianca a Gelli

Dichiarazione solenne – quella sopra trascritta – che annunciava la «regolarizzazione» della loggia coperta. Ma le cose andarono in maniera diversa, anche se l'impegno (di regolarizzare) apparve (solo) formalmente rispettato. Salvini aveva fatto male i conti. La reazione di Gelli fu fortissima: si dette da fare in tutte le direzioni; minacciò fra l'altro, e fece sapere, che con i «suoi della P2» avrebbe costituito (in accordo, si disse, con quelle autorità) una Gran Loggia monegasca, con «rappresentanza» a Roma. Ma, principalmente e conclusivamente, organizzò all'interno stesso del Grande Oriente un'opposizione per ribaltare (o almeno fortemente condizionare) il potere di Salvini. Radunò quindi uno stuolo nutrito: antichi e nuovi avversari (a diverso titolo) di Salvini; Giovanni Bricchi, seguito da molti del rito di York; Francesco Bellantonio, già gran maestro della ex Piazza del Gesù ed altri personaggi che per vari motivi «abbandonarono» il gran maestro; infine, un buon numero di raccogliticci e sbandati che sotto l'accorta regia di Gelli misero in pericolo la gran maestranza nella Gran Loggia del marzo 1975. Un ordine del giorno (apparentemente di fiducia: fatto inaudito) salvò formalmente Salvini. Ma l'avvertimento venne raccolto ed inteso: i rapporti di forza fra i due erano ormai chiari.

La Loggia Propaganda n. 2 venne ristrutturata con decreto n. 397 del 12 maggio 1975. In conseguenza di siffatta disposizione, alcuni «coperti», inseriti in un piedilista «ufficiale» (comunicato alla gran segreteria del Grande Oriente), si riunirono e procedettero alle elezioni. Licio Gelli fu eletto venerabile (in contrasto con il venerabilato «tradizionale» del gran maestro) confermandosene incontrastato, unico titolare. Con tale soluzione apparentemente si rispettavano le decisioni della Gran Loggia straordinaria di Napoli di far «funzionare» la P2 come «tutte le altre della Comunione». In pratica, e fino allo «scioglimento» del 1981, coesistettero due, ben diverse, «logge» P2 (ingannevolmente con la stessa denominazione): una «regolare» ed ufficiale, ineccepibilmente formata da qualche decina di fratelli (con le cariche debitamente elette: maestro venerabile Licio Gelli). Ma essa sostanzialmente non funzionò mai. I suoi «lavori» vennero comunque sospesi ufficialmente l'anno successivo e mai più ripresi. L'altra – la vera occulta(ta) – era composta da tutti i «coperti».

La «sospensione dei lavori» della loggia (ufficiale) Propaganda Massonica n. 2 – che, proprio con la sigla P2, figurò fino al 1981 nella List of regular Lodges di tutte le fratellanze riconosciute dalla Gran Loggia Unita d'Inghilterra – venne ufficialmente dichiarata «opportuna» a causa di una violenta campagna di stampa (capifila L'Espresso e Panorama) in verità rivolta contro la massoneria italiana tout court. Nonostante tale sospensione – ad ulteriore riprova della duplicità (o dell'ambiguità) dell'organizzazione denominata P2 – il proselitismo proseguì imperterrito. Comunque il 15 aprile 1977 Lino Salvini diede (spontaneamente?) a Licio Gelli un'ultima «delega» per i «rapporti con i fratelli inaffiliati, ossia con i Fratelli che non risultino iscritti ai ruoli né della Loggia come membri attivi né del Grande Oriente come membri non affiliati». Di quali «Fratelli» potesse mai trattarsi sarebbe difficile capire, posto che nel provvedimento venivano citati sia quelli «regolari» (membri attivi) sia i «coperti» (non affiliati): difficile quindi ipotizzare un tertium genus. Nessun chiarimento viene poi dalla lettura del resto del singolare documento nel quale il gran maestro assicura il «delegato»: «Per effetto di tale delega risponderai soltanto a me per quanto farai a tale scopo» (quale?) «promuovendo e sollecitando quelle realtà» (quali) che «Tu stesso reputerai d'interesse e d'utilità per la Massoneria» (anche stavolta è difficile riconoscere lo stile di Salvini).

In sostanza: mano libera di muoversi, utilizzando il nome della massoneria, dovunque e comunque. Senza dover rendere conto a nessuno, neppure al gran maestro delegante, dal momento che scelte, motivi delle scelte ed azioni conseguenti sarebbero appartenuti alla discrezionalità unica ed assoluta di Licio Gelli («che Tu stesso reputerai...»). Italiano traballante, imprecisione di termini e di concetti: a sostegno di un intento peraltro chiarissimo. Un vero e proprio salvacondotto, non dissimile da quello che il sovrano assoluto dava – con garanzia (anticipata) d'impunità – agli incaricati di missioni scabrose «nell'interesse dello stato» (o del sovrano stesso).

Finì così, anche visibilmente, il sistema di «copertura» tradizionalmente seguito.

 

Licio Gelli entra nella P2

Direttore della filiale di Frosinone della Permaflex, il quarantaquattrenne Licio Gelli venne iniziato nella loggia Gian Domenico Romagnosi di Roma il 6 novembre 1963. Vantava già una rete d'amicizie e contatti importanti. In loggia si mostrò puntuale, zelante, capace. Non nascose il suo passato di fascista, anche al servizio della Repubblica Sociale. Rimase «congelato» nell'iniziale grado di «apprendista» per tre anni. Alcuni suoi confratelli (fra cui il prof. Ferdinando Accornero, massone all'antica) avevano posto il «veto». Ma, nel frattempo, egli aveva conosciuto il gran maestro aggiunto avvocato Roberto Ascarelli, nel cui studio a Piazza di Spagna si riunivano personaggi importanti e massoni «coperti» di quel gruppo – allora denominato «Hod» – che altro non era che una P2 ante litteram, affidata alle cure dell'avvocato Ascarelli ed allargata ad altri «personaggi» più o meno illustri.

Licio Gelli rafforzò in quelle frequentazioni la sua reputazione di uomo intelligente, di notevoli capacità di organizzazione e realizzazione, di buone relazioni ed «entrature». Certo è che Ascarelli lo presentò al gran maestro Gamberini. Il 28 novembre 1966, il gran segretario si fece inviare il fascicolo di loggia di Licio Gelli che venne – motu proprio del gran maestro (come era allora ancora possibile) – promosso direttamente al terzo grado («maestro») e trasferito d'autorità nella loggia Propaganda Massonica n. 2, dove avrebbe fatto immediatamente carriera. Licio Gelli non passava inosservato. Aveva più l'aspetto, e le maniere, dell'alto prelato che dell'uomo d'affari e neppure dava l'impressione di essere un cospiratore, nonostante lo sguardo un po' sfuggente dietro gli occhiali cerchiati d'oro. Nulla tradiva la modestia delle sue origini: abiti di buon taglio e di sobria eleganza; modi cortesi senza affettazione; capacità di mettere l' interlocutore a proprio agio. Era divenuto potente e molto ricco in pochi anni e vantava amicizie e frequentazioni di altissimo livello. Si diceva che in Argentina avessero fatto apposta una legge per lui, per consentirgli una doppia cittadinanza che lo abilitasse a ricevere un incarico diplomatico (con relativo status, del quale però non gli fu consentito di profittare dalle autorità italiane). Sin dal 1972 era «chiacchierato» in massoneria, poi la stampa cominciò ad occuparsi di lui e della P2, quasi sempre su indicazioni che provenivano da ambienti massonici. È presumibile quindi che – montando la marea antimassonica (nel 1980 si era, ancora una volta, collegata l'attività massonica con le stragi) – egli volesse rispondere a mezzo della stampa. Scelse il giornale più importante d'Italia, il Corriere della Sera (dove era di casa) per farvi pubblicare il 5 ottobre 1980 un'intervista dal titolo significativo «Parla per la prima volta il signor P2», che suscitò un gran clamore (e molti timori). Fu il suo canto del cigno.

 

Situazione dei coperti nel 1978

II gran maestro Battelli trovò una situazione complicata sotto ogni profilo per quanto riguardava i «fratelli coperti». Ribadiamo che era sicuramente consentita e prevista dalle costituzioni la consuetudine – qualche volta una vera e propria necessità – di iniziare profani il cui nominativo, per ragioni professionali o di giustificabile riserbo, doveva rimanere «all'orecchio del gran maestro», che poi doveva trasmetterlo «alla memoria» del successore insieme con quello dei fratelli che erano stati «coperti» per le medesime ragioni. Le facoltà discrezionali devono essere esercitate, si sa, con tanta maggior prudenza e cautela quanto più forti sono i poteri e quanto minori i controlli sotto pena di arbitri ed illegalità (sostanziali) che non possono non portare a degenerazioni.

A prescindere da tali considerazioni, risulta del tutto evidente la confusione esistente nella «massoneria coperta» quando Salvini lasciò la carica. Essa presentava nel 1978 una composizione complessa, essendo formata da:

 

  • persone già all'orecchio del gran maestro, «passati» da un gran maestro al successore;

  • profani «iniziati sulla spada» dal gran maestro (o suo qualificato legittimo delegato);

  • massoni per i quali era stato disposto, d'ufficio o su domanda, il passaggio da una loggia «normale» a quella «riservata»;

  • pochi massoni componenti la Loggia Propaganda n. 2 (ufficiale);

  • profani fatti «iniziare», quanto meno dal 1975, da Licio Gelli e che facevano parte di quello che è stato definito il «raggruppamento Gelli» – cioè la «loggia privata Gelli» – i cui nominativi erano sconosciuti ai vertici del Grande Oriente;

  • ad aumentare la confusione, il folto gruppo di fratelli «coperti» che, nel corso del 1975, Licio Gelli «restituì» (sic) al gran maestro (i loro nominativi, agli atti di uno dei tanti procedimenti giudiziari – P.M. Vigna di Firenze –, vennero puntualmente diffusi dalla stampa. Ma non comparvero nei famosi «elenchi» sequestrati nel 1981 a Castiglione Fibocchi).

 

A partire del 1980 gli «iscritti» alla P2 ricevettero una nuova tessera a firma del nuovo gran maestro e del «venerabile» Licio Gelli (che viceversa lo era, e poteva esserlo solo, della «regolare» Loggia Propaganda n. 2). E certo che queste tessere, firmate in bianco dal gran maestro, venivano poi riempite al momento della «iniziazione» dei nuovi adepti a ministero di un ex gran maestro, Giordano Gamberini.

 

 

Lo scandalo P2

Lo scandalo scoppiò pochi mesi dopo. Tutto cominciò, si dice, per caso. Nel corso delle indagini relative alla bancarotta di un istituto di credito facente capo a Michele Sindona, la procura della Repubblica di Milano ordinò una perquisizione a casa e negli uffici di Licio Gelli. Invece di trovare prove di presunte violazioni valutarie, la guardia di finanza scoprì una valigia contenente la lista degli aderenti alla P2, nonché una lista ritenuta subito essere l'elenco (a detta di certuni, incompleto) dei «massoni» facenti capo a Licio Gelli ed altro svariato materiale collegato alle sue molteplici attività.

Si parlò, come si è accennato, di «caso».

L'ipotesi appare poco plausibile. A tacer d'altro, i militari muovendosi agevolmente il 17 marzo 1981 nello stabilimento di Castiglione Fibocchi, andarono a colpo sicuro e trovarono subito la valigia. Erano diretti, addirittura, da un colonnello (grado che, come si sa, abilita al comando di un reggimento).

Molti i personaggi coinvolti, compresi alcuni ministri e sottosegretari del governo italiano in carica. Fu certamente un grosso colpo. Oltre alla scoperta dei famosi elenchi – della cui completezza e autenticità è difficile dubitare – venne fuori la documentazione di parecchie, disinvolte operazioni. Per esempio si scoprì – e la circostanza venne autorevolmente confermata dal Ministro delle Partecipazioni Statali (Gianni De Michelis) e dal vicepresidente dell'Eni (Leonardo Di Donno) – che nel 1980 detto ente aveva prestato cinquanta milioni di dollari al Banco Ambrosiano.

L'operazione «estero su estero» venne effettuata dalla Tradinvest di Nassau (dell'Eni) al Banco Ambrosiano Andino di Lima. Essa avrebbe fruttato, secondo le annotazioni di pugno di Gelli, una provvigione «di 3 milioni 500 mila dollari per la sigla dell'accordo dell'Eni. Altri 5,5 milioni alla firma del contratto». In totale 9 milioni di dollari (di allora) per la «intermediazione»: il diciotto per cento. Non fu, del resto, il solo prestito del genere. Fra le stesse parti, nel gennaio-febbraio 1979, 60 milioni di dollari dalla Tradinvest al Banco Ambrosiano Holding del Lussemburgo; nel maggio 1981, 16 milioni e 660.000 franchi svizzeri da Tradinvest all'Andino (stavolta la cifra, misteriosamente, non è «tonda» ed è in franchi svizzeri). Tutto «estero su estero» con danaro dell'Eni (a spese, quindi, del contribuente) in barba alle severissime norme valutarie allora vigenti secondo le quali i fatti integravano ipotesi di reato che non risultano peraltro di essere stati perseguiti.

Insigni giuristi – «i tre saggi»: Lionello Levi Sandri, Vezio Crisafulli e Aldo Sandulli – vennero nominati a compone una commissione d'inchiesta che, il 16 giugno 1981 a maggioranza (dissenziente, motivando, Crisafulli), espressero il parere che la P2 offrisse elementi di segretezza non consentiti dalla Costituzione. La condanna dell'opinione pubblica fu comunque netta. Il silenzio del Grande Oriente favorì una violenta campagna antimassonica – alimentata dal viscerale antimassonismo anche di sedicenti «progressisti» – che accomunò regolari e coperti bollando di piduismo tutto quanto sapesse di libera muratoria. La pubblicazione degli «elenchi» scatenò una vera e propria «caccia al massone». Che si ripeterà dieci anni dopo. Reputazioni e nominativi gettati in pasto al pubblico disprezzo: condanna inoppugnabile, senza processo. Una nuova «gogna».

Pubblici dipendenti, convinti di essere nella legalità, vennero sottoposti a procedimenti disciplinari conclusi a volte con provvedimenti mostruosamente immotivati. Alcuni suicidi, molte carriere (non solo pubbliche) spezzate o compromesse. Quasi sempre punizioni sproporzionate al fatto «obiettivo» di un comportamento solo ex post considerato illecito o disdicevole. Il Grande Oriente non fece nulla per quei «piduisti» che vi si recavano pronti a «scoprirsi» e a «regolarizzare» la loro posizione. L'aiuto a molti sprovveduti venne – per i procedimenti innescati dalla pubblicazione degli elenchi – solo da pochi «fratelli regolari». Lo sconcerto nelle file massoniche, quasi del tutto ignare, fu immenso. Convinceva poco, oltre tutto, la mancanza (o la mancata adozione) di una posizione chiara, coerente, convincente da parte della giunta del GOI che sembrava a rimorchio degli eventi.

Perplessità anche nelle comunioni estere. Ma nessuna conseguenza per le «relazioni fraterne». Nessun ritiro o minaccia di ritiro (o almeno di sospensione) dei riconoscimenti. Nulla da parte degli inglesi. E, sorprendentemente, nulla da parte delle Grandi Logge nordamericane; neppure quelle che erano state in prima fila nel crucifige del 19771978 che portò al ritiro anticipato di Lino Salvini. Condotta né indifferente né, tanto meno, compiacente, ma vero e proprio verdetto di non colpevolezza – se non di «insussistenza» del fatto – che deve far riflettere.

 

Perquisizioni e sequestri

Tra il 5 ed il 6 maggio 1981, su ordine della procura della Repubblica di Roma, vennero eseguite perquisizioni notturne negli uffici di Palazzo Giustiniani e nella villa Il Vascello: si procedette, fra l'altro, al sequestro degli elenchi degli iscritti al GOI che vennero poi dissequestrati il 19 settembre 1981.

Si sono qui esaminate le conseguenze e le ripercussioni del caso Gelli sulla massoneria in generale e sul Grande Oriente in particolare. Si ritornerà in seguito sull'inchiesta parlamentare e sulle vicende giudiziarie collegate alla P2. Basterà qui dire che a pochi mesi dalla scoperta, con sentenza del 31 ottobre 1981, Licio Gelli venne espulso dal Grande Oriente e vennero sospesi e sottoposti a processo massonico i tre gran maestri responsabili del fenomeno di «massoneria deviata» qual è stato il caso Gelli. Si ritornerà anche su questi aspetti.

Ennio Battelli e la sua giunta si barcamenarono senza una strategia, apparendo a rimorchio degli eventi; né seppero organizzare, se non un contrattacco, almeno una difesa dignitosa. Eppure molte voci si erano levate a difesa dell'istituzione e dei molti diritti violati.

 

Inchieste governative e parlamentari

La reazione dei pubblici poteri e la sfavorevole impressione sull'opinione pubblica sono pienamente giustificabili. Le conseguenze furono molto serie. Si dimise il (già debole) governo Forlani, una bufera si abbatté sugli alti gradi militari, rimasero coinvolti parecchi personaggi (uomini politici, compresi ministri ed ex ministri, banchieri). Prima di dimettersi, il Presidente del Consiglio Arnaldo Forlani nominò, come si è detto, un comitato di saggi. Il nuovo governo - per la prima volta nella storia della Repubblica presieduto da un «laico», Giovanni Spadolini – presentò subito un progetto di legge per lo scioglimento dell'associazione «denominata P2», divenuto poi la legge n. 17 del 1982 sulle società segrete. Il parlamento italiano nominò una commissione d'indagine anche per «accertare le complicità nazionali ed internazionali, le spesso oscure relazioni con settori economico-finanziari collegate con rami della Mafia e della criminalità comune».

Oggetto del lavoro della commissione era anche quello di accertare l'esatto ruolo delle logge massoniche, in generale, negli scandali politici, economici, finanziari e bancari di quell'ultimo decennio, oltre quello, si ripete, delle connessioni fra P2 (e massoneria in generale) e crimine organizzato. La commissione, presieduta da Tina Anselmi, lavorò molto per quanto riguarda il GOI, concluse poco ed accertò ancor meno. Nulla venne accertato sulle «complicità nazionali ed internazionali» o su collegamenti «con rami della Mafia della criminalità comune». Nulla comunque che giustificasse – e che potesse giustificare – la campagna antimassonica e l'etichetta piduistica spesso affibbiata alla massoneria.

  

L'indagine giudiziaria

La procura della Repubblica di Roma non assistette inerte alle iniziative milanesi (apparentemente collegate con le indagini giudiziarie relative a Michele Sindona ed al fallimento delle sue imprese). La procura milanese aveva infatti cominciato un'inchiesta (sulla massoneria) con molti interrogatori del gran maestro e di molti personaggi ritenuti appartenenti alla P2 o comparsi negli elenchi. Detta procura iniziò subito un procedimento contro Licio Gelli ed una ventina di altre persone, quasi tutte ritenute affiliate alla loggia P2 (ma nessun aderente al GOI). Erano ascritti reati gravissimi. Il procedimento venne formalizzato e rimesso al giudice istruttore. Dopo un'inchiesta durata quasi dieci anni, nell'ottobre 1991, il giudice istruttore presso il tribunale penale di Roma chiese il rinvio a giudizio di Licio Gelli e di una ventina di altre persone. Il lungo capo d'accusa per cospirazione politica, associazione per delinquere ed altri reati, li incolpava di «essersi associati [...] al fine di commettere più delitti e più reati. L'organizzazione, denominata P2 [...] agendo di fatto segretamente già prima del 1976 [...] tendeva a controllare i settori vitali della vita della collettività [...] creando [...] una rete di collegamenti che consentiva all'organizzazione [...] di piegare agli interessi particolari della stessa [...] la funzione pubblica. [...]. Il promotore e gli organizzatori [cioè: Gelli e gli altri imputati] così agendo [...] si associavano al fine di compiere atti diretti a modificare, alterando con la loro interferenza l'essenza e le regole di funzionamento dei poteri costitutivi dello Stato, la Costituzione dello stesso attraverso mezzi non consentiti, reati ed illeciti. Essi inoltre si accordavano al fine di commettere più delitti [...] procurandosi notizie che sarebbero dovute rimanere segrete nell'interesse dello stato [...e] per commettere più delitti contro la pubblica amministrazione, l'amministrazione della giustizia, la fede pubblica, la libertà morale, le leggi valutarie e quella sul controllo delle armi». Quanto precede è lo stralcio delle parti più significative del chilometrico atto di richiesta di rinvio a giudizio (18 novembre 1991).

In Guida al diritto, 13 novembre 1999, n. 64, p. 111, si legge: «Riconosciuto a Licio Gelli il danno morale: troppo lunghi i tempi del procedimento. Corte Europea dei diritti dell'uomo – Sentenza 19 ottobre 1999 – Ricorso n. 3775297 (Presidente Fischbach, Gelli contro Italia)». Ha osservato la Corte: «Nel caso di specie, il rilevante lasso di tempo intercorso tra la decisione relativa alla competenza ratione loci (26 marzo 1985) e la decisione del giudice delle indagini preliminari di rinvio a giudizio (18 novembre 1991) è costitutivo di una violazione delle garanzie dell'equo processo». L'intero procedimento è durato quindici anni.

 

 

La P2 è assolta

Il processo durò un anno e mezzo; i giudici della seconda sezione della Corte d'assise di Roma rimasero quattro giorni in camera di consiglio per decidere la sentenza d'assoluzione degli imputati dal reato di attentato alla Costituzione mediante cospirazione politica perché il fatto non sussiste (sentenza del 16 aprile 1994 depositata il 26 luglio successivo: 1813 pagine). La Corte d'assise condivise autorevolmente il giudizio espresso dai commentatori più avveduti: la P2 può essere stata, al massimo, una «conventicola di affaristi» tesi non a complotti o al rovesciamento d'istituzioni democratiche, ma, semmai, a trarne il maggior vantaggio economico e a far perdurare lo status quo. Opinione in linea con quelle contenute nelle decisioni della Corte Centrale del Grande Oriente che ha costantemente parlato di «circolo privato di Gelli», riferendosi alla P2 come di fatto essa si era strutturata e configurata.

Significativo il commento a caldo del pubblico ministero: «Per la Corte non esiste il reato penale; ma questo non significa che la P2 non sia esistita storicamente. E ad indicarlo come strumento di grande inquinamento politico sono state le sedi giudiziarie, politiche ed amministrative più disparate». Cioè tutti e tre i poteri dello stato, a dire del P.m. Evidente la confusione di idee – nonché di competenze, funzioni, facoltà – denotata da un siffatto non conflitto di poteri.

L'On. Tina Anselmi, ex presidente della commissione d'inchiesta parlamentare sulla P2, tra l'altro dichiarò di attendere «certo con preoccupazione, ma anche con serenità, che il pubblico ministero ricorra in appello». L'appello venne proposto ma fu rigettato. Il 27 marzo 1996 la seconda sezione della Corte d'assise d'appello di Roma confermò in toto la sentenza di primo grado, ribadendo l'inesistenza della cospirazione politica, della quale si era parlato per tanti anni e di cui ancora si favoleggia.

Conforme la richiesta di assoluzione del procuratore generale, che ha fra l'altro sostenuto che «la storia del nostro Paese non passa soltanto attraverso la P2, che comunque rappresenta una brutta pagina di storia e politica civile dell'Italia». Proprio così. Una brutta pagina scritta a più mani. Lapidario il commento del massonologo Padre Rosario Esposito: «E come il caso Giuffrè o Lefebvre riguardo alla Chiesa».

 

Le conclusioni dell'inchiesta parlamentare

Dodici anni prima, il 9 maggio 1984, l'On. Tina Anselmi aveva consegnato ai membri della commissione parlamentare d'inchiesta da lei presieduta la sua relazione - 264 cartelle dattiloscritte divise in quattro capitoli - che affermò essere basata interamente sulla documentazione raccolta in parlamento. Documentazione imponente: la commissione aveva indagato su tutto e su tutti. Aveva persino ordinato il 6 aprile 1982 «la consegna delle schede personali degli aderenti al Grande Oriente d'Italia posti in sonno (cioè dimissionari. N.d.A.) a partire dal l° gennaio 1981, con la data del relativo provvedimento». La documentazione venne consegnata il 20 aprile 1982; il verbale di acquisizione dei documenti venne integralmente riportato - errori dattilografici compresi - dal settimanale L'Espresso nell'agosto 1982.

Non bastò. Con una letterina estremamente garbata l'On. Anselmi chiese il 3 agosto 1982 al gran maestro Armando Corona «di acquisire i nominativi di tutti gli intestatari delle schede figuranti all'anagrafe del Grande Oriente d'Italia [...] nel quadro della disponibilità e nello spirito collaborativo finora dimostrato da Lei e dall'Associazione da Lei presieduta». Corona rispose «confermando anzitutto la piena disponibilità del Grande Oriente d'Italia, del resto più volte comprovata, a collaborare»; ma fece presente che il «riscontro dei nominativi» era già stato fatto dall'autorità giudiziaria (magistrati Cudillo e Sica) sicché «i risultati emergenti possono essere agevolmente controllati dalla Commissione negli atti già compiuti dall'Autorità Giudiziaria». Si dichiarò peraltro non «in condizione di poter accedere alla specifica richiesta» per una serie di motivi, non escluso il fatto che «la riservatezza che la stessa legge istitutiva della commissione prescrive (art. 6) è stata agevolmente violata». E precisò, accusando, che «il solido fondamento morale e giuridico» del rifiuto era il «medesimo» che lo aveva «indotto a presentare denuncia contro ignoti per la pubblicazione di 298 nomi, forniti in via riservata alla Commissione e comparsi sul n. 32 di quest'anno del settimanale L'Espresso». (Inutile dire che mai si è conosciuto l'esito di questa denuncia). La commissione ordinò il 23 settembre 1982 il sequestro «presso il Grande Oriente di tutte le schede personali dei suoi aderenti» dal momento che il GOI «si opponeva a render noti [...] i nominativi». La documentazione raccolta in «venticinque colli» venne poi resa al GOI quando la commissione terminò i lavori.

 

Gelli radiato dal Grande Oriente

Alle 23.10 di sabato 31 ottobre 1981 venne data lettura del dispositivo della sentenza della Corte Centrale del Grande Oriente che comminava l'espulsione a Licio Gelli «per aver costituito e gestito, sotto la denominazione «Loggia Propaganda 2», un circolo privato, facendo in modo che esso venisse identificato con l'istituzione massonica Grande Oriente d'Italia o dipendente da essa, per fini in contrasto con quelli di detta istituzione e della tradizione muratoria» ed anche «per aver espresso opinioni contrarie ai principi massonici così da ledere l'immagine della Massoneria e determinare nocumento alle istituzioni e ai singoli fratelli». A Licio Gelli veniva in particolare fatto carico di «aver promosso campagne di reclutamento in favore del circolo privato» mediante «lettere circolari intestate Massoneria Italiana – Grande Oriente d'Italia – da lui firmate, inducendo volutamente in errore i profani e determinando discredito per l'istituzione». La sentenza venne depositata il 18 gennaio 1982. In precedenza, il 6giugno 1981, la Corte Centrale aveva sospeso da ogni attività massonica anche Lino Salvini.

Il Grande Oriente chiuse i conti con il gellismo con grande rapidità e decisione. Molti anni prima della chiusura degli accertamenti politici e giudiziari.

 

Responsabilità del Grande Oriente

Quindici anni d'inchieste d'ogni genere sulla massoneria non hanno apportato alcun conforto alle tesi «accusatorie» contro il GOI: sei relazioni della commissione, centosei volumi (circa venti miliardi di spesa) per approdare al nulla. Tranne, beninteso, la conferma della «responsabilità politica» del Grande Oriente e dei suoi vertici, per aver consentito formazioni anomale di autentica «massoneria deviata». Al riguardo le accuse di responsabilità dell'istituzione sono da condividersi in pieno da ogni buon massone. Fuori di dubbio, comunque, la responsabilità dei grandi maestri, se non complici, quanto meno corresponsabili. Ennio Battelli nel marzo 1980, alla richiesta di misure «contro la P2», ribatté che solo quest'ultima (cioè Licio Gelli) metteva in condizioni di evadere le richieste di solidarietà dei «fratelli». Del tutto inattesa, poi, la decisione della Gran Loggia del 21 marzo 1981 che, qualche giorno dopo la famosa perquisizione, addirittura ordinò che la Loggia Propaganda n. 2, riprendesse «i lavori» sospesi anni prima.

La perquisizione a Castiglion Fibocchi paradossalmente ha consentito di scoprire irregolarità massoniche – proselitismi ed immissione di nuovi «fratelli» – iniziati con cerimonie che avevano solo l'apparenza della regolarità. Venne infatti accertato che, a celebrare tali «cerimonie», era un ex gran maestro, Giordano Gamberini, e che, al neofita, veniva consegnata una tessera già firmata in bianco. La vicenda Gelli aveva messo l'istituzione in una situazione insostenibile. Vennero a galla tutti i rancori e i pregiudizi, anche quelli più insensati.

         Fascisti ed ex fascisti che avevano trovato copertura, legittimazione, ospitalità in ranghi clericali o d'ispirazione Stalin-leninistica alimentarono una violenta campagna giornalistica che riportò avversioni che accomunano fascisti, clericali, dogmatici, vetero-marxisti.

Poco o nulla fecero i responsabili dell'istituzione per mettersi a disposizione dell'opinione pubblica e di quella parte, pur consistente, della stampa d'informazione non pregiudizialmente ostile, però male o poco informata. Un tale atteggiamento venne motivato dal «tradizionale ricorso al riserbo» (o riservatezza) che, in verità, non ha mai trovato logica giustificazione. Più che mai si doveva fare chiarezza con il rispetto sia della verità (e dell'opinione pubblica) sia della quasi totalità dei massoni, incolpevolmente additati al disprezzo. L'errore però non era solo dei vertici. I tempi non erano maturi perché anche i massoni più avveduti si rendessero conto che bisognava aprirsi e cambiare metodi ed atteggiamenti verso il «mondo profano».

Oportet ut scandala eveniant. Lo scossone P2 è stato comunque salutare e foriero di benefiche conseguenze, avendo rivelato che non poteva non darsi peso ad un cambiamento significativo anche in settori pregiudizialmente non ostili dell'opinione pubblica.

Ma occorreva che passassero ancora anni prima che ci si rendesse conto – nonostante il timido inizio della tutela della privacy in Italia – che bisognava abbandonare la tradizionale «riservatezza» massonica (molto spesso definita «mistero») e far capire e dimostrare inequivocabilmente che la massoneria non è «segreta» e non presenta misteri. In ogni caso venne segnata irreversibilmente – quali che ne fossero le motivazioni e giustificazioni – la fine della massoneria coperta (che, come s'è visto, non era né poteva essere «vera» libera muratoria).

 

Una lucida analisi del fenomeno l'aveva fatta Lino Salvini nove anni prima dello scandalo. Parlando nella sua loggia il 20 dicembre 1972, «lamentato che la Loggia P2 risponde purtroppo ancora ad un'esigenza del nostro Paese», egli affermò con decisione che «è stato fatto un uso, e talora un abuso, di tale Loggia». Concluse con l'intenzione, peraltro rimasta tale, di eliminare una «particolare Loggia coperta» e quindi di sopprimere una «struttura» riservando comunque al Gran Maestro la duplice «tradizionale ed irrinunciabile prerogativa» dell'iniziazione a vista (che, d'altro canto, non riguardava solo adepti da «coprire») e di tenere fratelli «all'orecchio». Prerogative niente affatto irrinunciabili, posto che in seguito il gran maestro Corona mai, saggiamente, vi fece ricorso fino a che non le fece abolire del tutto nel 1985.