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Se, come dice Marx proprio all'inizio del I libro del “Capitale”, il mondo appare come una immane raccolta di merci, è però ancora più vero che, oggi, la “merce”, il consumo, rappresentano, per la prima volta nella storia dell'umanità, i valori fondamentali dell'uomo.
Viene in mente Renè Guénon, quando parla del “mondo moderno”, quella fase della storia dell'umanità in cui si si sono persi tutti i legami con la Tradizione Originaria, esso è il mondo della quantità, dal quale si arriva subito alla fine dei tempi.
Sul piano economico, la questione è più semplice di quanto non si creda: siamo passati da una società dove, con lo scontro tra classi e gruppi sociali, il ruolo sociale era definito dalla posizione di ognuno nella produzione, ad una società in cui il ruolo sociale di ognuno è definito dalla sua tipologia, quantità e frequenza dei consumi.
Ovvio anche questo: se si devono stimolare i consumi per sostenere il ritmo della produzione, che altrimenti languirebbe, allora la comunicazione sociale e politica sarà definita dal come, quanto e dove consumo.
Una società del genere ha l'apparenza di un immensa massa di poverissimi, per paradosso, rentier: un eccesso di lavori del “terziario avanzato”, che sono sostanzialmente dei costi di controllo sociale, il lavoro reale è trasferito fuori dai confini, nei Paesi Terzi, e sembra proprio che la comunicazione produca la materia, che il mondo sia ormai “senza fondamento”, secondo la formula di quel gruppo di filosofi alla fine degli anni '70: il “sapere senza fondamenti”.


Una “società dell'immagine”, o dello spettacolo in cui, come scoprì Guy Debord, la comunicazione diventa merce e la merce come tale diviene irrilevante, banale, standardizzata come i suoi consumatori, e tale da generare sempre nuova insoddisfazione, che viene coperta dal simbolo, non dal suo sostrato materiale.
L'Immagine è spettacolo: ogni avvenimento viene, appunto, spetttacolarizzato con i meccanismi della pubblicità, che ormai pervade anche la comunicazione politica e la stessa cultura, divenuta “estetica”.
Ha vinto il maligno, quello che propone a Cristo di “trasformare le pietre in pane”, azione alla quale, naturalmente, Gesù si rifiuta.
Ma il Salvatore non era certo un esperto di Pubbliche Relazioni, e nemmeno un pubblicitario.
I tratti della Nuova Società, che ricorda molto da vicino il Nuovo Mondo Coraggioso, il “Brave New World” di Aldous Huxley, dove per risolvere tutto circola il soma, una sostanza allucinogena del tutto legale, sono tutti antitradizionali e sostanzialmente sovversivi, in tutti i sensi del termine.
In primo luogo, oggi il desiderio è la legge, e l'istinto e la ragione devono sempre coincidere, poi, in seconda istanza, la società non esiste, esistono solo i singoli, concreti, cittadini.
Cittadini che non hanno nessun obbligo a seguire un ethos sociale, scritto e non scritto, oggi la morale non esiste, esiste l'etica, ovvero un insieme di norme precise, con l'apparenza di leggi penali o civili, è priva di riferimenti “alti”, metafisici, simbolici, non scritti se non nel cuore degli uomini.
 

Senza l'Invisibile, che si sente ma non si manifesta, non vi è Morale, solo Etica, perché la Morale deve adattarsi ad ogni novità senza perdersi, e questo presuppone “ciò che non è scritto”, quello che passa da bocca ad orecchio senza diventare oggetto, regola fissa, norma legale.
La sapienza del cuore non esiste più, la trasformazione che l'economia, la “scienza triste” ha operato in tre secoli ha reso tutti delle macchine attente al calcolo dei dolori e dei piaceri, come accadeva nella filosofia sensista del settecento, che allora appariva ingenua e irreale.
 

La Metafisica si chiama così perché si trovava, nella biblioteca di Alessandria distrutta dai musulmani al loro arrivo in Egitto, metà tà physikà, “dopo la fisica” di Aristotele, ed era null'altro che una indicazione bibliografica.
Poi, è venuta fuori l'idea, strana e innaturale, che la Metafisica non esista, ma noi in effetti inviamo continuamente di “scienze dei fini”, di spiegazioni euristiche, e quindi il mondo contemporaneo propone metafisiche senza dichiararle, spacciandole per “fisica”.
Scoprire le metafisiche nascoste del Moderno, i “miti d'oggi”, per dirla con Roland Barthes, è un esercizio di razionalità straordinario, che vi invito a fare, quando vi sorge un dubbio sulla ovvietà di questo o di quel mito contemporaneo.
É questa, la tecnica del dubbio cartesiano, soprattutto verso quello che i mass-media ci propinano continuamente, una straordinaria attività socratica da proporre alle nuove generazioni, che sono state abituate a adorare il Vitello d'Oro, e non sanno ritrovare sé stessi, dentro una stufa, come fece appunto Cartesio ad Amsterdam, quando gli venne l'idea del “Discorso sul Metodo”.
Ovvero, oggi si dice che non esista nessun progetto trascendente insito nell'uomo, che è solo un toolmaking animal, un “animale che fabbrica strumenti”, secondo la vecchia definizione di Benjamin Franklin.
L'uomo che da il nome agli animali, Adamo, custode della Creazione, come è scritto nella Bibbia, ha lasciato il posto ad un animale come un altro, che può essere soppresso ad libitum, come nell'aborto globalizzato, o comunque meno importante di un pet, di un animale da compagnia.
É il punto di non ritorno: se non si riconosce l'immagine di Dio nell'Uomo, tutto è possibile, ci attendono nuove Auschwitz, nuovi pogrom, nuove stragi e crimini indicibili per l'umanità.
Senza Dio, e questo era ben presente al laicismo risorgimentale italiano, si pensi qui a Mazzini, non c'è rispetto per l'Uomo e per la sua crescita materiale e spirituale.
Senza Dio, anche il Dio dei laici migliori, non vi è l'uomo, che rimane strumento di quell'uomo che riesca a apparire come Dio, che è quindi l'emanazione del maligno, quello che vuole trasformare “le pietre in pane”.
Era qui il fondamento, lo dico tra parentesi, della unità di intenti e di spirito, appunto, che si realizzò tra i cattolici democratici e i laici liberali dopo il secondo dopoguerra: entrambi credevano a un Dio immanente all'Uomo, sia pure in modi dottrinalmente diversi.
 

Dio e Popolo, i due temi di fondo di Giuseppe Mazzini, che passano in tutto il Risorgimento, dal misticismo orientaleggiante di Garibaldi al progetto riformista di Giovani Gentile, fino al migliore antifascismo, tra Partito d'Azione e quei cattolici che, a Camaldoli, riuscirono a ridisegnare una Italia della Rinascita senza dimenticarsi nemmeno
Quindi niente Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe, Cristo, niente ideali per cui “è bello morir”, niente trascendenza laica della tradizione misterica e massonica, niente Ente Supremo di Kant, e non esiste più nemmeno il mito della fraternità futura della marxistica “società senza classi”.
Dio è “padre”. Come spiegare questo fatto ad una società senza padri che rifiuta il principio di autorità che è, appunto, il Padre?
Oggi la società è ritornata ad essere matriarcale, mentre gli uomini sono simbolicamente, ma non solo, messi da parte, come elementi dell'Autorità, che è maschile, “reazionaria”, perfino, parola bonne à tout faire, “fascisti”.
La figura dell'Auctoritas non esiste più, esiste solo, paradossalmente, nella mente dei giovani, l'eccezione al principio di autorità, la variante della bontà dolciastra, la “pappa del cuore”, come la chiamava Hegel, l'umanitarismo pubblicitario e senza sforzo.
 

Senza Padre, lo ricordiamo, non c'è libertà, perché essere liberi è una regola, non la sua ripetuta eccezione, e la libertà la si conquista ogni giorno, non è mai gratuita, non è “pappa del cuore” ma profonda razionalità.
Ed infatti, il mondo giovanile oggi è irreggimentato come mai nella storia recente della nostra civiltà.
Liberare i giovani dal consumismo della retorica, dall'ossessione dell'intruppamento, dalla servitù della gleba ad un marchio o ad una moda, ecco uno dei grandi obiettivi di un umanesimo pedagogico per i prossimi anni.
Creare i nuovi soggetti e liberarli dal gregge, quel gregge che, come notava Nietzsche nella sua Seconda Inattuale, è “legato al piolo dell'istante” e che non ha se non la storia del flash istantaneo delle sue percezioni immediate.
La moda, poi, non esiste, è stata inventata per rendere stabilmente poveri quelli che, con un grande complesso di inferiorità, vi si adeguano.
 

Niente miti, quindi, sono tutti “vecchi”, la libertà è lo “sballo” soggettivo compiuto in massa, la razionalità è un tool, uno strumento, per la soddisfazione dei propri piaceri e istinti profondi; siamo ormai nella società che fu prefigurata da un grande scrittore britannico cattolico, Anthony Burgess, l'autore di “Arancia Meccanica”, dove la sovversione criminale dei bulli diviene la “pubblicità”, dopo la cura pavloviana alla quale viene sottoposto il protagonista del libro, del nuovo condizionamento psicopolitico destinato alle masse dei “buoni cittadini”.
Se dovessi immaginare una parola che descrive, meglio di tutte, la condizione della civiltà contemporanea e della sua pedagogia, che è un dato eminentemente politico, mi viene in mente un termine filosofico, ormai abusato: la decostruzione.
 

Oggi il pensiero si esercita contro sé stesso, come in una malattia neoplastica, per appunto decostruirsi e mostrare gli istinti primari o gli interessi materiali che lo hanno prodotto. Detto brutalmente, un marxismo per cretini.
É davvero un pensiero, allora? Se tutto ciò che viene costruito dagli uomini in quello che Karl Popper chiamava “mondo 3”, quello delle idee, è solo una crosticina sopra gli istinti, allora si deduce facilmente che tanto vale che l'inestetica crosticina vada via e si ritorni alla immediatezza degli istinti, alla rapida percezione del piacere.
É il progetto, e qui ritorna la tradizione dell'Anticristo, da Ippolito di Roma e da San Giovanni Damasceno, di animalizzare l'uomo, quindi di toglierli quel sigillo di essere fatto “ad immagine di Dio”, che è il punto esatto sul quale sia la tradizione laica moderna che quella cristiana si sono sempre unificate.
Se il regime acquisisce quindi il suo “doppio” negativo e rivoltoso, come è accaduto dopo il '68, allora davvero il Potere diviene Onnipotente.
E l'Uomo diviene semplice oggetto, pura animalità, gregge, massa, Nulla, e quindi si dimenticherà di ricollegarsi alla Matrice di Dio. Che, lo ripeto, è un punto che unifica tradizioni umanistiche laiche e cattoliche, la centralità dell'uomo, la sua primarietà nel mondo naturale.
 

Insegnare ai giovani a essere “unici”, pur senza inutili superbie, sarà un grande obiettivo per la pedagogia e la società futura, tutto ciò che parifica, che schiaccia, che omogeneizza deve essere attentamente evitato, nell'educazione dei giovani, che devono socializzare in piccoli gruppi, nello studio, nel lavoro, nel tempo libero, come accadeva ai ragazzi della migliore tradizione provenzale, quella “gaia scienza” di giovani e giovinette dotati di Spirito che Nietzsche riprenderà come titolo di un suo famosissimo testo.
Finché durerà lo spostamento delle industrie dal mondo sviluppato nelle “periferie del mondo”, finché saremo condizionati da una cultura in cui il mondo contemporaneo sembra assoluto padrone ed ha ucciso la storia, la geografia, la poesia, ed ha elevato il mito della “cultura economica” come unico accesso al Potere, questo sarà il panorama di macerie umane e morali del nostro mondo, immane raccolta di merci e di esseri umani vuoti, gli “hollow men” del poeta cattolico inglese Thomas Stearns Eliot.
Gli uomini vuoti, gli hollow men di Eliot, un poeta inglese che Francesco Cossiga molto amava, sono gli esseri umani in cui, come nel vuoto, il passato e il mondo dei Valori risuonano senza essere ascoltati, e che si adattano, senza però principi superiori e ultimi, alle circostanze, senza Morale ma con l'etica giornaliera di quello che la società, nuovo Dio, sancisce come lecito o illecito.
Sono gli uomini d'oggi, che sono abituati a pensare a sé stessi con criteri che valgono per un oggetto, non per un soggetto creato libero, e quindi ripetono, senza magari crederci, quello che la Società dice loro di dire.
 

É quello che accade nelle nostre scuole dove, nel migliore dei casi, si studia il Presente, e non ci si abitua a pensare l'Oggi come prodotto di un lunghissimo Passato, che ancora fruttifica nella Realtà.
Occorre insegnare ai giovani, contro l'adorazione del Presente, il “piuolo del presente” nicciano, lo vedevamo sopra, che è il Passato la Vera sostanza del mondo.
I nostri grandi Licei producevano classe dirigente e giovani sapientissimi perché li spaesavano, creavano, con lo studio di Tacito o di Cartesio, o con la poesia di Catullo o di Leopardi, quello spaesamento rispetto al mondo di tutti i giorni che lo rende percepibile e comprensibile fino in fondo.
Una tecnica, quella dello spaesamento che, detto tra parentesi, utilizzava Brecht per evitare che i suoi attori diventassero modelli per il proprio pubblico.
 

Come fare a risolvere la questione, a ricostruire l'umanesimo e quindi la nostra Civiltà nel tempo in cui tutto è parola senza comunicazione, senso senza significato, consumo senza reale godimento, lavoro senza fatica (altro desiderio del Maligno) e gerarchia senza valori?
Proviamo a immaginare una cura estrema per questo malato terminale, la società contemporanea, che è ormai al limite di quella che Pareto chiamava “anomia”, totale assenza di regole, caos.
Il primo farmaco, che potrebbe apparire l'unico, è la Cultura. Oggi, ve ne sarete accorti, non si parla più di cultura.
Si preferiscono i “saperi”, tutti uguali, dalla lavorazione del cuoio, utilissima, alla conoscenza dell'archeologia sumera o della matematica.
Ma i “saperi” sono tali perché fondati da una cultura omogenea, che li rende apunto parti del Sapere, e non viceversa. Il mondo contemporaneo è sempre un gioco di specchi rovesciati.
E se non c'è gerarchia tra i saperi, allora come si fa a metterli insieme e a generare idee dal loro scambio? Se sono tutti uguali, non ci sarà altro che il Caso a produrre la nuova idea o il nuovo “sapere”.
Infantilismo, sempre, nel Mondo Nuovo in cui stiamo vivendo, mai una visione adulta e matura, non favolistica, dei fenomeni.
Ecco, noi dobbiamo creare una civiltà in cui i giovani riescano a diventare adulti e saggi, non necessariamente solo “informati”, mentre oggi la scuola e la società insegnano solo a rimanere giovani, o addirittura bambini.
 

L'infantilizzazione del mondo è, anch'esso, uno dei tratti specifici della nostra epoca.
E penare che le società mature si incentravano sulla “saggezza”, che non vuol dire sapere più cose e fatti, ma saperli valutare sotto la luce del futuro e del passato, con quella particolare conoscenza che viene dall'esperienza del mondo e degli uomini.
Come già notava James Hillman, oggi non c'è più la possibilità di parlare di saggezza, sembra un concetto sparito nel nulla, e diviene spesso inspiegabile ai giovani.
Beninteso, per parlare ancora dei “saperi”, ho il massimo rispetto per chi sa lavorare il cuoio, ma il problema della Cultura propriamente detta è un altro: come si fa, a partire dal mio sapere specifico, a comprendere tutto il mondo?
Ecco, con la domanda della comprensione globale, e quindi infinita, oltre la propria vita nasce la moderna Paideìa, la formazione dell'uomo, formazione che è insieme cultura, carattere, scienza della relazione con gli altri, e nessuno degli altri è un “eguale”.
E poi è estetica, etica e, non dimentichiamolo, la presenza di un “mestiere”.
 

Unire il lavoro manuale con quello intellettuale è una necessità della saggezza. É l'inizio della paideia.
San Paolo fa il tessitore di tendaggi, anche se, come dice fieramente in una sua epistola ai Tessalonicesi, “avrei potuto anche farmi mantenere, come Apostolo”; i sapienti ebraici normalmente lavorano, perché lo studio di ciò che è in Alto segue le regole di ciò che è in basso, come in Cielo, così in Terra, Spinoza fa il molatore di lenti ad Amsterdam e Marsilio Ficino, l'iniziatore del Neoplatonismo fiorentino, è sacerdote e medico.
 

Non si tratta di “creare”, come dicono oggi i politici e gli pseudo economisti, un “posto di lavoro”.
Tutt'altro: si tratta di creare, tramite il lavoro e la sapienza, l'uomo.
Nella mitologia della tradizione socialista c'è tutta una epopea della “dignità del lavoro”, che non si vende e non si compra”, e anche qui si tratta della percezione che è attraverso il lavoro che si crea l'Uomo Vero, che lavora sé stesso mentre lavora la materia esterna.
É lo stesso processo, visto da due angolazioni diverse.
Creare un passaggio dal lavoro alla propria persona come dato spirituale, questo è un primo tassello per la risoluzione del nostro problema.


Poi, c'è ancora il problema della cultura.
Già, ma che cos'è la cultura? É quella dimensione dell'Essere, che appartiene all'Uomo e solo a lui, in cui l'Io e la Società si fondono in un progetto trascendente, e quindi spirituale.
La Cultura è infinita, e per questo gli antichi ci parlano ancora, come ci stanno parlando, ma non possiamo ascoltarli, gli uomini grandi del futuro.
La cultura è la “grande catena dell'Essere”, per usare il titolo di un vecchio libro di Lovejoy, e non fa differenza, dentro di sé, tra Materia e Spirito, e anzi dona lo Spirito anche ad azioni minime e insignificanti.
La Cultura è una apparizione del Sacro.
Gli umbri che stavano con Garibaldi a Bezzecca, nel 1866 in Trentino, quelli del Quadrilatero di Umbertide, quelli della Brigata San Faustino della Resistenza, sono tutti esempi non di semplice cultura, ma di Pensiero e Azione, secondo il felicissimo binomio di Giuseppe Mazzini. Pensiero+Azione è appunto la Cultura.
Il Pensiero è azione, e l'azione è anche pensiero, quando si arriva ad intuire, come in un satori zen orientale, l'unità profonda di queste due facce dell'Essere, siamo già avanti nella creazione della nostra Cultura.
Ed è esattamente questo che dobbiamo insegnare ai giovani, con il necessario e inevitabile esempio.
 

Quindi, riscoprire la Paideìa, la formazione dell'uomo intero e non del semplice consumatore o homo oeconomicus, che è solo una parte, peraltro mal gestita, dell'Uomo Intero.
Poi, occorre riscoprire la inevitabile correlazione tra manualità e pensiero astratto.
D'altra parte, la selezione dell'homo sapiens è stata “divergente”, come dicono gli antropologi, perché lo sviluppo della mano e della sua motilità ha reso possibile la costruzione non solo di strumenti, ma di case, di mezzi per la caccia, e da lì è venuta la crescita progressiva della nostra massa cerebrale.
Come ci ha spiegato l'antropologo Leroi-Gourhan, è stata la stretta correlazione tra mano con l'opposizione del pollice e mente che ha generato l'eccesso di lavoro, il lusso della raccolta che ha generato, poi, quello che Bergson ha poi chiamato “il lusso della percezione”, la straordinaria complessità, insondabile, della percezione e del pensiero umani.
 

É proprio questo che si sta perdendo oggi, perché alla animalizzazione dell'uomo corrisponde il suo allontanamento dal mondo del Fare, il suo isolamento, in massa, sulla zattera della Medusa di coloro che non hanno lavoro, storia, conoscenza.
Degli Ersatz umani, dei succedanei d'uomo, così come oggi si diffondono sempre di più i succedanei dei cibi.
Infine, è duro dirlo oggi in una fase di massificazione estrema, il ritorno di due caratteristiche naturali dell'uomo: il gusto della solitudine e del pensare da soli, e, paradossalmente, il suo apparente contrario: la accettazione della gerarchia.
Vivere da solo, alla fine, anche se si ama il mondo, è quel momento in cui le esperienze si solidificano e si gerarchizzano, il momento di concentrazione necessario per continuare a vivere in società.
Chi sa essere solo, e vivere da solo, senza seguire le pericolosissime masse, e non ha caso il maligno ha detto che “il mio nome è legione” (Marco, 5, 1-20) perché, aggiunse “siamo molti”, è già un bel passo avanti nella ricostruzione del suo Io, e della Società Buona.
Freud diceva che la massa “è un gregge docile che non può vivere senza padrone”.
Ecco, se noi ci riscopriamo Io, senza superbia ma con razionalità, ecco che la massa si mostrerà come “legione”, universo di moltissimi démoni.
 

L'altra parte della nuova Paideìa sarà la riscoperta, insieme all'Io, della gerarchia.
La gerarchizzazione della società non è “fascismo”, anzi il fascismo e il nazismo, che arrivò al potere con regolari elezioni, sono forme del gregge, che, sempre seguendo Freud, ha sempre bisogno di un Capo.
La gerarchia, ce lo insegna Max Weber, è l'unica possibilità che abbiamo di indicare dei fini all'agire sociale.
Se tutto è uguale e non si sceglie tra l'importante e il secondario, come peraltro accade oggi, allora la gerarchia certo non esiste, ma non esiste nemmeno la società come tale, che si scompone subito tra gruppi, sottogruppi, famiglie, clan.
É la polarità tra l'Io e la gerarchia che dà significato alla verticalizzazione sociale e quindi allo stesso Io, che diviene, passo dopo passo, quello che gli spagnoli chiamano un Hombre Vertical.
Ecco, oggi mancano uomini nel senso pieno del termine, tutti si prostrano ai miti d'oggi senza capirli, perché oggi i miti si stanno nascondendo sempre di più alla vista dei molti, come accadde nella fase finale dell'Impero Romano, e tutti ripetono le formule magiche del politically correct.
Oggi, se ci facciamo caso, ogni riferimento alle élites appare come una bestemmia.
Siamo tutti uguali, siamo tutti intelligenti, colti, esperti di questo o di quello, e anche, termine mutuato dalla Rivoluzione Francese, che infatti nelle campagne ebbe poco seguito, dei “cittadini”.
E senza élites, comunque, non si fa la storia, non si risolvono i problemi, non si migliora la nostra cultura e le nostre condizioni materiali.
Chi oggi parli di élites, comunque, viene maledetto da quelle stesse masse che non sanno di essere comandate a bacchetta da élites ben più esigenti di quelle delle quali hanno paura.
Terribile invenzione del maledetto sessantotto in terra puritana, il politically correct, dove la polizia del linguaggio si sostituisce alle manette e agli schiavettoni.
 

La “polizia del linguaggio” fa venire in mente le Guardie Rosse di Mao, i poliziotti “onorari” del bolscevismo, i sanculotti che, tutti insieme, hanno distrutto tanta arte e cultura quanto non riuscirà a fare la attuale modernità alla fine del suo percorso.
Cultura è sapienza del passato, conoscenza delle radici personali, sociali, storiche, nazionali e sovranazionali.
Nelle scuole dove si parla di chiacchiere blandamente scimmiottate dai mass-media non si farà mai cultura.
E poi, lo ripeto, cultura è gerarchia.
É il riconoscimento modesto, sano, razionale e oggettivo che c'è qualcuno da cui devo ancora imparare qualcosa, che tutto non si esaurisce nella ripetizione di uno slogan o in una manifestazione pubblicitaria a favore o contro qualcosa o qualcuno.
Sia che si tratti di imparare a fare il sarto, che di studiare le varianti in un testo latino del VII secolo, sia ancora che si debba studiare la fisica del plasma, o di fare l'albergatore, il riconoscimento fattuale di una gerarchia risponde alla complessità del mondo e dell'Io, infonde la modestia che è legata alla Scienza, dato che ogni ricerca è infinita, infine rappresenta la realtà di chi conosce molto e di conosce ancora poco.
La gerarchia è un dato di realtà.
 

Altra regola per salvare le giovani generazioni è lo studio della Storia, lo abbiamo accennato prima.
“Italiani, vi esorto alle istorie!” affermò Ugo Foscolo appena trovatosi cattedratico a Pavia, di Storia, appunto.
Nietzsche ha parlato di storia “monumentale”, “antiquaria” e “critica”, nella sua “Seconda Inattuale”.
Per sintetizzare, oggi, per educare i giovani occorrono tutte e tre: la prima, la monumentale, serve a imparare dai fatti storici, come ci ha insegnato peraltro Machiavelli sia nel Principe che nei Discorsi, la storia antiquaria guarda all'indietro con fedeltà e amore, come se si trattasse di nostri antenati, mentre la storia critica passa in rassegna gli accadimenti per porli, kantianamente, di fronte al tribunale della ragione, o, meglio, di fronte al tribunale della vita.
Ogni storia è utile, perché pone ogni fatto nella sua corrente di casi e necessità, di decisioni umane e di costrizioni oggettive, la Storia è come la Vita, dove non si è mai del tutto liberi e mai del tutto schiavi.
Bene, se non si insegnerà ai giovani a uscire dal carcere dell'oggi con la storia, che davvero è magistra vitae, non usciremo mai dal nostro medioevo fornito di tutti i comforts moderni.
I giovani devono essere addestrati ad uscire da sé stessi, a ricomporsi nella infinita scia di anime del passato, che è il solo fondamento del futuro.
Quando i punks londinesi cantavano “no future” non solo manifestavano gli effetti della prima grande disoccupazione di massa successiva alla fine dell'accordo di Bretton Woods, ma puntavano il dito sul fatto che, oggi, siamo nella prima fase della civiltà umana che crede di non aver bisogno del passato, e quindi del futuro.
Siamo, oggi, nell'eterno presente del Nulla.
 

Altra terapia per i nostri giovani prima che i tempi siano chiusi, è quella della corretta socialità.
Oggi la comunità, per i giovani, è gerarchia del consumo (che peraltro non pagano loro) o gregge senza capi che non siano quelli di 1984 di George Orwell, quelli che dicono, falsamente, “io sono voi”.
Lo sciame, il gruppo, il gregge, si vedono oggi tra i ragazzi, ma mai la comunità o la società.
Ovvero, non si sente più la solidarietà verso i meno fortunati, che sono subito calpestati come accade nei fenomeni di panico di massa, quindi non si è più comunità.
Il mondo contemporaneo ha quindi distrutto tutte le bellissime tradizioni del cattolicesimo sociale, del socialismo, della semplice bontà popolare, della solidarietà laica.
Un deserto spirituale che, lo vedremo presto, ci distruggerà e ci trasformerà nelle masse anomiche di quei paesi dove abbiamo trasferito le nostre imprese: l'Asia brulicante e violenta, l'Africa, certe aree pericolosissime dell'America Latina.
Così potremo comprare, in tutto il mondo, gli stessi prodotti standardizzati, a cui verrà cambiato solo il cartellino dei prezzi e il brand pubblicitario.
Senza comunità, niente società, che è anch'essa una rete solidale.
Ma come potremo insegnare queste cose ai nostri ragazzi, prima che si perdano come i libri della biblioteca di Alessandria?
L'unico modo è l'esempio, la costruzione di uomini veri, mitici, completi che, prima che insegnare con le loro nozioni sapienti, trasferiscano non tanto dati ma comportamenti con il semplice esempio, con il solo mostrarsi tra i giovani.
Il Comportamento è la vera scuola, che si apprende con tutti i sensi e, soprattutto, con la discussione unita all'intuizione.
 

É molto difficile, ma ce la possiamo ancora fare e ce la faremo se i ragazzi impareranno a vivere in posti piccoli, sani, ameni, non troppo globalizzati e dove il lavoro manuale e quello intellettuale vanno di pari passo.
 


 

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Il documento che precede è opera d'ingegno del Professor Giancarlo Elia Valori ed qui esposto dietro sua autorizzazione.

Il contenuto obbliga soltanto l'Autore e non riflette di necessità la visione della Loggia o del G.O.I. Ogni diritto è riconosciuto. 

© Professor Giancarlo Elia Valori

 

Honorable de l'Academie des Sciences de l'Institut de Frances

Professore di Economia e Politica Internazionale presso la Peking University. (CINA)