"Il Canto dei Maestri"

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Crediti: "Rivista Massonica" vol  LXIX XIII maggio 1978 - Società Editrice Erasmo. 

La storia, anche la storia massonica, a dispetto di tutti gli storicismi va concepita come avvenimento e non come organismo. Ci dobbiamo cioè staccare dalla tramontata concezione del Fr:. Herder, da cui derivò la nozione di evoluzione storica.
Oggi Veyne ha dimostrato che il solo progresso possibile della storia consiste nell'ampliamento della sua visione e in un affinamento della sua capacità di percepire l'originalità degli avvenimenti. I fatti della storia non hanno, così, l'obbligo di rientrare in uno schema concettuale.

di Giordano Gamberini

 


 

La storia, anche la storia massonica, a dispetto di tutti gli storicismi va concepita come avvenimento e non come organismo. Ci dobbiamo cioè staccare dalla tramontata concezione del Fr:. Herder, da cui derivò la nozione di evoluzione storica.
Oggi Veyne ha dimostrato che il solo progresso possibile della storia consiste nell'ampliamento della sua visione e in un affinamento della sua capacità di percepire l'originalità degli avvenimenti. I fatti della storia non hanno, così, l'obbligo di rientrare in uno schema concettuale.
Essi devono essere soltanto, come disse John Huizinga, «serie di avvenimenti che sono accaduti in un dato momento».
Se facciamo della sociologia, se facciamo della psicologia, la materia potremo coerentemente trattarla come se il risultato fosse già dato nei fattori conoscibili.
Ma quando pretendiamo di scrivere da storici dobbiamo scansare ogni determinismo.

Anche quello della forma di civiltà che amiamo - in partenza - configurarci come ideale di una realizzazione massonica.
È un modellino che dobbiamo lasciare alla competenza del Grande Architetto.
Disponendoci a verificare la nostra storia, siamo obbligati a ripercorrere a ritroso il noto concetto che un'ora di sintesi investe dieci anni di analisi.
Ci compete, oggi e non domani, l'obbligo di verificare - con una analisi sollecita - la concrezione risultata da più di cento anni di sintesi.
In confidenza, io mi trovo volta a volta confortato o dispiaciuto dagli esiti di questa riprova.
Quello che è certo è che se gli eventi talvolta risultano persino soddisfacenti, il modo di scriverli quasi mai.
È insopprimibile, certo, l'impulso di dare una forma al passato. L'insidia comincia allorché le giustificazioni contingenti vengono elevate al rango di valori di carattere universale.
Non pretendo che la nostra storiografia si differenzi da tutte le altre, rinunciando alla conformazione a uno scopo.
È soltanto nella scelta di questo scopo che bisogna intenderci.
Non deve essere lecito finalizzare la nostra storiografia né allo scopo di farci più grandi di quanto fummo e siamo, né di dimostrare che avemmo sempre ragione.
Più ancora dobbiamo guardarci dall'insidia di accettare come massonico un dogma, qualsiasi. Per esempio quello veneratissimo del progresso.
È un'idea come un'altra, sostenuta dal Fr. Lessing, controbattuta dal Fr. Mendelssohn, più seducente di molte altre, che ha sempre sedotto parecchi.
È un'idea ricorrente, tutt'altro che progressiva dal momento che portava Seneca - in Medea - a concludere che già allora il mondo era diventato «tutto accessibile».
Con maggior fondamento, nelle Naturales quaestiones Seneca scriveva ancora: «Molto che noi ignoriamo sarà conosciuto dalla gente dell'evo futuro; molto è riservato a generazioni ancora più lontane da noi nel tempo, quando di noi anche la memoria sarà cancellata».
Ed anche a un soffio dalla morte, nelle Epistulae morales, si azzardava a profetare: «Un giorno ti si riveleranno i misteri della natura, si disperderà codesta tenebra e una chiara luce da ogni parte ti investirà».
Così, alcune generazioni di Massoni hanno candidamente incollato il dogma del progresso sul portale del Tempio Massonico, avendo avuto cura di sfuggire ogni verifica sulla sua compatibilità con l'idea di una Parola perduta da ritrovare.
Insomma, dobbiamo rappresentare il nostro passato, non giustificarlo rispetto a nostri presupposti teoretici che nessuno ha mai azzardato - per fortuna - di tradurre in sistema filosofico dal piano dell'ineffabile e dell'iniziatico.
Nella storia di una civiltà, è abbastanza rilevante il pericolo dell'antropomorfismo, ossia di interpretarne psicologicamente i caratteri attraverso i personaggi.


Nella storia della Massoneria Italiana, questa tentazione incombe più schiacciante che mai e da essa abbiamo specialmente ragione di difenderci. L'unica espressione intelligibile di qualsivoglia civiltà è, in fondo, il suo mondo storico. Ma la Massoneria è intelligibile - attraverso la iniziazione - indipendentemente e malgrado il suo mondo storico, che resta e deve restare semplicemente il grafico dei suoi tentativi di dilatamento della civiltà, nel caso in esame, italiana.
L'eticità della storia di una Massoneria nazionale è data dalla coincidenza e dalla divergenza dei fatti dall'ideale iniziatico o, più modestamente, da quanto si è fatto per rendere più accessibile agli uomini il metodo muratorio.
In questo senso, ogni particolare storia massonica è sempre storia universale.
È vano pretendere che il mondo ci consideri secondo quelli che riteniamo essere i nostri principi o secondo quelli che sono i nostri convincimenti e non piuttosto secondo i nostri comportamenti.
La storia, dunque, ci piaccia o no, la stiamo facendo, la stiamo depositando fin dalla prima nostra comparsa in quanto istituzione e - incidentalmente - sarebbe decoroso che la nostra storia risultasse il meno in contrasto che si può coi nostri conclamati ideali.
Oltre ché farla, accade che la storia la si debba anche scrivere. E la storia della Massoneria Italiana è un bel pezzo che, in qualche modo, si tenta di scriverla.
Chi mi ha udito o letto altre volte non si sorprenderà certo di apprendere che non mi sono mai dichiarato entusiasta di buona parte dei comportamenti di coloro che ci hanno preceduto ed accompagnato. Ossia, vorrei tanto che la sua storia la Massoneria Italiana l'avesse fatta differente da quello che è risultata.
Ambirei che la storia nostra del secolo scorso fosse nitida quanto quella del secolo decimoottavo.
Mi piacerebbe di poter scrivere che la Massoneria non l'hanno importata i burocrati e i cortigiani di Napoleone, mi sarebbe caro che la Massoneria apparisse più chiaramente distinguibile dalla Carboneria, dal momento che solo in parte e in qualche luogo non ci fu antitesi ma semplice avvicendamento fra i due sodalizi.
Troverei confortante che Logge e Riti non fossero stati strumentalizzati, in chiave ideologica ed addirittura di fazione.
Vorrei che non fosse accaduto che Giuseppe Mazzini rifiutò la designazione a Gran Maestro non già perché trovava l'Istituzione fortemente politicizzata ma perché non lo era abbastanza per le sue pretese. Lo era, ma non a senso unico.
Insomma, non mi piace affatto sapere come le cose nostre nel secolo scorso sono andate.
Questo triste stato d'animo rispetto agli eventi potrebbe però essere scambiato per soddisfazione e magari addirittura per entusiasmo se lo confronto con lo strazio che provo quando osservo come quella storia - oltre ché vissuta - è stata generalmente scritta.
E questo non per una mera questione di estetica, e nemmeno per ossessiva pretesa di voler raccontati i fatti nel crudo rigore delle loro evidenze. È vero che la storia è la scienza più inesatta di tutte, ma non conviene esagerare.
Soprattutto perché una certa storia scritta in modo infedele, una storia romanzata, una storia contraffatta, ha sempre finito con l'ispirare a sua volta comportamenti successivi impropri alla Massoneria, infedeli alla sua missione universale e perenne.
Quanto al metodo, se metodo potesse chiamarsi, che rivendico per la redazione della storia della Massoneria, io affermo semplicemente che deve essere quello della storia pura.
Gli avvenimenti devono essere raccontati semplicemente perché sono accaduti, non perché sono, o sembrano, «degni di essere ricordati».
La storia assiologica non è soltanto una violazione del vero ma un potente strumento di ripetizione degli errori non ancora identificati per tali.
Avere ad un certo momento confuso la storia del Risorgimento con quella della Massoneria portò, in Italia, la nostra istituzione a farsi promotrice di una guerra, a svolgere attività politica interna ed internazionale, addirittura a procedere ad arruolamenti di volontari nell'intento di creare un casus belli per l'ipotesi che il governo italiano non avesse voluto o potuto soverchiare il parlamento e non avesse dichiarata la guerra redentrice.
L'ipoteca romantica provenuta dal Risorgimento (conseguito infatti dalla convergenza dei ro. mantici, che rifiutavano i sette confini, coi «classici» che rifiutavano le sette dogane) era destinata a pesare sulla Massoneria italiana che, tardando a liberarsi di alcuni fattori ad essa essenzialmente estranei, ne vide in brevissimo volgere di decenni i rispettivi sviluppi, oltre ché estranei, nemici. Col brillante risultato di essere accusati da una parte di nazionalismo e dall'altra di cosmopolitismo.
Così, il socialismo arriva finalmente al congresso di Ancona del 1914, e il nazionalismo, che pochi mesi prima ha fabbricato l'inchiesta Bodrero, dall'interno condiziona la Massoneria Italiana a battersi per l'intervento nella I° guerra mondiale.
Ed i Massoni intervennero sul serio: nella voragine della guerra fu detto che ne caddero ben duemila.
Cifra enorme, per una associazione di circa ventimila membri in buona parte piuttosto, o molto, anziani.
Un rapporto percentuale sbalorditivo, forse inferiore soltanto a quello degli ufficiali inferiori effettivi dell'esercito, con criteri analogamente romantici fatti rapidamente macellare, senza elmetti e in divise vistose, nelle primissime fasi di un conflitto destinato ad essere condotto e portato a termine da ufficiali fatti in casa, scarsi di competenza, gracilissimi di autorità ma non obnubilati dell'istinto di conservazione.
Del quale non bisogna abusare, come accadde l'8 settembre del '43, ma la cui presenza in dosi omeopatiche pare indispensabile perfino per vincere.
Certo è commovente, edificante, esaltante, conoscere le battaglie, le sofferenze, i successi di coloro che ci hanno preceduto nella testimonianza massonica.
Ma la storia scritta deve essere vera perché deve essere, soprattutto, utile o volta all'apprendimento, alla verifica, alla critica dei modi di realizzazione di cui disponiamo.
Lo studio della nostra storia deve quindi essere, prima di ogni altra cosa, un impegno etico. Alla storia dobbiamo chiedere semplicemente la riprova di quella identità culturale che la semantica della nostra iniziazione ha dovuto conferire ai Massoni e alla loro opera.
Tutto qui. Questa e non altra la legittima finalizzazione di una storia massonica.
Agli storicisti del secolo scorso, la scoperta del passato parve la scoperta di un nuovo continente: la patria di ogni possibile verità.
Restava però il compito immane di stabilire che cosa è storico e che cosa storico non è.
Assumiamo allora che tutto sia storico: tutte le serie di fatti sono degne del nostro esame.
Per mettere insieme una storia della Massoneria basterà mettere a punto gli strumenti idonei a concepire i fatti pertinenti la massoneria.
All'immagine dell'uomo immerso nel tempo, nel tempo inteso come una realtà svolgentesi malgrado l'uomo, che vi si trova come strappato a sé stesso, il Libero Muratore deve e può - grazie ai propri strumenti di lavoro - sostituire la realtà di un ritmo vitale proprio.
Solo appropriandosi del presente e dell'avvenire resisterà all'impulso di rifugiarsi nel passato.
Ed alla tentazione di costruirselo come gli piacerebbe che fosse avvenuto.