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Tutti vedono, oggi, la decadenza dell'Umanità, che sia essa costretta in una lotta per la sopravvivenza spesso tragica e feroce, o che essa, l'Umanità, si sia ormai appisolata in un eterno presente materialista in cui la unica regola è il pieno soddisfacimento di tutti gli istinti. L'animale della “Seconda Inattuale” di Nietzsche, l'animale appunto “legato al piolo dell'istante” oggi è l'uomo, non la pecora o l'asino.
In tutti e due i casi, peraltro, siamo di fronte alla animalizzazione dell'uomo, quella che J.B.S. Haldane definì nel suo Daedalus, or Science and the Future, pubblicato nel 1923.
In quel testo Haldane, socio della Eugenetic Society, sosteneva che la visione dell'uomo e quella del suo fine nel cosmo coincidevano con la sua sola natura biologica.
Gli anziani, per esempio, si devono “sbrigare a morire”, come ha affermato recentemente un ministro del Giappone, Paese nel quale da sempre i vecchi sono stimati e rispettati, e se, quindi, come accade oggi per tanto ingenuo “ateismo” da materialisti dilettanti, si nega l'anima e il fine soprannaturale della specie umana, allora essa dobbiamo trattarla come si gestiscono le masse degli altri animali.
Vengono in mente gli ingenui medici positivisti della fine dell'Ottocento, che giuravano di non aver mai visto l'anima nelle loro dissezioni. Ovvio, se l'avessero vista non sarebbe mai stata proprio l'anima dell’odiata “metafisica”.
Mai errore biblioteconomico ha influenzato l’umanità più di questo: metà tà physikà erano i libri di Aristotele posti, nella biblioteca alessandrina, dopo quelli della Fisica.
E da qui l’odio, tipico peraltro di chi non legge più l’utilissimo Aristotele, per un libro che parlava, tra l’altro, di temi modernissimi: la sostanza, ovvero l’Essere in quanto Essere e non nei suoi accidenti, la scienza delle cause dei fenomeni, e tante altre cose che oggi riguardano, paradossalmente, proprio la branca più “antimetafisica” della filosofia, ovvero la filosofia della scienza.
Mai come oggi le immense forze che Guénon avrebbe definito “controiniziazione” sono al potere nei mass-media, nelle università, tra i leaders dell'opinione pubblica.
L'odio per lo spirito ha vinto, quindi, ma cosa resta da fare per immaginare una nuova vocazione dell'Umanità, un fine metafisico e spirituale che trasformi questo paesaggio di rovine materiali e spirituali che ci circonda e, temo, sempre più ci avvolgerà in futuro?
La controiniziazione, lo ricordo qui, era per Renè Guénon è sia rivolta contro l'autorità legittima (e quante ce ne sono, oggi, nel mondo) sia una iniziazione deviata e snaturata dai suoi fini naturali.
L'uomo naturale che “ritorna” alla sue radici nel passaggio iniziatico si avvicina alla Rivelazione dell'Origine, che è il passaggio verso Dio e il Fine di Tutti, dell'Umanità; mentre l'iniziazione rovesciata, tecnicamente luciferina e satanica, è la Realtà avvolta negli istinti caotici individuali e della massa.
Una Rivelazione della carne e dell'eterno presente del piacere, non il ritorno al Giardino originario. Il mito del “trasgredire”, allora, come regola di ogni comportamento, mentre si trasforma la cultura in “evasione” e ogni esperienza in un “evento”.
Ecco, qui l'analisi metafisica si interseca con la analisi sociologica e storica: la protezione delle grandi scimmie richiesta da un parlamentare spagnolo, perché si tratta di rispettare i “nostri antenati”, errore peraltro che Darwin non ha mai compiuto, la mimesi continua tra le star televisive e le masse, l'ossessione del sesso, che diviene l'essenza della vita sociale, la bambinizzazione e la trasformazione di ogni idea in pura sensazione. E la sessualità che arriva a offendere sia il Corpo, scrigno dell'anima, sia la sancta simplicitas dell'infanzia, ormai eternamente violata. Saranno questi bambini che, protetti dagli angeli, ci chiederanno il conto dei nostri peccati contro di loro, alla fine dei Tempi.
Ecco, tutto ciò è la controiniziazione di massa e, diremmo, il satanismo di massa, il rifiuto di un Fine che sia oltre i mitizzati “sensi” e la negazione di qualsiasi spiritualità, vista come “repressiva” (del sesso, naturalmente) e come “inganno”, vecchio residuo di marxismo ingenuo nel mondo attuale.
Occorre dirlo fin da ora: l'Illuminismo tanto sbandierato dalle attuali élites cultural-politiche non è mai esistito.
Voltaire era un Teista e un “unitariano”, come il suo maestro Newton, e oggi non stiamo uscendo dal periodo delle guerre di religione europee, che termina con la Pace di Westfalia, 1648, ma stiamo entrando in una nuova guerra mondiale di aree geopolitiche contrapposte, nella quale, per la prima volta, i cristiani e gli occidentali sono in minoranza e ben più deboli dei loro nemici.
L'Illuminismo fu, peraltro, strumento delle classi dirigenti controrivoluzionarie, da Federico II di Svevia al “giuseppismo” austriaco fino al Granduca Leopoldo di Toscana, tutti massoni, tutti illuministi, tutti convinti che la grande trasformazione europea avrebbe mantenuto il Trono e, perfino, l'Altare, pur con le debite trasformazioni per entrambi.
Non fu così, per molti motivi. Ma il De Sade che, secondo una vecchia tradizione, rinchiuso nella Bastiglia, eccita le folle rivoluzionarie con la descrizione delle turpitudini, naturalmente a sfondo sessuale, che ivi si operano, è più che un esempio, è una epitome.
"Francesi Ancora uno Sforzo", è il titolo del pamphlet di De Sade che incita i suoi connazionali a distruggere la Chiesa come è stata distrutta la Monarchia.
Non fu nemmeno scientista, l'illuminismo, perché, come poi accadrà al positivismo, si mescolarono nel suo modello culturale tante tradizioni paraspirituali, dal mesmerismo alla Qabalah di Junius Frey, nipote del sapiente ebreo Jacob Frank, ghigliottinato nel 1794 come “controrivoluzionario”, alle tradizioni “egizie” della Massoneria di Cagliostro, dileggiato dal massone Goethe in una sua commedia, fino al positivismo di Comte che mitizza la sua inviolata amante, Clotilde de Vaux, e la pone come “tramite” con la Divinità.
E tutto questo sarebbe “scientifico”, mentre il Grande Oriente di Francia, già nel 1877, toglie dai suoi rituali ogni riferimento al Grande Architetto dell'Universo?
Ecco, diciamolo in sintesi: la Tradizione invalsa nell'Occidente è fondata su molti errori metafisici, che derivano dalla “controiniziazione”: che la scienza sia contro la spiritualità, che il Progresso vada dall'empirismo materialista verso il totale rifiuto della Metafisica, che le domande sulla naturale spiritualità naturale dell'uomo siano “mal poste”, come dicevano i neopositivisti viennesi.
E allora, per usare la logica degli stessi membri del “Circolo di Vienna” intitolato a Ernst Mach (che non era materialista) perché tutti se le pongono e continuano a porsele? Sono tutti malati di “metafisica”, o sono loro malati di scientismo ingenuo?
É vero quindi il contrario: che la Scienza ha avuto origine dalla Metafisica, e sempre vi ritorna, che lo Spirito esiste prima della Materia e spesso la determina, che la Vocazione dell'Umanità è verso uno Spirito Unitario che è Eterno, perché la nostra mente è costruita sulle sole categorie dello Spazio e del Tempo, che non esistono nel Cosmo.
Andiamo verso un Fine che è scritto nell'Origine ma che muta a seconda delle nostre azioni. Che si rifrangono sulla nostra Natura invisibile.
In Occidente, peraltro, l’Umanesimo è stato artatamente privato della Trascendenza e il Rinascimento è stato resecato dalle sue tradizioni esoteriche, metafisiche, sapienziali.
Nell’Islam il filone wahabita ha generato, dal settecento ad oggi e fino alla violenza efferata del jihad attuale, un letteralismo e un formalismo della parola coranica che, anche qui, reseca il Rotolo sacro dell’islamismo dalla sua radice esoterica, sufi, sapienziale; quella radice che, dall’Averroè amato e studiato da Dante fino all’islamismo dei riformatori turchi, ha da sempre comunicato con i “centri spirituali” dell’Occidente.
In Cina, dopo il poco credibile “materialismo” importato dal marxismo occidentale, Mao Zedong ha riscoperto il Tao, e oggi Xi Jinping e Li Keqiang riprendono, con il loro concetto di “società armoniosa”, l’asse dell’insegnamento confuciano che, peraltro, è la parte essoterica dell’esoterismo taoista.
Nella Russia postcomunista, la tradizione imperiale e identitaria, slava e ortodossa, hanno ripreso il sopravvento rispetto al marxismo “scientifico”, che pure nell’URSS più che altrove aveva tentato di rimodellare la vita e l’identità del popolo.
Nell’India che, in questi giorni, vede crescere il suo PIL più di quello cinese, l’affermazione della sua potenza regionale va di pari passo con il ritorno degli infiniti dèi della tradizione induista, un paradosso esoterico rispetto al duro monoteismo che, da Zoroastro fino ad oggi, ha caratterizzato il mondo semita e poi europeo occidentale.
Se per l’Oriente ogni passo o ogni oggetto albergano un piccolo dio, o per essere esatti ospitano quello che Rudolf Otto chiamava il “numinoso”, l’Occidente che deriva dal primo dualismo iranico e poi dal rigoroso monoteismo che passa dall’Egitto negli Ebrei che fuggono verso Canaan è l’idea della Tradizione vivente (il Dio Unico che osserva, controlla, fornisce la Legge e perdona) e il Principio unico nel quale si rispecchia l’unicità irripetibile dei soggetti umani.
In Oriente non vi è la percezione dell’unicità dell’Io come invece avviene nel nostro Mondo, il Dio Unico si rispecchia, salvandolo e proteggendolo, nel singolo soggetto vivente e visibile.
Sembra paradossale, ma la tradizione del Dio Unico si è riversata, modellandola, nel laicismo moderno, che si caratterizza con l’uguaglianza degli uomini e la loro libertà.
Oggi, ovunque, salvo che nei Paesi decadenti dell’Europa Occidentale, si opera per ritrovare le identità, le radici della tradizione più antica, le fonti del nesso tra l’Io e il Noi che si era perso con la imposizione di ideologie artificiali e “scientiste”.
Le ideologie del Moderno, peraltro, hanno sempre affermato il loro fondamento “scientifico”, ma la Scienza, lo abbiamo visto, si fonda su una specifica Metafisica, che è un ramo della Tradizione Originaria di tutta l’umanità.
Se non si capisce questo e non lo si conosce, allora non si possono utilizzare bene nemmeno le parti “scientifiche” di quelle ideologie, che devono essere maneggiate conoscendo le loro origini esoteriche, sapienziali, religiose e, in una parola, “metafisiche”.
Questo vale per il marxismo, per il positivismo che costruisce le proprie élites in Brasile e in Francia durante l’esperienza politica di Napoleone III, per il mito tecnocratico occidentale postbellico, che si fonda sulla crescita continua dell’economia, ormai impossibile, per i miti della modernizzazione forzata in India, Cina, e in gran parte dell’Africa postcoloniale, per il welfare state “dalla culla alla tomba” delle socialdemocrazie nordiche.
In nessun caso è possibile creare progetti politici senza conoscere i loro inevitabili aspetti sapienziali, e senza peraltro non conoscere che tutte le metafisiche comunicano tra di loro e sono, tra di loro, come declinazioni diverse di uno stesso paradigma verbale.
Occorre quindi oggi ritrovare la vocazione di tutta l'umanità, di tutte le razze, di tutte le epoche storiche e di tutte le culture.
Oggi viviamo nel mito delle differenze. Si tende, cioè, ad esaltare le asimmetrie tra le civilizzazioni, o in termini positivistici, mettendole tutte in una graduatoria lineare dalla “migliore” alla “peggiore”, o dichiarando, con qualche ingenuità in più, che sono tutte uguali in quanto irriducibili l’una nell’altra.
Non è vero: la Sapienza è Una, si pone metafisicamente all’inizio del Tempo, ogni civilizzazione ne ha visto, per dirla con una metafora di Pico della Mirandola, solo alcuni raggi.
Ecco quindi il pericolo di quello che oggi si ama definire il “relativismo”: se ogni Tradizione è incomunicabile ed eguale ipso facto con le altre, allora non è possibile il dialogo e la soluzione, politicamente, può essere solo l’isolamento o la guerra.
É come se il mondo contemporaneo si ritrovasse nella condizione iniziale della comunità hobbesiana, il bellum omnium contra omnes che si risolve solo con l’arrivo di un Sovrano che si arroga i poteri prima delegati ai singoli soggetti.
Se quindi ogni epoca è ugualmente vicina a Dio, allora la Vocazione dell’Umanità è eterna e può solo nascondersi, non sparire.
É da questo punto interessante ristudiare le vecchie storie dei Gesuiti in Cina o tra i pellerosse nordamericani.
I Padri della Compagnia di Gesù, tra gli Irochesi, scoprono antiche storie riguardanti un Uomo, Figlio di dio, che viene sacrificato in nome della Salvezza di tutti gli altri, e che ha una Madre potente nei Cieli.
Il Padre Jeròme Lallemant scopre gli Uroni, quella stessa tribù canadese che Voltaire celebrerà nei suoi libelli più salaci contro le vecchie convenzioni politiche e sociali della Francia del suo tempo.
La Compagnia, in Cina, compie una sintesi tra le Tradizioni locali e quelle cattoliche, e arriveremo ad una “Disputa dei Riti” che sarà risolta con l’obbligo, da parte dei Padri della Compagnia, di accettare e tradurre la Sapienza di Roma nella lingua e nei modi di quella lontanissima civiltà.
Montesqieu cerca di parlare tramite il mito di certi “persiani” molto idealizzati, e le sue "Lettres Persanes" analizzano i costumi politici e sociali dell’Europa di allora (1721) tramite la distanza procurata dall’artificio letterario del “parlare da lontano” di quello che abbiamo molto vicino.
In sostanza, la nostra civiltà, e anche quella dei popoli con i quali abbiamo avuto lunghi scambi e contatti, sono ibridate al loro interno, da molti anni, con elementi provenienti da una o un’altra Tradizione, ed è quasi impossibile separare i segmenti lontani da quelli vicini, i frammenti originari da quelli inseritisi successivamente dall’esterno.
Non vi sarebbe Massoneria laica se non vi fosse stato il Monoteismo semitico, e non vi sarebbe stato il Dio Unico della Tradizione Ebraica se, prima, non ci fosse stata quella “riforma” del politeismo che nasce in Persia, e, ancora, non ci sarebbe stata la caratterizzazione del rapporto tra Divinità e Uomo senza quella specifica “vicinanza” che nasce nella lunga tradizione del politeismo indù.
Ecco perché parliamo e studiamo tutte le epoche e tutte le tradizioni, perché in ognuna, anche senza saperlo, troviamo qualcosa che ci è familiare.
E questo riguarda non solo le religioni e metafisiche, ma anche le attività più comuni tra gli uomini, che si sono sviluppate, in civiltà diverse e in epoche differenti, con tratti spesso straordinariamente simili.
É quindi possibile, lo ripeto, parlare di una “vocazione dell’Umanità”, di un tendere naturale, spontaneo, immediato a trovare ciò che unisce e che, aggiungo, ha sempre unito tutti gli uomini e ogni Tradizione.
Come è costruita questa Vocazione di tutti gli uomini, e come è possibile rinnovarla, in una fase in cui prevalgono gli egoismi locali e identitari, e la nuova geopolitica post-guerra fredda impone a tutti noi un nuovo bellum omnium contra omnes?
É difficile dirlo, non è certo facile scrutare tra le “ombre del domani”, ma possiamo tentare un approccio sintetico e prettamente filosofico, senza immischiarsi più di tanto nel disequilibrio geopolitico, economico, finanziario che caratterizza il mondo globalizzato di oggi.
Intanto, tutte le Tradizioni si stanno ibridizzando, lo abbiamo visto, ma tutte stanno attraversando un periodo in cui vige il mito dell’unicità e della irripetibilità dei propri principi, come se ogni Tradizione volesse per sé il monopolio del Sacro.
L’Islamismo sta passando una fase in cui il jihad, la rivolta universale e militare contro gli “infedeli” domina il campo, l’immaginario, spesso le speranze di molti musulmani, anche di quelli che mai farebbero il jihad contro gli “altri”.
Si tratta qui di una tradizione monca e distorta, a parte il giudizio morale sugli assassini del “califfato” sirio-iraqeno di Al Baghdadi o le feroci esecuzioni di “infedeli” durante le operazioni occidentali in Afghanistan.
Cristo è parte dell’Islam, Muhammad viene riconosciuto come “profeta” o, meglio, come “Inviato” da un monaco nestoriano, Bohahira o Sergio (nome tipico tra gli ortodossi slavi) e i “Fratelli della Purezza” medievali, di cultura islamica, parleranno di una Teofania di Cristo sulla Croce come sacrificio d’amore “valido per tutti i sapienti”.
Fratelli d’Amore quelli d’Oriente che sono una parte della tradizione Templare, e che Dante Alighieri porrà al centro della propria visione teologico-politica.
Gli sciiti parlano di Gesù Cristo come Alleato dell’Ultimo Imam alla Fine dei Tempi, la Qiyama, e tante confraternite sufi, nel Maghreb, usano offrire doni a Lalla Mariam, “Mamma Maria”.
Dove sono gli “infedeli”? Oppure si tratta solo di ignoranti?
Il problema è che, se si elimina lo Spirito dalla Lettera, come è caratteristico costume nel nostro mondo contemporaneo, dove il Simbolo, il Concetto, la rete semantica che ognuno deduce da ogni segno, sono di fatto proibiti o ignoti, allora si crede che non vi sia una Vocazione dell’Umanità, ma solo sétte l’una contro l’altra armate, per affermare la propria e quindi unica Verità.
Non è così, naturalmente, e questo accade non solo nell’Islam contemporaneo, ma anche nelle altre Tradizioni.
Il Cattolicesimo, per esempio, ha paura di perdere il Mondo Occidentale, che ha in gran parte costruito.
La Chiesa di Roma eredita il concetto di Imperium della tarda classicità, lo rielabora a partire dalla lunga sequela dei primi Testi cristiani, da Clemente di Alessandria a Basilio di Cesarea, fino al monachesimo, formula rivoluzionaria per l’epoca, quel monachesimo che con San Benedetto crea la Germania cristianizzandola, mentre il Re dei Franchi Clodoveo, il Natale del 496, si converte al Cristianesimo insieme a tutti i suoi Franchi.
L’Imperium si ricostruisce nello Spirito, mentre i Visigoti con al conversione di Reccaredo si avvicinano al Cristo Vivente e eterno, abbandonando i loro temporanei e innumerevoli dèi.
La Chiesa di Roma accetta quelle conversioni e si trasforma, passando da erede della Fine di Roma a creatrice del Nuovo Mondo romano-barbarico, e poi arriveremo alle Crociate, iniziate nel 1095 con Papa Urbano II e con la nuova teologia di Bernardo di Clairvaux, nella quale è permessa, in determinate condizioni, l’uccisione dell’inimicum Fidei.
Dalla Teologia dell’Amore si passa, senza soluzione di continuità, alla teologia dell’identità cristiana e infatti, non a caso, oggi i jihadisti parlano di uccidere “Ebrei e crociati”.
Il problema è che il contatto tra i due mondi, a parte l’inevitabile scontro bellico, produce meccanismi di ibridazione ideologica e culturale.
I Templari, e poi i Cavalieri di Malta, portano nell’Occidente cristiano sensibilità mistiche della tradizione sufi, una congerie di nuovi simboli unitari delle tre fedi monoteistiche, e viene qui in mente la favola medievale dei “Tre Anelli” riportata e rielaborata dal massone Lessing in Nathan il Saggio.
Il Cristianesimo Ortodosso si definisce con il “grande scisma” del 1054, poco prima della Prima Crociata, dunque, e opera con una interessante teologia delle “energie increate” che riporta dentro il monoteismo cristiano elementi di pluralismo metafisico, che è la traduzione mistica del politeismo orientale.
Sarebbe interessante osservare come queste tradizioni abbiano un diverso rilievo politico, con l’Ortodossia sia slava che greca che, in un assetto metafisico diverso da quello della Chiesa di Roma, riprendono la teologia delle energie e delle “essenze” increate e, quindi, riprendono l’universo spirituale e psichico del politeismo pre-cristiano di Roma e del suo Imperium.
Politica e Religione sono, sempre a causa della nostra visione unitaria e spirituale, due aspetti della stessa Weltanschauung, due facce della stessa medaglia.
Ma torniamo alla Chiesa di Roma, e a come essa ricostruisce la continuità delle diverse Tradizioni, unendole in un legame che mostra, ma non dice, l’unità naturale della Tradizione, la vocazione unitaria dell’Umanità.
La Chiesa alla quale ci onoriamo di appartenere non ha mai accettato, fondamentalmente, il mondo moderno, quello che nasce con la Rivoluzione Francese e, prima, con quella delle tredici colonie americane della costa Est degli attuali USA.
In un certo senso, l’accettazione delle rivoluzioni moderne implica la teoria del diritto naturale, che esclude Dio e la Sua Grazia dalla natura umana, e ritiene l’Uomo sia autosufficiente nel suo sviluppo e nella determinazione delle leggi riguardanti la civitas hominis, ormai resecata dalla agostiniana civitas Dei.
Bene: ma le Rivoluzioni del 1776 in America e quella del 1789 a Parigi sono figlie anche della civium libertas dei comuni medievali, che si mantiene agli albori del mondo moderno, della libertà di resistenza alla Legge ritenuta ingiusta, altro pilastro della Dottrina politica della Chiesa che pervade il mondo europeo fin oltre le rivoluzioni, e infine della presenza di Dio nella volontà popolare, altra categoria della teologia politica medievale che dura a lungo nel mondo europeo.
La sovrapposizione che Rousseau compie tra volontà generale e volontà di tutti, è il meccanismo concettuale che permette la sovrapposizione tra la volontà delle assemblee e quella della massa popolare, anche se essa vota contro o non è stata consultata.
Aveva quindi ragione De Tocqueville quando, nel suo straordinario testo su L’Antico Regime e la Rivoluzione, fa notare come il grande progetto di Luigi XVI, quello di accentrare il potere al Centro, distruggendo le autonomie medievali dei poteri locali, arriva al suo compimento solo quando la rivoluzione laicista e, secondo la semplicistica vulgata degli storici “moderni”, libertaria, uccide il “cittadino Capeto” e i suoi diretti familiari.
Le rivoluzioni si fanno solo con il sangue, e solo con la razionalità dispiegata arrivano le mattanze: cinque milioni sono le vittime della Rivoluzione, compresi i morti delle guerre napoleoniche, e circa tre milioni quelle dello stalinismo, con una cifra equivalente riguardante il Grande Balzo in Avanti di Mao, all’inizio degli anni ’50.
La Shoah, peraltro, potrebbe avere un numero ancora maggiore, sembrerebbe impossibile, di vittime: nei circa 42 strutture create dal Terzo Reich e dai governi collegati, alcuni storici calcolano che le vittime sarebbero state addirittura 15-20 milioni di israeliti.
Non sappiamo quanto questi dati possano essere reali, ma il dato filosofico è sostanzialmente questo: quando si vuol creare l’”uomo nuovo” del tutto diverso da quello antico, si elimina spesso fisicamente l’uomo concreto e quindi “vecchio” o tradizionalista.
Le ideologie antitradizionali rifiutano, ingenuamente, una parte della tradizione culturale dei popoli, vogliono abbandonare il passato che appare come un solo grande errore, separano i loro popoli dalle fonti della Tradizione unitaria dell’Umanità e dalla sua vocazione, e quindi chi non si adatta è un “nemico del popolo”, il delitto più grave.
Tra parentesi, viene da ricordare qui che il “nemico del popolo” è un dramma di Ibsen in cui un medico, fratello del sindaco locale, scopre che le acque delle terme dalle quali tutta la cittadina trae il proprio reddito sono inquinate, e quindi sarà il medico che dice la verità ad essere, appunto, “il nemico del popolo”.
Quindi, la Chiesa non ha avuto del tutto torto a scontrarsi contro queste ideologie che ritenevano il “diritto naturale” un qualcosa di assolutamente differente dal diritto consuetudinario, e volevano rifare l’uomo fin dalla sua anima, peraltro con un evidentissimo odio contro la Religione, e qui vengono in mente le “fucilazioni” delle statue di Gesù Cristo durante la Repubblica Spagnola.
Ma c’è da dire che, e siamo sempre nell’ordine della unitarietà della Vocazione dell’Umanità, la Chiesa ha generato tutte o parti di queste ideologie, che sono diventate luciferine in condizioni diverse da quelle che le avevano generate.
Il Concilio Vaticano II, pur in condizioni di limitata agibilità politica, dato che molti Padri Conciliari dovevano poi tornare e magari continuare a sopravvivere nell’Est Europeo, ha ricostruito la continuità della Tradizione religiosa cattolica e l’ha riconciliata con quei “pezzi” della sua tradizione che erano migrati verso il mondo laicista.
Diverso è il caso dell’Islam, e qui non mi riferisco alla questione del jihad, della quale abbiamo già parlato.
Sul piano geopolitico, la vera lotta è oggi per il potere nella grande umma musulmana, dopo che le grandi potenze della guerra fredda se ne sono andate dall’area e che, quindi, il potere su di essa torna contendibile.
C’è anche il conflitto tra shi’a e Islam sunnita, che è anch’esso uno scontro, ormai più che millenario, tra chi ha il diritto, sacro e politico insieme, di egemonizzare l’intera umma.
Anche qui c’è un problema di “scienza tradizionale” e di analisi della Vocazione dell’Umanità: per la grande a maggioritaria area sunnita, si chiude la Porta dello Sforzo, e la conseguente chiusura delle porte dell’Igtihad, ovvero la possibilità dell’interpretazione personale o comunque autonoma del testo sacro, che risale al X secolo della nostra Era.
Il fenomeno vale, sia pure con modalità diverse, per entrambe le grandi tradizioni islamiche, ma il problema, sul piano della Vocazione dell’Umanità, è questo: se non si possono interpretare più liberamente i testi, vuol dire che quello che nel Cristianesimo si chiama lo Spirito Santo non opera più sui sapienti, e si tratta di irrigidire la fede islamica in precetti, riti, formule, atti rituali, gerarchie politiche e religiose.
Oppure si pensa, come è accaduto nell’esoterismo satanista del Terzo Reich, che l’Origine da riportare alla Luce dello Spirito sia semplicemente una identità biologico-razziale, senza altra definizione se non il “sangue” della propria famiglia e della propria caratterizzazione razziale e biologica.
É inevitabile, nella storia dello Spirito Umano, che, dopo un fiorire di freschezza spirituale e intellettuale si arrivi a un periodo di stabilizzazione e legalizzazione.
Ma, in questo caso, non si ha, come nelle varie tradizioni cristiane, uno specifico carisma che mette in comunicazione gli uomini con Dio attraverso i sacramenti, amministrati da sacerdoti appositamente consacrati a questa missione.
E quindi la legge spirituale diviene ipso facto legge politica, e si collega ai poteri transeunti della polis, con il pericolo di decadere insieme ai capi del potere visibile.
L’Islam antico è anche la lotta tra il potere politico e le numerose sètte che si distaccano dal corpo centrale della rivelazione coranica, la terribile fitna che alimenta, ieri come oggi, odi, vendette infinite, guerre.
Sciiti, ismailiti, karigiti, le tante scuole di diritto sunnita fino alle molte sétte che si originano dalla shi’a e che sono state dichiarate estranee all’Islam, come i baha’i.
La storia dell’Islam, in entrambe le due grandi divisioni, è una storia di finta, di separazione, di eresia.
Ecco: ridurre i tanti raggi della Vocazione dell’Umanità alla sola legge scritta e positiva, in Oriente come in Occidente, provoca la dispersione, il frazionamento, la perdita del centro spirituale interno alle varie tradizioni e, quindi, la perdita della Tradizione Originaria, quell’Inizio che è anche Fine, la verità dietro le tante luci dei molti raggi.
Si può immaginare, poi, come il mondo moderno ha reagito nella massa dell’Islam, con la creazione delle tante società segrete come i Fratelli Musulmani, “Patria e Libertà” di Ataturk, le reti della Senussia in Libia e in Marocco, lo stesso Baath sirio-iracheno, e le tante confraternite sufi del Maghreb e dell’Egitto, collegate da sempre con la Massoneria europea. O la stessa società segreta Ergenekon dei militari turchi, ormai quasi annichilita dalle attività del governo AKP di Erdogan.
Tutti fili e tradizioni che avevano, a parte i Fratelli Musulmani e il Baath, una sapienza viva e vivace, che si collegava senza alcuna difficoltà con il mondo cristiano e occidentale, sia con quello delle Chiese che con le Logge Massoniche.
Se si ritiene il mondo non-ancora-finito, e che non sarà completato se non alla Fine dei Tempi, e se si pensa che l’Uomo debba partecipare, con il riconoscere in sè la Vocazione Universale, quella umana, allora la Creazione spirituale continua, in una feconda collaborazione tra l’Uomo e Dio.
Ma se, al contrario, si pensa che tutto è già compiuto e che le Leggi della Natura, che l’Illuminismo ha confuso con quelle di Dio e le ha rese, appunto, metafisiche, sono ripetitive e stabili fino alla Fine dei Tempi, si compie un peccato contro lo spirito che è, per certi rispetti, ancora più grave di quelli contro la carne.
É questo il discrimine tra chi ripete la Tradizione Universale e salva, letteralmente, il Mondo, riportandolo alla sua Origine, e chi invece arriva a pensare, mitizzando le leggi scientifiche, ossia rendendole metafisica, che l’uomo sia solo un animale, come abbiamo detto di J.B.S. Haldane all’inizio di questo testo.
Una parola a parte merita la Cina.
Se oggi il Confucianesimo, come etica pubblica, è ritornato in auge, insieme al progetto di “società armonica” di Xi Jinping, è perché la rivoluzione comunista cinese, fin dall’inizio, non ha eliminato le ideologie di massa del mondo contadino, ma le ha adattate alla sua politica e alla sua specifica ideologia.
Che era ed è diversa da quella sovietica: l’URSS nasceva in un universo che ripeteva il mito della Rivoluzione Francese: i grandi capi del PCUS si chiamavano tra di loro, con i nomi dei grandi rivoluzionari dell’ottantanove.
Era una ideologia della “rettifica dell’uomo”, del “progresso” portato a velocità innaturale tra le masse, che dovevano solo abandonare le loro vecchie idee e abbracciare acriticamente quelle propinate loro dal Partito, che, come diceva Brecht, “ha mille occhi”.
In Cina è, fin da subito, un processo politico e ideologico diverso: il PCC, certo, nato a Shangai da intellettuali europeizzanti, vuole soprattutto far cessare il Cina il “secolo dell’umiliazione” e, invece di importare sistemi produttivi che imitano l’Occidente per “superarlo”, come accade con il modello sovietico, puntano subito sull’agricoltura e sui contadini, per creare un modello di sviluppo cinese autonomo sia da quello dei “revisionisti” sovietici che da quello dei “barbari” occidentali.
L’industrializzazione verrà solo in seguito, malgrado il flop terribile del Grande Balzo in Avanti di Mao.
E sarà una industria delle Zone Speciali, da Shenzen in poi, che non intacca la grande, immensa massa di contadini cinesi, che sono ancora al centro delle cure del Partito e del Governo.
Quindi, la Cina come sintesi, nella cultura politica (e esoterica) orientale tra tèkne occidentale e sapienza multimillenaria della Cina, dove tutto ritorna e niente si crea davvero ex nihilo.
Il caso di Israele e del mondo ebraico della Diaspora, se lo interpretiamo alla luce della Vocazione dell’Umanità, è anch’esso un fenomeno di grande interesse.
Il mondo ebraico è stato sempre l’oggetto dell’odio di cattolici e, soprattutto, dei protestanti: molte delle invettive di Martin Lutero sembrano uscite dai volumi della propaganda nazista.
Il mondo ebraico è il non-ancora, l’attesa del Compimento, nella Storia e fuori dalla Storia, della Venuta e della perfezione dell’uomo in Dio.
Chi è obbligato a un formulario specifico, pieno di obblighi che valgono solo perché si compiono, e non attende la Vita Eterna dallo Spirito, ma dalle leggi degli uomini o della Storia, non può non meravigliarsi della presenza degli Ebrei e quindi del loro non-essere ancora che richiama la pienezza dell’Essere che verrà.
La creazione dello Stato di Israele ha molto mutato la vocazione dell’Ebraismo in rapporto a quella più generale dell’umanità.
Lo Stato è diventato due cose: il bastione che protegge tutta la Diaspora, e la realizzazione non più simbolica dell’arrivo delle tribù di Israele nella Terra di Canaan.
Una visione biblica che si realizza tramite un atto politico, e che quindi si collega a tutta la tradizione spirituale occidentale, che dalla Bibbia promana, e perfino a quella islamica, legata al dato legalistico della “proprietà della terra” quando vi siano stati musulmani che l’hanno conquistata.
É il motivo per cui, con qualche incredulità da parte nostra, Bin Laden e oggi al Baghdadi reclamano Al Andalus, l’Andalusia.
Lo Stato di Israele non è la realizzazione della visione cabalistica del Carro di Dio, Merkhava, ma è il presupposto attraverso il quale Dio può ancora parlare a tutti gli Ebrei, ovunque e soprattutto in Erez Israel.
Non è affatto un caso che molti dei Padri Fondatori avessero, nella loro storia personale studi cabalistici, esperienze di misticismo eterodosso ebraico come quello del Baal Shem Tov di Lublino e che unissero questo mondo spirituale al socialismo, al nazionalismo laico, a quella tradizione mazziniana che è al fondo sia dell’integrazione degli Ebrei nel Risorgimento italiano e anche dello stesso sionismo, che deve a Giuseppe Mazzini moltissime idee e strumenti di azione.
Identità spirituale cabalistica, capacità di leggere i tratti spirituali di quello che i profani ritengono solo movimenti politici “laici”, azione “coperta” e poi palese in Palestina, la Terra dei Padri e quella che Dio ci ha indicato.
Se si perde questo nesso tra esoterismo cabalistico, socialismo, repubblicanesimo mazziniano, identità nazionale, senso della missione universale del popolo ebraico, non si capisce Israele e non si comprende perché ha vinto terribili battaglie.
Oggi, però, tra modernizzazione laicista luciferina, biologismo delle tecnoscienze della riproduzione e del comportamento, ossessione identitaria e il progressivo distruggersi di tutte le vecchie tipologie di comunità che conoscevamo, il popolo, la nazione, la civilizzazione, la stessa cultura, che oggi comincia a non avere più significato per le giovani generazioni, tutta la grande catena dell’Essere che è la Vocazione dell’Umanità sembra essere sparita.
Dovremo riprendere questi fili, che sono nascosti, ma ci sono ancora.

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